domenica 28 febbraio 2010

La doppia morale

Seguire una doppia morale consiste nel valutare diversamente gli stessi comportamenti a seconda che questi siano tenuti da diverse persone o in vista di diversi fini.
Per la grande maggioranza degli esseri umani la morale è unica. L’imperativo: “non uccidere”, per fare solo un esempio, è vincolante per tutti e deve guidare sempre l’azione degli esseri umani. Certo, in guerra si uccide, così come si può uccidere per salvare dalla morte sé stessi o altri. Ma questo dimostra solo che l’imperativo che vieta di uccidere i nostri simili non è assoluto, che esistono situazioni nelle quali non può essere osservato o addirittura sarebbe immorale osservarlo. Se vedo un bruto che violenta una bambina non è solo mio diritto ma anche mio dovere cercare di fermarlo, anche usando la forza contro di lui, addirittura uccidendolo se necessario. Userebbe la doppia morale chi in guerra pretendesse di avere solo lui il diritto di sparare sul nemico, sarebbe un teorico della doppia morale il bruto che ritenesse di avere il diritto di violentare la bambina e negasse agli altri il diritto di difenderla.
La doppia morale non consiste nella teorizzazione dei comportamenti immorali in quanto tali, consiste nella pretesa di conferire dignità morale ai comportamenti immorali. Uno stupratore assassino, se ragiona e quando ragiona, comprende la malvagità delle sue azioni, se tuttavia questo stupratore avesse pretese filosofiche potrebbe cercare di conferire dignità morale alle sue malefatte. “Violentare e uccidere una bambina è immorale se a farlo sono gli esseri umani comuni, i borghesucci da quattro soldi. Se però lo stesso crimine è commesso da un uomo superiore quale io sono, o se è commesso per un grande fine, allora non di crimine ma di azione virtuosa si tratta”: così potrebbe ragionare il nostro filosofo stupratore e assassino. E, forse senza saperlo, sarebbe in ottima compagnia.
Il seguace della doppia morale non è il mascalzone che se ne frega dell’etica, è colui che ritiene che esistano due, o magari più etiche e che l’etica che riguarda lui, e quelli come lui, sia diversa da quella che riguarda i comuni mortali. Non uccidere, non rubare, non mentire, mantenere le promesse, educare nella maniera migliore i propri figli, insomma rispettare gli esseri umani sono imperativi dell’etica “comune”. Possono valere per i comuni esseri umani nella vita di tutti i giorni, ma non hanno valore per altri esseri umani che si pongono obiettivi ben più grandi, nobili ed universali.

Il presidente Mao tze Tung ebbe a scrivere che esistono vite leggere come piume ed altre pesanti come montagne. Hegel dal canto suo parlò di individui “cosmico storici”, esseri umani attraverso le cui azioni ed il cui pensiero si manifesta lo spirito del mondo. Napoleone non è stato un uomo, magari un uomo geniale che ha fatto grandi cose, della cui bontà si potrebbe discutere. No, Napoleone è per Hegel “lo spirito del mondo a cavallo”, in lui l’assoluto si manifesta in forma storica. Ed il discorso non si ferma a Napoleone, ovviamente. In Stalin ed in Mao parlano “la classe operaia internazionale” e “i popoli oppressi di tutto il mondo”, in Hitler la “nazione tedesca” rende esplicito il suo destino. Come per bocca dei profeti si manifesta la voce di Dio così nel pensiero e nell’azione dei giganti della storia si rivelano agli umani i grandi soggetti metafisici: la classe, la nazione, la storia, l’assoluto. Le vite di questi personaggi sono in effetti pesanti come montagne, al loro cospetto le vite dei normali esseri umani sono davvero leggere come piume. Ed infatti spesso e volentieri gli individui cosmico storici si sono divertiti a sparpagliare al vento quantità enormi di leggerissime piume.
Se un normale essere umano uccide qualcuno lo si considera, giustamente, un assassino. Ma questa è la morale che vale, appunto, per gli uomini normali: Marco ha ucciso Luigi per impossessarsi del suo denaro, Giovanni ha ucciso sua moglie Laura perché la ha scoperta con un altro uomo.. piccoli eventi, cose miserabili: desiderio di denaro, gelosia, cosucce meschine che riguardano esseri umani meschini. Come si può applicare agli individui cosmico storici una morale tanto meschina? Quando Adolf Hitler decise la soluzione finale del problema ebraico sapeva benissimo che questa avrebbe prodotto una quantità industriale di cadaveri, ma, sarebbe giusto giudicarlo malvagio per questo? Gli ebrei erano la sifilide del genere umano, eliminarli fisicamente, eliminarli tutti, era una necessità se si voleva, come il fuhrer voleva, rifondare il genere umano, costruire finalmente una società gerarchica che rispecchiasse la struttura ontica dell’essere. Parimenti Stalin sapeva benissimo che la scelta di eliminare il kulak in quanto classe avrebbe provocato sofferenze immani al popolo Russo ma non per questo lo si può giudicare un criminale. I kulaki erano insetti velenosi che non solo impedivano lo sviluppo economico della Russia sovietica ma diffondevano fra il popolo le loro detestabili idee piccolo borghesi, i valori meschini del piccolo proprietario agricolo. La loro stessa esistenza era una sfida al grande tentativo di creare, sulle ceneri del vecchio uomo egoista e borghese, l’uomo nuovo comunista! E così i kulaki, poveri, miseri contadini Russi ed Ucraini, furono ficcati in tanti bei vagoni piombati e spediti in Siberia, a lavorare per l’edificazione socialista e a morire di fame e di freddo.
Probabilmente questi grandi individui hanno sbagliato, di certo non hanno raggiunto i loro fini, forse questi erano irrealizzabili, forse non erano neppure tanto belli, ma, come negare la grandezza di chi comunque se li poneva? Come è possibile giudicare l’olocausto o l’eliminazione del kulak in quanto classe seguendo gli stessi criteri etici che si applicano per un impiegatuccio che fa fuori la moglie scoperta a letto con un altro uomo? Solo un alienato, un uomo piccolo può pensare che la morale sia una, che gli impiegatucci e gli individui cosmico storici possano essere giudicati secondo gli stessi criteri.

Dalle considerazioni fatte sinora emerge un dato: la doppia morale è figlia delle filosofie e delle ideologie dell’assoluto. E’ caratteristica di queste filosofie e di queste ideologie la concezione dell’uomo, dell’uomo di oggi, quello che vive qui ed ora nel mondo, come di un essere alienato, una sorta di non uomo che ha fuori e contro di se la sua essenza umana. Ma questo povero essere può risollevarsi dal suo stato di alienazione, può farlo grazie all’azione salvifica di un soggetto collettivo che realizzando il suo destino metafisico permette all’uomo di trasfigurarsi e riconquistare la sua autentica umanità. Le ideologie dell’assoluto differiscono fra loro per ciò che concerne le caratteristiche del traguardo finale dell’avventura terrena dell’uomo o per la scelta del soggetto cui spetta il compito di rigenerare l’umanità. Chi sarà la levatrice della nuova era? La classe operaia? O la nazione, magari quella tedesca? O il popolo degli adoratori della natura incontaminata? O la donna? O magari una grande religione totalitaria come l’Islam fondamentalista? La scelta è aperta. Al di la di queste differenze però resta il fatto essenziale: le ideologie e le filosofie dell’assoluto ricalcano lo schema religioso della caduta e della redenzione con una differenza essenziale rispetto a questo: la redenzione non si colloca nella trascendenza ma nell’immanenza, riguarda questo mondo, non l’altro. Le filosofie e le ideologie dell’assoluto non proiettano la salvezza nell’infinito ma riconducono l’infinito al finito, non innalzano, come dice Dostoevskij, la terra fino al cielo ma portano il cielo in terra, in breve, assolutizzano il contingente. Per questo conducono, tutte, a forme spietate di totalitarismo.
E’ chiaro a questo punto perché il seguace delle ideologie assolutiste crede, deve credere, nella doppia morale. La morale comune è la morale dell’uomo che deve essere trasfigurato, l’altra è invece la morale di chi deve trasfigurarlo. Uccidere un bottegaio per rubargli l’incasso della giornata riguarda gli esseri umani alienati di oggi, mandare a morire di fame, freddo e stenti in Siberia centinaia di migliaia di uomini e donne riguarda invece il processo di costruzione della società e dell’uomo nuovi. La morale comune è autorizzata a ritenere un crimine l’uccisione del bottegaio ma non deve neppure azzardarsi di giudicare un fatto tanto sublime come la morte per stenti, fame e freddo di quantità enormi di uomini donne e bambini: quelle morti sono come le urla della partoriente, o il cemento che serve a costruire un edificio di incomparabile bellezza. Il borghesuccio dalla mentalità limitata e dallo stomaco debole può inorridire per quelle morti, l’uomo superiore no, lui sa che causare quelle morti è un atto profondamente morale, è la quint’ essenza della nuova morale.

La morale superiore riguarda gli individui cosmico storici ma non si ferma ad essi. I seguaci di questi grandi individui sono anch’essi giudicati secondo i criteri di questa superiore morale, per lo meno per ciò che riguarda molte delle loro azioni, quelle pubbliche in particolare, ma non necessariamente solo quelle. Rubare è immorale, ma rubare per finanziare il partito è profondamente morale. Stuprare una bambina è qualcosa di vomitevole, ma se lo stupratore è un uomo la cui attività è importante per il partito pensare di espellerlo è prova di spirito piccolo borghese, gli esempi potrebbero continuare e non si tratta affatto di esempi di pura fantasia. Stalin negli anni della sua gioventù organizzava rapine al fine di procurare fondi al partito bolscevico, il giovane Lenin ebbe una dura polemica con Kautskij perche il leader della socialdemocrazia tedesca voleva espellere dal partito un militante che spesso e volentieri picchiava la moglie. Lenin accusò in quella circostanza Kautskij di essere un sentimentalista piccolo borghese: la attività di quel militante serviva al partito…
E neppure si deve credere che si debbano giudicare secondo i criteri della morale superiore solo le azioni che riguardano, più o meno direttamente, le grandi finalità che gli uomini superiori si pongono. Mandare la gente a morire in un lagher, organizzare rapine per finanziare il partito sono tutte cose profondamente morali perché connesse al luminoso fine che si intende raggiungere; anche non espellere dal partito un militante che picchia la moglie è cosa da accettare perché in qualche modo collegata al fine glorioso che gli uomini superiori perseguono. Ma, cosa bisogna fare se un individuo cosmico storico, o anche solo un uomo superiore, commettono porcherie per niente collegate al grande fine che li anima? Se un grande leader si comporta come un porco, se fa fucilare un suo amico al solo fine di poter più tranquillamente scopare con sua moglie, se spedisce in galera il suo vice al solo fine di entrare più comodamente in possesso dei suoi beni, che fare? Che dire? Nulla, assolutamente nulla. Per chi segue le ideologie assolutiste e la doppia morale vale il principio secondo cui una certa azione non è malvagia in sé, è malvagia a seconda di chi la compie. Se il nemico stupra e uccide, uccidere e stuprare è un crimine odioso, se siamo noi a farlo diventa ipso facto qualcosa di buono. Se il leader di un partito avverso si accompagna a volte con avvenenti fanciulle egli da prova col suo comportamento di dissolutezza borghese, se il nostro leader si circonda di trans sta sperimentando un nuovo tipo di rapporti umani e sessuali. Il seguace delle filosofie assolutiste e della doppia morale riproduce in sé le caratteristiche dell’antico gnostico. Costui divideva gli esseri umani in sarchici e pneumatici. I primi erano gli uomini della materia, i secondi quelli dello spirito. Tutto ciò che facevano i sarchici era immondo perché fatto dai sarchici, tutto ciò che invece facevano i pneumatici era profondamente spirituale appunto perché erano gli uomini dello spirito a farlo. Un simile modo di pensare è conseguenza diretta dell’adesione alle ideologie assolutiste. Se una certa ideologia ci apre le porte dell’assoluto, se, in quanto seguaci dell’assoluto, ci collochiamo in una dimensione del tutto diversa da quella che occupano gli altri esseri umani, le nostre stesse azioni, anche quelle apparentemente più miserabili, cambiano senso e valore, cessano di essere miserabili e diventano nobili ed elevate. In realtà esiste solo un comportamento che può far regredire l’uomo superiore non al rango degli altri esseri umani ma addirittura molto al di sotto di essi: il tradimento della causa, la rivolta contro il partito o il suo leader. Se tradisce l’uomo superiore smette di essere un angelo per diventare un demonio, prima era molto al di sopra degli uomini comuni, ora ne è molto al di sotto, prima tutto gli era perdonato, ora tutto lo accusa. Per chi tradisce l’assoluto bene l’unica prospettiva è il male assoluto.

La doppia morale costituisce la smentita più clamorosa e radicale di un principio che sta alla base delle società libere, aperte e democratiche: quello della universalità dei diritti e dei doveri con il connesso divieto all’auto esenzione. Io ho il diritto di essere rispettato ma ho parimenti il dovere di rispettare gli altri, la mia vita è sacra ma è altrettanto sacra la vita di Tizio, Caio e Sempronio, nessuno deve impedirmi di esprimere le mie idee ma parimenti io non devo tappare la bocca a nessuno. Dall’evangelico “non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te” sino alle varie formule dell’imperativo categorico di Kant tutta la civiltà occidentale è permeata da tale principio, esso è talmente radicato nel nostro modo di vedere le cose che quasi non riusciamo a concepire che qualcuno possa negarlo in maniera tanto profonda e pervasiva e questo è un errore, un grave errore che troppo spesso commettiamo. E al principio della doppia morale sono legati altre doppiezze altrettanto gravi. Il principio della doppia verità, con la teorizzazione che esiste una verità esoterica, destinata agli uomini superiori, dotati di una conoscenza iniziatica non controllabile né criticabile intersoggettivamente, ed una verità essoterica, diversa dalla prima, cui anche i comuni mortali hanno accesso. Ed ancora il principio del doppio o molteplice significato delle parole, con termini che spesso assumono un significato del tutto diverso da quello loro attribuito dai comuni mortali, si pensi al termine “democrazia” riferito alla ex Ddr (repubblica democratica tedesca) in cui tutto il potere era monopolio di un solo partito. Non ci si deve stupire per questa moltiplicazione di doppiezze. Una volta diviso il genere umano fra coloro che hanno accesso all’assoluto e coloro che invece non possono raggiungere tali altezze, fra coloro che devono plasmare gli uomini e coloro che possono solo essere plasmati, tutto è possibile, tutto può raddoppiarsi o moltiplicarsi all’infinito, tutto diventa mobile e plasmabile: morale, verità, linguaggio, ricordi, sentimenti. Orwell fa dire all’inquisitore di “1984” che due più due fa cinque, se il partito lo vuole. Appunto..

Malgrado sia abbastanza diffusa la doppia morale è insostenibile. La morale “superiore”, diversa da quella che riguarda i comuni mortali, si giustifica in quanto collegata alla realizzazione di grandi e nobili fini ma, appunto per questo, non è in grado di dir nulla sul valore morale di questi fini. Lenin, con le sue solite maniere spicce, affermava che è morale tutto ciò che favorisce la rivoluzione proletaria. Se le cose stanno così come è possibile sostenere la superiorità morale della rivoluzione proletaria? Una società A è moralmente migliore di un’altra società B perché nella società A sono rispettati i diritti umani, perché in A non si incarcerano e non si uccidono arbitrariamente gli esseri umani, perché il potere statale è limitato e controllato e così via. La superiore moralità della società A è garantita dal fatto che in essa si rispettano norme etiche universalmente vincolanti. Ma se tali norme etiche non esistono, se fucilare degli ostaggi innocenti, deportare intere popolazioni, bruciare villaggi eccetera non sono cose in sé cattive ma possono diventare buone se utilizzate per realizzare un certo fine, in base a cosa possiamo definire buono quel fine? Così come Lenin teorizzava che è morale tutto ciò che serve alla rivoluzione proletaria Hitler teorizzava che è morale tutto ciò che favorisce la vittoria del Reich, un avido capitalista senza scrupoli potrebbe teorizzare che è morale tutto ciò che gli serve a massimizzare i suoi profitti e così via. La doppia morale relativizza le norme etiche, le fa dipendere dalla superiore moralità di certi fini ma si priva in questo modo di ogni criterio capace di dimostrare la moralità dei fini. Un certo fine è preferibile ad altri perché lo è, punto e basta. Messo alle strette il teorico della doppia (o tripla, o quadrupla, o ennesima) morale non può far altro che appellarsi alla forza, meglio, alla pura e semplice violenza. E non si tratta purtroppo di un appello generico, di qualcosa che riguardi la teoria pura, l’astratta speculazione filosofica. Centinaia di milioni di esseri umani hanno sperimentato sulla loro pelle le dolcezze della doppia, o tripla, o ennesima morale!

Quella di cui si è finora parlato è una concezione per così dire coerente e “completa” della doppia morale, diversa dalle forme concrete che oggi essa assume, specie nel nostro paese. In Italia la cultura, specie, mi spiace doverlo dire, quella di sinistra, è influenzata profondamente da concezioni della vita e del mondo assolutiste e totalizzanti, ma non si può dire che esistano oggi nel nostro paese una filosofia ed un’ideologia coerentemente totalitarie ed assolutiste ed una corrispondente doppia morale. Le ideologie totalizzanti esistono in Italia e più in generale nell’occidente ma non hanno neppure lontanamente l’interna coerenza e la compattezza che le aveva caratterizzate nel secolo scorso. Esse appaiono oggi come i resti di un naufragio piuttosto che come una compatta e temibile arma di guerra teorica. Non più coerenti ideologie da combattimento ma un’insieme di idee frivole, spesso contraddittorie fra loro, ammantate di una profondità solo apparente, variabili a seconda delle mode. Tutte però con pretese di assolutezza, tutte, nel loro piccolo, totalizzanti, autoreferenziali, chiuse in sé stesse, inservibili per qualsivoglia dialogo e confronto; e tutte strillate da piccoli personaggi che credono, ognuno trincerato nella sua nicchia socio ecologica, di aver trovato la chiave della universale felicità. La doppia morale nell’Italia di oggi non ha la spaventosa coerenza che aveva, ad esempio, la doppia morale staliniana: non è più teorizzazione di una morale particolare per gli individui cosmico storici ma, più banalmente, ipocrisia. E l’ipocrisia è una forma depotenziata, deviata e meschina di doppia morale. Consiste nel far proprie a parole le norme della comune morale, nel pretendere che gli altri le osservino con la massima coerenza, salvo poi ignorarle allegramente, queste norme tanto esaltate e difese a parole. “Il politico deve essere adamantino anche nella sua vita familiare!” esclamano pieni di sacro furore i nuovi moralisti, poi si scopre che vanno a trans. “Niente inquisiti nelle liste elettorali!” aggiungono, poi, gratta gratta, qualche inquisito nelle loro liste lo si trova. “Basta con intollerabili sprechi di energia!” urlano con voce rotta dall’emozione, poi si scopre che uno dei massimi guru del radicalismo ecologico vive in una villa faraonica che necessita, per essere illuminata e riscaldata, di tanta energia da poter illuminare e riscaldare un centinaio di condomini. Si potrebbe andare avanti molto a lungo.
L’uomo della doppia morale di oggi non è più il rivoluzionario coerente, il fanatico pronto a far fucilare la madre in nome della causa. E’ il burocrate di partito, il giornalista d’assalto, l’intellettuale frivolo ed “impegnato”. Questi personaggi non contrappongono altre e “più elevate” norme etiche a quelle della morale comune. Al contrario esigono spesso da parte dei loro avversari il rispetto assoluto, puntiglioso, rigorosissimo non solo della norma morale ma di ogni articolo e comma di ogni legge, regolamento o uso normativo in vigore; non a caso molto spesso eleggono a loro idoli i magistrati. Ma proprio in questa esaltazione quasi fanatica del valore della legge si cela la loro doppiezza morale. Si, doppiezza morale perché si vede subito che per questi paladini della legalità certe leggi sono più legali di altre. Un ultra legalitario pedante dovrebbe pretendere l’applicazione rigorosissima di ogni legge che sia stata regolarmente approvata dal parlamento, questi però si comportano un po’ diversamente e sono pronti a non ritenere valide certe leggi da loro definite “leggi vergogna” o “ad personam”, malgrado si tratti di provvedimenti assolutamente regolari. Ed ancora, malgrado non facciano altro che strillare “legalità” questi ultra legalitari in certi casi non solo chiudono un occhio di fronte ad azioni del tutto illegali, ma giungono addirittura ad approvarle. Tipico l’atteggiamento nei confronti dell’aggressione subita dal presidente del consiglio che alcuni hanno condannato solo per ipocrisia mentre altri, più coerenti, (si pensi al filosofo Gianni Vattimo) hanno entusiasticamente esaltato. Ma questi sono in fondo solo dettagli. Il punto davvero centrale è un altro. Ed è che questa azione di difesa assoluta, puntigliosa, rigorosissima della legalità finisce spesso e volentieri per stravolgere il senso stesso del termine legalità. “Rispettare le leggi, in galera i ladri e i corrotti” strilla il “popolo viola”, ma proprio la legge ci dice che qualcuno può essere definito ladro o corrotto solo dopo una sentenza definitiva di condanna. “Difendere la costituzione”, incalzano riferendosi, ad esempio, alla legge sulla durata certa dei processi o a qualsiasi tentativo di riforma costituzionale, ma è proprio la costituzione ad affermare, all’articolo 111, che la durata ragionevole del processo deve essere stabilita per legge ed è ancora la costituzione a prevedere le procedure per la sua stessa modifica. Nelle mani dei giustizialisti forcaioli, solo falsamente legalitari, la legge cambia radicalmente aspetto: da strumento di civile convivenza diventa un’arma di aggressione politica, una autentica clava che astuti demagoghi cercano di usare per fini che con la difesa della legalità non hanno nulla a che vedere. E così i campioni della legge e della morale si rivelano per quelli che sono: ipocriti campioni di una nuova forma di doppia morale. Certo, meglio queste meschine caricature di Maximilien Robespierre che non i fanatici di ieri, gli adoratori dei baffetti e dei baffoni che hanno riempito il mondo di cadaveri. Tutto vero, però… che tristezza!

giovedì 25 febbraio 2010

Considerazioni sul caso Mills

La corte di cassazione ha annullato il processo Mills stabilendo che il reato per
cui l'avvocato inglese è stato condannato sia in primo che in secondo grado è prescritto. E' da notare che il problema della prescrizione era stato dibattuto nei due precedenti gradi di giudizio. Pur di giungere alla condanna i giudici di primo e secondo grado avevano infatti postdatato il reato dal novembre 1999 al febbraio 2000 e la difesa aveva duramente crtiticato questa loro decisione. Non solo, il processo di appello all'avvocato inglese è stato celebrato con una rapidità assolutamente incredibile, visti i tempi biblici della giustizia italica: meno di due mesi! E' piuttosto evidente che i giudici di Milano volevano ad ogni costo arrivare ad una sentenza di condanna, il loro vero obiettivo non era infatti Mills ma Sivio Berlusconi.
Sono in molti ora ad affermare che non di assoluzione si tratta ma di prescrizione. Berlusconi, dicono, è un corruttore, solo, se la cava grazie alla prescrizione. Inoltre i termini di prescrizione erano stati ridotti nel 2005 dalla legge Cirielli, quindi il cavaliere si sarebbe ancora una volta costruito ad arte l'impunità. Su quest'ultimo punto bastano due telegrafiche considerazioni: la Cirielli è del 2005, ha senso sostenere che sia stata fatta in previsione di una sentenza che è arrivata cinque anni dopo? Inoltre, dieci anni non sono abbastanza per prescrivere un reato come quello di cui era accusato Mills?
Queste tuttavia sono inezie. Il vero punto è un altro e riguarda la mentalità forcaiola che certi commenti sottintendono. Per i (troppi) giustizialisti italici chi è assolto per prescrizione in realtà è colpevole, le cose sono invece del tutto diverse. Vediamo perchè.
In tutti i paesi civili vige il principio della presunzione di innocenza. L'imputato è innocente fino a prova contraria, è l'accusa che deve provare la sua colpevolezza e deve farlo entro certi tempi e seguendo determinate procedure. Se l'accusa non riesce a provare la colpevolezza dell'imputato o non riesce a farlo entro un certo periodo di tempo e seguendo determinate procedure, l'imputato è INNOCENTE, lo è per il semplicissimo motivo che l'innocenza è presupposta, non è qualcosa che l'imputato debba dimostrare. Semplice no? Si, semplicissimo, semplicissimo per chiunque abbia almeno una vaga idea di cosa sia lo stato di diritto.
Nello stato di diritto non solo viene presupposta l'innocenza del cittadino ma chi intende provarne la colpevolezza deve farlo, è bene ripeterlo, entro certi tempi e seguendo certe procedure. Il perchè è del tutto evidente. La colpevolezza deve essere dimostrata entro certi tempi perchè un cittadino non può essere indagato a vita nè può essere chiamato a rispondere oggi di presunti reati commessi trenta o quaranta anni fa, fatti salvi naturalmente pochi reati gravissimi che non cadono mai in prescrizione. I termini di prescrizione costituiscono insomma una elementare norma che difende il cittadino da sempre possibili azioni persecutorie che qualche magistrato può tentare nei suoi confronti; esistono da gran tempo in tutti i paesi dell'occidente e nessuno in quei paesi si sogna neppure di assimilare ad una condanna una assoluzione per prescrizione. In Italia invece per molti prescrizione è sinonimo di condanna.
E parimenti la colpevolezza deve essere dimostrata seguendo particolari procedure perchè se questo non avvenisse sarebbe aperta la porta ai peggiori arbitri, alle offese più macroscopiche ai diritti della persona. Una parte della sinistra un tempo queste cose le sapeva bene, basti pensare ai radicali, oggi le cose sembrano cambiate, purtroppo.
A mio parere nel nostro paese sta riprendendo piede una mentalità forcaiola che solo poco tempo fa sembrava sconfitta. Molti italiani sono convinti che in nome della lotta alla corruzione sia possibile mettere fra parentesi i diritti della persona, che la presunzione di innocenza sia una inutile formalità, la prescrizione un mezzo per farla franca, la durata certa dei processi un'arma in mano ai corrotti ed ai corruttori. Molti italiani odiano talmente il presidente del consiglio che sarebbero disposti a sbaraccare il garantismo liberale pur di vederlo cadere per mano dei giudici. A loro si può solo dire di stare attenti. Quando si aggrediscono le fondamenta stesse dello stato di diritto non si sa mai dove si va a finire.

mercoledì 24 febbraio 2010

Orlando Zapata

Cuba, morto un operaio dissidente
Dopo 85 giorni di sciopero della fame

Un operaio dissidente cubano, Orlando Zapata, è morto all'ospedale dell'Avana dove si trovava ricoverato dopo 85 giorni di sciopero della fame. Lo ha reso noto Elizardo Sanchez, portavoce della Commissione cubana dei diritti umani e riconciliazione nazionale. Sanchez ha ricordato che Zapata aveva 44 anni. Si tratta di "un omicidio mascherato da una copertura giudiziaria carceraria", ha accusato Sanchez.

Scommetto che non ci saranno cortei, manifestazioni, scioperi per questo morto. Gli "intellettuali progressisti" non firmeranno sdegnate lettere di denuncia, i preti "amici dei poveri" e "dialoganti" non terranno sermoni nè inviteranno a pregare per Orlando Zapata. La sinistra italiana, purtroppo, non è come quella britannica: Chavez e Fidel sono ancora personaggi che fanno fremere d'emozione tipi come Diliberto e Ferrero (e magari anche Franceschini e Rosy Bindi). Questi personaggi sono pronti a strillare contro l'immoralità dilagante, si indignano per una tangente, magari presunta, sono pronti a lottare contro la "dittatura mediatica" di Berlusconi, si battono eroicamente per la libertà di Santoro e Travaglio. Ma la morte di un dissidente cubano dopo 85 giorni di scipero della fame non provoca loro particolari mal di pancia. E si, non vivono a Cuba questi eroi, vivono in pieno inferno berlusconiano! La loro pancina è ben piena!

giovedì 18 febbraio 2010

La Stasi e gli spioni italiani

Qualcuno si ricorda, penso, del film "Le vite degli altri" di Florian Helckel. Il film, molto bello, narra la vicenda del capitano Gerd Wiesler, agente della Stasi nell'ex Ddr, che spia giorno e notte Georg Dreyman, un noto drammaturgo sospettato di essere ostile al regime. In casa di Dreyman sono state installate numerose "pulci" e così tutta la sua vita è costantemente monitorata dagli zelanti spioni della stasi. Nulla sfugge ai difensori del regime: i dialoghi, i litigi fra il drammaturgo e la sua compagna, le parole dolci, i mugolii o le urla di piacere che accompagnano gli amplessi amorosi: tutto è spiato, registrato, catalogato.
Quello che appare particolarmente inaccettabile in una simile prassi non è solo, nè principalmente, il fatto che essa sia finalizzata a scoprire dei "reati" che tali non sono: il "crimine" di cui è sospettato Dreyman altro non è che un atteggiamento critico nei confronti di un regime anti democratico e illiberale. Ad essere forse ancora più inaccettabile è la totale mancanza di indizi, addirittura la assoluta mancanza di fatti "criminosi" che in qualche modo possano giustificare lo spionaggio totale a cui è sottoposto Drayman. Si spia Drayman perchè "forse" è colpevole di qualcosa, perchè "uno come lui di certo deve essere un dissidente". La logica degli agenti della Stasi è la seguente: "Spiamo, qualcosa verrà fuori e se non viene fuori nulla, pazienza, avremo pur sempre tenuto sotto controllo un individuo pericoloso".
Non vorrei essere troppo polemico ma, non c'è qualche analogia fra un simile modo di pensare e di agire e ciò che avviene oggi in Italia? Davvero in Italia si intercettano solo le persone coinvolte in specifici eventi criminosi e contro cui esistono reali indizi di colpevolezza? Non si fanno forse in Italia le intercettazioni "a strascico"? Nessuno nel nostro paese fa propria la filosofia secondo cui è giusto spiare un cittadino per appurare se "per caso ha commesso qualche reato"? Qualche dubbio in proposito è lecito averlo a mio modesto parere, non foss'altro per il fatto che negli Stati uniti si effettua una quantità di intercettazioni telefoniche enormemente inferiore che in Italia, e gli Stati uniti sono un po' più grandi dell'Italia e non sono certamente esenti da problemi inerenti la criminalità.
Ma in Italia, a differenza che nella ex Ddr, le intercettazioni devono essere autorizzate dal magistrato, si potrebbe dire. Certo, nessuno afferma che l'Italia di oggi sia come la ex Ddr, ci mancherebbe altro! Tra l'altro in Italia ci si limita alle intercettazioni telefoniche, non si piazzano "pulci" che permettano a qualcuno di spiarci anche quando espletiamo le nostre funzioni corporali ( forse a qualche politico italiano una cosa simile non dispiacerebbe...). Nessun paragone fra Italia e Ddr quindi, però... però in Italia non esiste divisione delle carriere fra magistratura inquirente e magistratura giudicante: chi concede l'autorizzazione a intercettare è un collega di chi la chiede e sa bene che domani i ruoli potrebbero invertirsi. Inoltre in Italia non esiste responsabilità civile per i magistrati e chi è intercettato non potrà domani chiedere i danni al magistrato se questi non ha usato con la dovuta, necessaria, cautela il potere di autorizzare le intercettazioni. Insomma, ci sono molte buone ragioni per ritenere che in Italia l'autorizzazione del magistrato non sia di per sè una garanzia sufficiente contro gli abusi di intercettazioni.
Ma la cosa davvero pericolosa nel nostro paese è il clima forcaiolo che purtroppo caratterizza vasti strati della pubblica opinione. "Si spiino tutti! Chi non ha fatto nulla non ha nulla da temere!": sono in molti a dire simili mostruosità.
In primo luogo, chi dice che chi non ha fatto nulla non ha nulla da temere? Se un PM è in possesso di informazioni sul mio conto, informazioni irrilevanti dal punto di vista penale ma imbarazzanti da quello personale, non potrebbe usarle a fini "impropri"? Nel film di Helckel un alto burocrate della Stasi usa le prove accumulate contro il drammaturgo per indurre la sua compagna a concedergli dei favori sessuali; molti organi di stampa raccontano che quando era PM Di Pietro si è fatto concedere dei prestiti da suoi indagati. Di certo si tratta di menzogne, ma.. non è meglio non accumulare troppo potere nelle mani di chi indaga su di noi?
Ma, anche a prescindere da queste considerazioni, il diritto alla privacy è assolutamente fondamentale, è alla base dello stato di diritto! In una società libera deve esistere un'area in cui il singolo è il solo a decidere. Mi sposo o resto scapolo? Devo avere o non avere dei figli? Preferisco fare il bancario o il metalmeccanico? Credo in Dio? La filosofia di Kant mi convince più o meno di quella di Hegel? A chi voglio far conoscere i miei affari privati? Su tutte queste cose è il singolo, solo lui, a poter decidere. In particolare, solo il singolo può decidere a chi parlare degli affari suoi, quali affari privati far conoscere agli altri e in che modo farli conoscere. Questo diritto fondamentale del cittadino può essere limitato, temporaneamente, solo se a suo carico esistono seri indizi di coinvolgimento in specifiche attività criminose. Fare a pezzi questo ed altri diritti personali per mettere le manette ad un paio di corrotti in più è semplicemente criminale. Meglio un paio di tangenti in più che una gran quantità di diritti in meno! E' triste anche solo il doverle ricordare cose simili!

sabato 13 febbraio 2010

Craxi e tangentopoli

Non mi è capitato di sentire nei dibattiti e nelle polemiche di questo periodo sulla figura di Bettino Craxi una considerazione che mi sembra invece piuttosto importante. Se si esamina tutta la vicenda di tangentopoli non si può non restare colpiti dalla stridente sproporzione fra l’ampiezza e le conseguenze politiche delle inchieste giudiziarie e la pochezza dei risultati strettamente processuali delle stesse. Tangentopoli azzerò una intera classe dirigente, distrusse il più vecchio partito italiano, il Psi, e un partito come la DC che aveva governato l’Italia per circa 45 anni. Non solo, dalle inchieste emerse il quadro desolante di una Italia in cui occorreva pagare tangenti anche per starnutire, un paese in preda ad una corruzione dilagante ed omnicomprensiva. Ebbene, quali sono stati i risultati giudiziari di un così vasto terremoto politico e sociale? Ben misera cosa in verità. L’elenco dei politici condannati in via definitiva è estremamente ridotto, le condanne in molti casi quasi irrisorie con pene spesso patteggiate e in molti casi coperte dai benefici di legge. Insomma, i politici inquisiti dai giudici di mani pulite il carcere se lo sono fatto più prima che dopo i processi; il numero di anni di carcere scontati in seguito alla più devastante inchiesta giudiziaria della storia d’Italia è incredibilmente basso. Cinque, sei anni dopo l’inizio del ciclone giudiziario tutti i principali politici indagati erano liberi come uccellini, e non solo liberi, molti di loro continuavano a fare politica, sia pure non più da protagonisti ma da semplici comprimari, tutti meno uno: Bettino Craxi. Al momento della scomparsa il leader socialista aveva collezionato due condanne definitive per circa dieci anni di carcere e altre due condanne non definitive per altri dieci. Nessuno di coloro che vennero coinvolti in tangentopoli, compresi alcuni strettissimi collaboratori di Craxi, fu colpito in maniera anche lontanamente paragonabile. Si noti che in Italia uno stupratore assassino si becca, se la corte è davvero severissima, quindici, venti anni di carcere: gli stessi comminati a Bettino Craxi.


Coloro che oggi abbaiano contro il leader socialista e continuano a definirlo un criminale dovrebbero rispondere ad alcune domande.

Prima domanda. Davvero un uomo solo può essere ritenuto responsabile di una corruzione tanto diffusa e capillare? Se l’Italia era il paese delle tangenti possibile che di tutte l’unico beneficiario fosse Bettino Craxi? Eppure i verdetti dei tribunali dicono precisamente questo: Craxi è stato non il principale ma l’unico responsabile della corruzione che per decenni ha avvelenato l’Italia. Gli altri sono stati solo dei modesti comprimari, figure di scarsa importanza, ladruncoli di periferia.

Seconda domanda. Nel nostro paese la corruzione non è iniziata nel 1992, nemmeno nel 1990 o nel 1989. I fenomeni di corruzione e di finanziamento illegale dei partiti duravano da un sacco di tempo quando finalmente i giudici li scoprirono. Come mai gli angeli della giustizia hanno atteso così tanto prima di intervenire? Vivevano in un paese in si pagavano tangenti anche sull’aria e non si erano accorti di nulla per decenni? Misteri italiani!

Terza domanda. Il Pci venne finanziato per decenni dall’Urss, paese che era a capo di una alleanza militare ostile all’Italia ed in cui centinaia di migliaia di esseri umani erano ospiti di confortevoli lagher. Nel 1994 l’allora leader Mikhail Gorbaciov in visita in Italia affermò candidamente che il Pci era stato finanziato dall’Urss fin quasi alla caduta del muro di Berlino. Dopo queste dichiarazioni furono fatte alcune frettolose indagini che non portarono ad alcun risultato. Eppure che il Pci si facesse finanziare dall’Urss lo sapevano tutti, lo ammettevano gli stessi leader del partito precisando tuttavia che si trattava, contrariamente a quanto affermato da Gorbaciov, di cose vecchie, roba del dopoguerra. Non solo, anche il Pci aveva goduto dei suoi finanziamenti illeciti “casalinghi”, specie tramite il sistema delle cooperative; ci fu chi indagò su queste ma, di nuovo, le indagini si persero nel nulla. E’ lecito ritenere che se i magistrati avessero dedicato ai finanziamenti, antichi e recenti, nazionali ed esteri, al Pci un decimo, un centesimo del tempo e delle energie che avrebbero dedicato a Silvio Berlusconi forse ne sarebbero venute fuori delle belle?

Piaccia o non piaccia a chi abbaia Craxi ha pagato per tutti, è stato fatto apparire come l’unico responsabile di un sistema estremamente diffuso di cui tutti, chi più chi meno, hanno beneficiato. Le ponderate ma ferme parole del presidente Napolitano suonano a questo proposito quanto mai opportune. Proprio queste parole ed il vasto consenso di cui sono state fatte oggetto testimoniano che ormai i tempi sono cambiati. Ormai la verità sta faticosamente venendo a galla e porzioni sempre maggiori di pubblica opinione si rendono conto che nel nostro paese sono state commesse, in nome della onestà e della giustizia, molte ingiustizie e molte prevaricazioni. Un leader letteralmente braccato dalla magistratura come è oggi Silvio Berlusconi sarebbe stato letteralmente spazzato via “dall’indignazione popolare” ai tempi di tangentopoli, oggi gode di un solido e vasto consenso popolare malgrado, forse addirittura a causa, le indagini di cui è oggetto. Chi oggi latra ed abbaia contro Craxi questo a Berlusconi non lo perdonerà mai. Affari suoi. Continui pure a latrare e ad abbaiare.