domenica 28 marzo 2010

Vittorio Feltri e l'ordine dei giornalisti

La sospensione di Vittorio feltri decisa dall'ordine dei giornalisti in relazione alla vicenda Boffo merita a mio parere alcune parole di commento.

1) Feltri pubblicò il dispositivo di una sentenza di condanna (patteggiata) a carico del direttore dell'"Avvenire" Dino Boffo. questa non è in discussione, la condanna c'è stata e nessuno la ha mai messa in discussione.

2) Oltre al dispositivo di condanna pubblicò un documento in cui si affermava tra l'altro l'omossessaulità di Boffo.

3) Su questo documento si concentrarono le critiche e le smentite. Feltri invitò Boffo, ed i suoi occasionali difensori, a rendere pubblici gli atti del procedimento a suo carico concluso con il patteggiamento della pena. Questi però non vennero resi noti in quanto secretati. Se fossero stati subito resi noti, come più volte richiesto da Feltri, ogni equivoco si sarebbe chiarito.

4) Le informazioni fornite dal famoso documento si rivelarono poi false. Feltri ammise subito l'errore e si scusò pubblicamente con Boffo. Va sottolineato che la falsità si limita alle informazioni del documento, non alla sentenza di condanna, che resta comunque la cosa più importante.

Questi i fatti. Ora, sempre rapidamente e per punti, qualche commento.

1) Affermare che Boffo (o chiunque altro) è omossessuale non significa insultarlo.

2) In Italia tutto è secretato, meno gli atti delle innumerevoli indagini a carico del presidente del consiglio. Queste sono note a quotidiani come "la repubblica" o "Il fatto quotidiano" prima che alla persona indagata. Si tratta di uno scandalo inconcepibile in qualsiasi altro paese occidentale, scandalo che non suscita indignazione alcuna negli italici difensori della libertà.

3) Feltri in tutta la vicenda si è comportato in maniera corretta. Ha pubblicato una notizia sostanzialmente vera, ha chiesto che venissero resi noti i documenti capaci di smentire alcuni fatti connessi a tale notizia, si è scusato quando è emerso che questi fatti erano non veri. Magari facessero così altri giornalisti che non chiedono scusa neppure quando sono condannati per diffamazione (ogni riferimento a Marco Travaglio è voluto).

4) La sospensione decretata dall'ordine a carico di Feltri è quindi un gesto fazioso non a caso diretto contro un giornalista scomodo, le cui idee si possono o meno condividere, ma a cui non si può negare il gran pregio della coerenza.

5) L'ordine dei giornalisti è una istituzione feudale, una corporazione che non ha alcun senso se non quello di difendere i giornalisti "ufficiali" dalla concorrenza e conferire ad un branco di burocrati un gran potere di controllo sulla carta stampata.

6) In Italia esiste davvero pericolo per la libertà di espressione. E uno dei pericoli maggiori viene proprio da coloro che si mobilitano in "difesa" di questa fondamentale libertà. Tanto per essere chiari, immaginiamo l'Italia retta da un governo presieduto da Antonio di Pietro, con De Magistris ministro della giustizia, Santoro ministro della pubblica istruzione e Travaglio a capo di un ministero di nuova formazione: quello sui media e l'educazione popolare. In una simile Italia ci sarebbe più o meno libertà, libertà in generale e libertà di informazione? Ognuno ci faccia un pensierino.


martedì 23 marzo 2010

Marco Travaglio

Culturalmente, politicamente e moralmente Marco Travaglio è una nullità, visto però che si tratta di una nullità che vanta un certo numero dei seguaci, e che ci è imposta in programmi televisivi pagati coi soldi dei contribuenti, può valere la pena di riportare e commentare alcune sue affermazioni. Ho letto in rete un suo articolo: "l'armadio degli scheletri", turiamoci il naso e dedichiamogli un po' di attenzione.

Così esordisce Marco: "per un giornalista, le condanne per diffamazione sono incerti del mestiere, come i tamponamenti per un tassista che passa la sua giornata in automobile, come le uscite fuori pista per i piloti di formula uno, come le papere per un portiere o i gol sbagliati per un centravanti".
Dare de ladro a Tizio o del pedofilo a Caio sarebbe un normale incerto del mestiere, con questo ragionamento si può dire che prendere a pugni Travaglio è un normalissimo incerto del mestiere per un pugile, o farlo arrestare senza motivo alcuno e tenerlo un mesetto in galera è un normale incerto del mestiere per un poliziotto. Punti di vista..
Perchè diffamare Tizio o Caio sarebbe un "incerto del mestiere"? Marco ha subito pronta la risposta:
"Chi scrive tutti i giorni uno o due o anche tre articoli, con i tempi stringenti del quotidiano, può incappare in errori, omissioni, imprecisioni, casi di omonimia, inesattezze." Insomma, tutti possono sbagliare no? Certo, tutti possono sbagliare, però tutti i giornalisti hanno il dovere di stare bene attenti a quello che scrivono, specie se quello che scrivono consiste in accuse molto gravi a carico di Tizio e Caio. Se un medico sbaglia e manda all'altro mondo un paziente rischia di finire sotto processo, se un tassista mentre guida pensa ai cavoli suoi e tampona questo e quello si troverà a dover pagare tanti bei soldini, se un portiere esce sempre a vuoto finisce fuori squadra. Inoltre, se uno sbaglia dovrebbe, una volta appurato l'errore, dichiararlo e chiedere scusa a chi ha diffamato, ma queste cose il caro Marco si guarda bene dal farle. Diffama, sbaglia, ricomincia a diffamare.
Travaglio ha subito alcune condanne per diffamazione ma, si affretta a precisare: " non ci sarebbe nulla di disdicevole in una condanna (a meno che non si accertasse che ho mentito sapendo di mentire, raccontando consapevolmente notizie false e tradendo così la fiducia del lettore o del telespettatore). Ma, almeno finora, questa condanna definitiva non è arrivata". Fantastico! Val la pena di fare due considerazioni:
1) Per Travaglio non c'è nulla di disdicevole in una condanna per diffamazione, a meno che non si provi che ha mentito sapendo di mentire. Ma, una condanna per diffamazione attesta il FATTO che il tale ha mentito. Che lo abbia fatto "sapendo di mentire" o perchè ha pubblicato notizie senza darsi cura di verificarle è cosa che riguarda lo psicologo più che il giudice. Se qualcuno dicesse a Feltri: "Di Pietro è un pedofilo" e Feltri l'indomani sbattesse in prima pagina la notizia, Feltri, se la notizia si rivelasse falsa, sarebbe un diffamatore, punto e basta.
2) Travaglio invoca la presunzione di innocenza! Afferma che non esistono SENTENZE DEFINITIVE di condanna nei suoi confronti! Evviva, Travaglio è un garantista, un legalitario, uno che si attiene alla lettera della legge! Ma, quante condanne definitive esistono a carico di Berlusconi, su cui da oltre 15 anni indagano a tempo pieno centinaia di magistrati? Berlusconi si fa le leggi ad personam direbbe Travaglio. Ma, si tratta di leggi regolarmente approvate dal parlamento, promulgate dal capo dello stato, iscritte nella gazzetta ufficiale, piaccia o non piaccia a Travaglio si tratta di LEGGI. Non è che per dover essere valida una legge deve prima ricevere il placet di Travaglio, per fortuna non siamo ancora a questo punto. Quando Di Pietro sarà presidente del consiglio e Travaglio ministro della giustizia avremo le leggi ad personam contro Berlusconi, per ora Marco deve aspettare.

Ma Marco non finisce qui, non termina di stupire! Guardiamo cosa dice sul risarcimento danni:
"Tutt’altro discorso meritano le cause civili per risarcimento dei danni, che portano a un processo del tutto diverso da quello penale: nessuna indagine per accertare i fatti, solo la fredda quantificazione del danno, morale e/o patrimoniale e/o biologico. Paradossalmente, si può danneggiare qualcuno ed essere condannati a risarcirlo anche se si è scritta la verità sul suo conto, ma non lo si è fatto con la necessaria “continenza” espressiva. (..) se un giudice mi ritiene tale a suo insindacabile e soggettivissimo giudizio, non mi resta che pagare, anche se la condanna è solo in primo grado".
Se devo pagare dei danni ciò significa che ho arrecato un danno ingiusto a qualcuno, questo Travaglio non lo dice, in compenso polemizza fra le righe contro "l'insindacabile e soggettivissimo giudizio del giudice"! Proprio lui, che dei giudici ha fatto una sorta di nuovi angeli! E si lamenta che LUI debba pagare prima della sentenza definitiva! Se invece questo inconveniente capita a Mediaset siamo di fronte ad un atto di profonda giustizia! Ma Travaglio raggiunge il vertice quando si lamenta del fatto che si sanzioni un linguaggio "non continente". Insomma, se Tizio si è fatto pagare una tangente ed io dico che è il peggior criminale del mondo, l'unico verme che ha osato commettere un crimine tanto esecrabile, magari incito la folla a linciarlo, non ci sarebbe nulla di sbagliato, nulla di "sanzionabile". Prima Travaglio pretende che la diffamazione sia un incerto del mestiere, poi si arroga il diritto di coprire di insulti chiunque abbia commesso la minima illegalità. Diffamare è un giochino da scolaretti, pagare mille euro ad un sottuficiale della guardia di finanza un crimine esecrabile. Punti di vista.
Per farla breve, Travaglio è il campione della ipocrisia e della doppia morale, forcaiolo con gli altri ma garantista con sè stesso, legalitario fino all'eccesso ma capace di discriminare allegramente fra le leggi: alcune devono sempre essere osservate al mille per cento, altre possono tranquillamente essere ignorate. Insomma, si tratta di un uomo piccolo e meschino. Non val la pena di occuparsi ancora di lui.

mercoledì 17 marzo 2010

Beethoven



Se l'arte è una prefigurazione dell'assoluto forse nessun capolavoro si avvicina tanto all'originale come la nona sinfonia di Beethoven. Ascoltandola, e tutte le volte che la ascolto mi viene la pelle d'oca, mi sento nel contempo schiacciato ed elevato, oppresso dal peso di tanta grandezza ma portato contemporaneamente in alto da questa, incredibile, grandezza.
Qualcuno, forse Schubert, ha detto che dopo la nona era impossibile continuare a scrivere musica. Brhams fu letteralmente ossessionato dalla nona. Ci mise anni per comporre la sua prima sinfonia perchè oppresso dalla grandezza dell'ultima composizione sinfonica di Beethoven. Ma alla fine condusse a termine la sua opera. La prima di Brhams è una sinfonia stupenda ma, soprattutto, è la prima di Brhams, non la decima di Beethoven come qualcuno scioccamente la definì. La grandezza a volte sembra schiacciarci ma, se ci si avvicina umilmente ad essa, se si cerca di comprenderla, se la si ama, ci aiuta a a far venire fuori il meglio che c'è in noi. Chi è davvero grande riesce a rendere un po' meno piccoli coloro che grandi non sono. In un momento come questo, caratterizzato dal latrare di cani rabbiosi, ragli d'asino e cicaleccio frivolo di pseudo intellettuali ascoltare la "nona" è un autentico balsamo per l'anima. Ci fa capire che nel mondo c'è spazio per il bello, il grande, il buono.

martedì 16 marzo 2010

Concussione ed intercettazioni

Così il codice penale definisce, all’articolo 317, il reato di concussione:

Art. 317 Concussione
Il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, che, abusando della sua qualita' o dei suoi poteri, costringe o induce taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o ad un terzo, denaro od altra utilita', e' punito con la reclusione da quattro a dodici anni (1).

Non ho letto le intercettazioni effettuate a danno del premier dalla procura di Trani, pare che a certo materiale abbia facile accesso solo Marco Travaglio, ma, ammettiamo pure che in esse compaiano frasi tipo: “Santoro dice cose indecenti, bisognerebbe chiudere anno zero”, oppure: “Non è possibile impedire a questi personaggi di diffamare mezzo mondo in TV?”. Ammettiamo pure che frasi simili possano essere “scappate” al premier, ebbene, cosa avrebbero a che vedere con la concussione o con le “minacce”? Definire fazioso Santoro ed auspicare che la smetta di comparire in Tv pagato coi soldi dei contribuenti sarebbe “concussione”? Pretendere che la TV pubblica mandi in onda programmi equilibrati, in cui si dia spazio a tutte le posizioni e tutti possano parlare senza essere interrotti dal conduttore o zittiti, intimiditi dalla claque significherebbe “minacciare” qualcuno? Per il codice penale si ha concussione quando un pubblico ufficiale usa il suo potere per ottenere, per sé stesso o per un terzo, denaro o favori. Se, nelle telefonate incriminate, davvero Silvio Berlusconi mirava ad ottenere dei “favori”, si trattava di “favori” di cui sarebbero stati beneficiari milioni di Italiani! Verrebbe voglia di dire: “siamo tutti concussori”!

A parte queste considerazioni semi serie dalla vicenda grottesca di Trani emerge un fatto allucinante. L’inchiesta riguardava, e riguarda, una truffa sulle carte di credito, qualcosa che con la concussione e Santoro non ha nulla a che vedere. Ad un certo momento, stranamente, i magistrati si sono dimenticati dell’obbiettivo dell’inchiesta e si sono messi ad indagare, indovina su chi? Su Silvio Berlusconi, e lo hanno allegramente intercettato. Insomma, ormai è del tutto chiaro che il presidente del consiglio, una persona posta a capo di un organo costituzionale, è intercettato praticamente a tempo pieno. Se, per caso, in una inchiesta per abigeato qualcuno fa il nome di Berlusconi, subito i solerti magistrati smettono di interessarsi dell’abigeato e cominciano ad intercettare le telefonate del premier. Si tratta di cose che non hanno riscontro alcuno nei paesi civili dell’occidente. In questi paesi si intercetta qualcuno a fronte di ipotesi certe di reati gravi, e solo se la persona da intercettare è indiziata di questi reati. In Italia si fanno invece le intercettazioni “a strascico”: intercettiamo Tizio, Caio e Sempronio per un bel po’ di tempo, (sei mesi, un anno, due anni) e vediamo se per caso loro, o altri che parlano con loro, hanno commesso qualche reato: roba degna della Stasi, indegna di un paese che voglia, anche alla lontana, essere considerato democratico!

Certo, cose simili non indignano coloro che hanno fatto dell’odio per il premier il fine della loro esistenza. Se questi personaggi avessero però la minima capacità di pensare dovrebbero, anche loro, preoccuparsi. Si, preoccuparsi perché non è detto che i magistrati riservino simili “attenzioni” sempre e solo a Silvio Berlusconi! In Italia la magistratura è sottratta ad ogni controllo ad essa esterno, non esiste in Italia responsabilità civile dei magistrati né divisione delle carriere fra giudici e PM. In Italia di fronte ad una richiesta di intercettazioni, che costano tra l’altro somme enormi, pagate dal contribuente, nessuno che non sia un collega del PM che le ha richieste può dire nulla. Insomma, l’italica magistratura dispone di un potere enorme che può usare contro chi vuole. E questo potere praticamente illimitato la magistratura può usarlo contro i politici, soprattutto contro un politico, ma può usarlo anche contro un qualsiasi cittadino. Le inchieste fasulle possono indirizzarsi contro Berlusconi, che può certamente permettersi di spendere una fortuna in avvocati, ma possono colpire anche Pinco Pallo che non ha questa possibilità. E’ incredibile che la sgangherata “sinistra” italiana non capisca tutta la gravità di una simile situazione. E’ talmente accecata dall’odio contro Berlusconi da mettersi al seguito di un forcaiolo come Di Pietro, senza capire che l’irresponsabilità e la politicizzazione della magistratura possono finire per travolgere anche lei. Povera sinistra! E, soprattutto, poveri noi!!

giovedì 11 marzo 2010

La filosofia politica di Antonio Di Pietro, e di quelli come lui



Parlare di filosofia politica a proposito di un tipo come Antonio Di Pietro può lasciare perplessi. “Ma come” potrebbe dire qualcuno “filosofia politica di Di Pietro? Un tipo che odia i congiuntivi almeno quanto Silvio Berlusconi? Lasciamo perdere..”. Questo però sarebbe un discorso profondamente errato. Certo, la teoria astratta non è il forte di Tonino ma in questo tutto sommato egli non si differenzia troppo da molti altri politici. Anche nell’azione di uno come lui sono però rinvenibili alcune idee generali, una certa concezione se non del mondo quanto meno della società e dei suoi problemi. Anche se si tratta di qualcosa di estremamente rozzo esiste una filosofia politica che in qualche modo ispira le idee e le azioni di Antonio Di Pietro e di altri come lui: Marco Travaglio e Beppe Grillo, per fare due nomi a caso. Ed è molto importante capire bene in cosa consiste questa grossolana filosofia politica perché non si tratta di qualcosa di marginale o assolutamente minoritario nella società italiana. Il dipietrismo, o il grillismo, suo equivalente più goliardico e sboccato, sono fenomeni estremamente pericolosi e negativi ma, proprio per questo, vanno combattuti a tutti i livelli, compreso il fondamentale livello teorico. Piaccia o non piaccia la cosa occorre misurarsi col pensiero di Antonio Di Pietro e di altri come lui. Certo, Kant, Hegel e Schopenhauer sono leggermente più stimolanti, ma.. così va il mondo.
Una sola precisazione: in questo scritto mi interesso solo del pensiero di Antonio Di Pietro. I molti punti oscuri della sua vita, la sua quanto meno dubbia moralità non mi interessano. Parto dal presupposto che Di Pietro sia sincero quando si presenta come il paladino della morale. Cerco di fare una cosa che forse neppure Tonino fa col suo pensiero: lo prendo sul serio.

1) In cosa consiste l’essenza del dipietrismo? Qual’é l’idea base a che anima questa grossolana filosofia politica? E’ un’idea estremamente semplice e proprio per questo capace di attrarre un buon numero di persone: i problemi politici, economici e sociali sono essenzialmente problemi giudiziari. Dietro alla crisi economica, alla disoccupazione, alle guerre ci sono gli interessi di grandi criminali: corruttori e corrotti, pescecani della finanza, coltivatori ed esportatori di oppio. I problemi politici, economici, sociali diventano problemi giudiziari ed i problemi giudiziari si risolvono incarcerando i criminali. Di Pietro non è il solo a pensarla in questo modo. Il suo modo di ragionare è assai simile non solo a quello dei vari Grillo o Travaglio, anche il regista americano Michael Moore la pensa più o meno così e in questo modo ragionano settori consistenti dell’ex estrema sinistra e del movimento no global. Questi ultimi in particolare hanno ormai gettata alle ortiche la critica marxiana del capitalismo. Il pensatore di Treviri non se la prende con questo o quel capitalista, non accusa questo o quel capitano d’industria di essere un ladro o un truffatore. Oggetto della critica di Marx è il capitalismo allo stato chimicamente puro: sono i meccanismi impersonali della riproduzione allargata del capitale ad essere oggetto dei suoi strali. Non è così per i tardi epigoni del padre del socialismo scientifico. Costoro hanno personalizzato il capitalismo: non esiste il capitalismo, esistono i capitalisti, il problema non sono i meccanismi impersonali del sistema ma le scelte politiche delle multinazionali. La critica al sistema è stata soppiantata dalla lotta contro i criminali, i corruttori ed i pescecani della finanza. In questo modo una parte non secondaria dell’estrema sinistra si ritrova alleata con un uomo che solo fino a qualche decennio fa non avrebbe esitato a definire “fascista”.
La formula che riduce tutti o quasi i problemi a problemi giudiziari è assai intrigante, non c’è da dubitarne. E’ una formula estremamente plastica ed adattabile, la si può applicare praticamente a tutto. Ultimamente Di Pietro, in uno dei rari momenti in cui non parlava di Silvio Berlusconi, è riuscito ad adattarla perfino alla guerra in Afghanistan. Per Di Pietro occorre abbandonare l’Afghanistan perché in quel paese sarebbe in corso una guerra fra bande che intendono dividersi il mercato dell’oppio. Chi pensava che in Afghanistan esistesse un problema di terrorismo fondamentalista è così servito. Il problema sono i criminali che si contendono l’oppio e, visto che non è possibile inviare in Afghanistan i un po’ di giudici della procura di Milano, che di certo risolverebbero tutto, si abbandoni quello sventurato paese! In Afghanistan esistono ovviamente le coltivazioni di oppio e sono in corso lotte tribali per assicurarsene il possesso. Però anche in altri paesi esistono grandi produttori ed esportatori di droga, si pensi alla Colombia, ma in quei paesi non è in corso alcuna guerra, comunque nulla di paragonabile a ciò che avviene in Afghanistan. Il problema principale in Afghanistan non è l’oppio, è la possibilità che i Talebani, usando anche i proventi della coltivazione dell’oppio, riprendano il potere e possano minacciare da vicino un paese come il Pakistan che, non dimentichiamolo, possiede armi nucleari. La formuletta di Di Pietro (e di quelli come lui) cancella dalla scena mondiale le decine, meglio, le centinaia di milioni di esseri umani che seguono l’ideologia fondamentalista, riduce a puri eventi polizieschi gli innumerevoli attentati che tutti i giorni insanguinano i più diversi paesi, cancella i vari focolai di violenza, gli eccidi, le guerre civili più o meno striscianti che rendono drammatica la vita di intere popolazioni e riduce il tutto ad un problema di complotti e indagini giudiziarie. E ciò che vale per l’Afghanistan vale per ogni altro problema. Michael Moore ad esempio vede nella crisi economica il risultato delle manovre criminali dei pescecani della finanza. Ora, di certo i pescecani esistono, agiscono e provocano grossi danni. I pescecani però agiscono anche nei momenti di crescita economica. Perché l’azione dei pescecani ha avuto effetti tanto dirompenti in una certa fase economica e non ne ha avuti di altrettanto gravi in altre fasi? La crisi è nata negli Stati Uniti in conseguenza di una crescita incontrollata del mercato immobiliare, di una eccessiva espansione del credito e di una conseguente scarsa capacità dei mutuatari di far fronte ai propri debiti; si è poi espansa a dismisura in conseguenza delle cartolarizzazioni che hanno inquinato i portafogli di banche, fondi comuni e addirittura fondi pensione. La causa scatenante della crisi è stata l’espansione incontrollata dei mutui e questa riguarda non pochi pescecani della finanza ma una quantità enorme di normalissimi esseri umani. L’azione dei pescecani è stata particolarmente distruttiva perché erano in opera autonomi fattori di crisi, non viceversa.
Gli esempi potrebbero continuare. La formuletta di Di Pietro isola alcuni aspetti, definiamoli pure criminali, di un certo problema, conferisce ad essi una valore assolutamente sproporzionato e fa dipendere la soluzione del problema dalla soluzione dei suoi aspetti che, più o meno a ragione, si possono considerare criminali. E così abbiamo finalmente, la chiave della felicità. C’è la guerra? Si arrestino i trafficanti di droga; c’è la crisi? Si arrestino i pescecani della finanza (negli Usa ne hanno arrestati e, giustamente, condannati, ma la crisi non si è per questo risolta); c’è l’inquinamento? Si arrestino gli inquinatori (e se gli “inquinatori” fossero i milioni di cittadini che si limitano a tenere accesi i caloriferi?); l’Italia ha dei problemi? Si arresti Silvio Berlusconi! Chiaro no?

2) In tutti i paesi dell’occidente la magistratura è un corpo dello stato che ha il compito di applicare la legge ai casi singoli. La legge definisce reato il furto ed il magistrato deve decidere se il signor Tizio ha o meno commesso un furto ed eventualmente a che pena condannarlo, punto e basta. La magistratura inoltre, sempre nei paesi civili dell’occidente, non dispone, come non ne dispongono gli altri corpi dello stato, di un potere illimitato. Negli stati Uniti ad esempio i giudici sono eletti dal popolo, si tratta di un modello criticabile, come tutti, e di certo non perfetto ma che realizza un principio la cui importanza è difficilmente sopravalutabile: nessun corpo dello stato può disporre di un potere illimitato, ogni corpo od ordine dello stato deve sottostare a limiti e controlli ad esso esterni. In Italia le cose stanno però diversamente. Mentre gli altri organi dello stato sono sottoposti nel nostro paese a limiti e controlli esterni, questo non avviene per la magistratura. In Italia il governo deve godere della fiducia del parlamento, i parlamentari devono periodicamente essere sottoposti al giudizio del corpo elettorale. I magistrati invece non sono sottoposti a controlli esterni di alcun tipo. Su tutti gli aspetti della attività professionale di un magistrato sono chiamati a decidere solo altri magistrati. Si tratta di una situazione unica in tutto l’occidente che sono ormai in molti a volere in qualche modo modificare, senza riuscirci.

Ovviamente Di Pietro si oppone fieramente ad ogni tentativo di modificare una situazione tanto anomala, e non a caso. Nella filosofia politica di Antonio Di Pietro la magistratura ha un ruolo assolutamente centrale, tanto centrale che il partito, il suo stesso partito, si riduce al ruolo poco nobile di “fiancheggiatore” della magistratura. Lo ha detto lo stesso Tonino al primo, ed unico, congresso dell’Idv. La magistratura non basta, i magistrati non possono “pizzicare” tutti e spesso arrivano a cose fatte, quindi occorre la politica, l’azione del partito. Insomma, la politica serve per aiutare i giudici a “pizzicare” quanta più gente possibile. Come nella filosofia scolastica la ragione veniva considerata l’ancella della fede così nella filosofia dipietrista la politica decade al ruolo di ancella della magistratura, e mi perdoni San Tommaso per l’accostamento blasfemo. E’ chiaro come, partendo da una simile concezione, ogni limite e controllo sulla attività della magistratura sia equiparato ad un’azione criminosa. I problemi politici sono soprattutto problemi giudiziari e i problemi giudiziari li deve affrontare la magistratura. Indebolirla significa solo favorire i criminali; non solo, a porre limiti alla magistratura dovrebbe essere la politica ma la politica, salvo rare eccezioni (l’Italia dei valori) è il campo in cui più di altri sorge e prospera la pianta velenosa della corruzione. Se le cose stanno così, com’è possibile che corruttori e corrotti possano limitare l’attività di chi indaga su di loro? Tutta una serie di norme che, in forme diverse, esistono negli ordinamenti giuridici di tutti i paesi democratici dell’occidente sono non a caso bollate Da Di Pietro come atti eversivi, attentati alla costituzione, regali ai mafiosi e così via. La separazione delle carriere fra giudici e pubblici ministeri esiste pressoché ovunque ma per Tonino è sinonimo di fascismo (quindi gli Stati Uniti la Francia e la Svezia sarebbero stati fascisti..), la responsabilità civile dei magistrati mirerebbe ad imbavagliarli a tutto vantaggio dei mafiosi (quindi sarebbero amici dei mafiosi i radicali che a suo tempo promossero un referendum proprio sul tema della responsabilità civile dei magistrati..), lo stesso dicasi per ogni tentativo di riforma della obbligatorietà della azione penale, o per ogni limite all’uso ed alla diffusione di intercettazioni telefoniche.. si potrebbe continuare. Insomma, Di Pietro e quelli come lui vogliono una magistratura irresponsabile, auto referenziale, pressoché onnipotente. Una sorta di super potere che tutti controlla senza essere a sua volta controllato da nessuno. Parlamento, governo, alte cariche dello stato oltre che, ed è questa la cosa più grave, pressoché tutti i cittadini dovrebbero essere tenuti costantemente sotto osservazione da questo super corpo dello stato senza aver diritto ad alcuna difesa nei suoi confronti.
Questa entusiastica difesa del ruolo della magistratura si scontra però con un problema non da poco. Che fare quando la magistratura si dimostra divisa? Come comportarsi quando scoppiano autentiche guerre fra diverse procure? Se la magistratura è un corpo separato ed autoreferenziale come comportarsi quando questo corpo tende a dividersi? Anche in questo caso Tonino non ha dubbi. Senza esitare egli si schiera con quelle componenti della magistratura che sono o appaiono impegnate nella lotta contro l’odiato Berlusconi. Dopo avere messo la magistratura al di sopra di tutto Di Pietro ed i suoi scherani discriminano fra magistrati usando criteri politici di valutazione. I magistrati da difendere ed additare ad esempio sono quelli che rilasciano dichiarazioni al vetriolo contro il governo, o che non si accorgono che un certo reato è ormai prescritto, o che propongono ai loro colleghi di scioperare contro il parlamento quando questo intende varare leggi che a loro piacciono poco (con buona pace della divisione dei poteri!), o che aprono di continuo nuove inchieste sempre sulla stessa persona (chissà chi sarà?) o ancora che, puramente e semplicemente, si rifiutano di applicare leggi che a loro non piacciono (sempre in nome della divisione dei poteri). Il dipietrismo da un lato mette la magistratura molto, molto al di sopra la politica, dall’altro tende a politicizzare in maniera intollerabile proprio la magistratura. In questo senso la filosofia dipietrista rappresenta la negazione radicale di quelle che sono, o dovrebbero essere, le virtù del buon magistrato: imparzialità, equilibrio, spirito critico, capacità di ascolto. L’idealtipo del magistrato alla Di Pietro assomiglia molto agli inquisitori protagonisti dei grandi processi staliniani degli anni trenta. Il loro compito non era quello di appurare la verità ma di distruggere dei nemici politici veri o presunti., esattamente lo stesso dovrebbero fare dei buoni magistrati, per l’ineffabile Tonino.“Io quello lo sfascio” ebbe a dire Di Pietro, allora ancora PM, riferendosi a Berlusconi. Ci sta ancora tentando, con tutti i mezzi.

3) Lentamente e con gran fatica un principio è emerso nella storia dell’occidente e con gran fatica si è alla fine affermato: si tratta del principio della centralità del singolo. Nelle società libere, aperte e democratiche il cittadino è titolare di alcuni inalienabili diritti che tutti devono rispettare. Una parte non secondaria dell’azione dello stato mira appunto, nelle società libere e democratiche, a tutelare questi diritti, non solo, questi diritti costituiscono dei limiti alla stessa azione dello stato che può temporaneamente limitarli solo se esistono specifici fatti criminosi e corposi indizi a carico di un cittadino. Il cittadino può vedere intercettate le proprie telefonate ma solo temporaneamente e solo se indiziato di uno specifico reato, la custodia cautelare deve essere ridotta al minimo perché nei paesi civili vige il principio della presunzione di innocenza, sempre in base al principio della presunzione di innocenza nessuno può essere costretto a dimettersi da qualche carica solo perché indagato, nessuno inoltre può essere indagato o processato a vita, le indagini ed i processi non possono durare indefinitamente, la loro durata massima deve essere stabilita dalla legge. Se la magistratura, per i più vari motivi, non riesce a concludere in un certo lasso di tempo i processi occorrerà riorganizzare gli uffici giudiziari; certamente non deve essere il singolo cittadino a pagare per la disorganizzazione, o la pigrizia o il pressapochismo di chi lo giudica o di chi lo governa. Si tratta, come si vede, di principi fondamentali, elementari, largamente condivisi ma che fanno letteralmente a pugni con la filosofia dipietrista (e non solo). E non a caso. Se dietro tutti i mali del mondo ci sono le azioni malvagie di onnipotenti criminali possiamo permetterci di dare tanta importanza a quisquilie come la presunzione di innocenza o la riservatezza? Nella rozza filosofia di Di Pietro il mondo è una sorta di gran campo di battaglia fra incorruttibili magistrati ed astuti e potenti criminali. Se le cose stanno così il garantismo altro non è che un impiccio all’azione di chi lotta contro il crimine, nella migliore delle ipotesi è un lusso che raramente possiamo permetterci. Nella filosofia di Di Pietro la presunzione di colpevolezza sostituisce così quella di innocenza, la violazione della privacy diventa un fatto quotidiano, lo sputtanamento mediatico di presunti colpevoli una doverosa azione di “smascheramento” delle loro malefatte. Al seguito di questa filosofia è sorta in Italia una nuova e fortunata industria editoriale. Basta entrare in una libreria per vedere, in bella evidenza, decine di libri, di solito dell’onnipresente Marco Travaglio, in cui si parla delle malefatte di questo e quello, magari malefatte di cui questo o quello sono stati assolti o mai rinviati a giudizio. E una quantità enorme di questi libri è dedicata, potevamo dubitarne? A Silvio Berlusconi. E i libri non bastano, ci sono i giornali, le riviste, i blog, soprattutto i programmi televisivi alla “anno zero” in cui ci si dedica sempre a dimostrare che il tale è un criminale, un mafioso eccetera eccetera. La “giustizia” mediatica e televisiva si sostituisce così a quella delle aule dei tribunali, un bel risultato per chi ha fatto dell’azione della magistratura una sorta di toccasana! Il dipietrismo fa a pezzi il garantismo liberale e con esso la serietà e l’imparzialità che dovrebbero caratterizzare l’amministrazione della giustizia. Alla ponderata ed imparziale analisi dei fatti si sostituiscono le urla, i processi celebrati nelle piazze o negli studi televisivi, insomma, la più bieca demagogia. In questo senso il dipietrismo è incompatibile con la parte migliore della storia e della tradizione culturale dell’occidente.

4) Il dipietrismo è forcaiolo quindi, ma non solo. Esso è anche profondamente auto contraddittorio. Abbiamo già visto come le urla dei giustizialisti forcaioli a difesa della legalità, dell’equilibrio fra i poteri, delle regole altro non siano che pura demagogia dietro cui si nasconde la negazione radicale di tutte queste ottime cose. Ma il dipietrismo è auto contraddittorio in senso più sottile e profondo. L‘obiettivo dichiarato di Di Pietro è la lotta alla corruzione ed al malaffare considerati le cause di praticamente tutti i mali del mondo e, nella concezione dell’ex PM, si lotta contro la corruzione ed il malaffare quasi esclusivamente con le armi della repressione giudiziaria. In sostanza Di Pietro non fa che proporre più poteri per la magistratura, libertà di indagare ed intercettare a tempo pieno ed indeterminato chiunque, controlli a tappeto su tutto e tutti. Ora, anche prescindendo dal fatto che una tale concezione non ha nulla a che vedere con il garantismo liberale, essa è almeno coerente con gli obiettivi che si propone? In altre parole, le proposte forcaiole di Di Pietro sono davvero efficaci ai fini di battere corruzione e malaffare? No, non lo sono. L’incremento del controllo burocratico e poliziesco sulla vita dei cittadini non elimina la corruzione ma al contrario la incrementa. Per Di Pietro il controllo costituisce la quint’essenza della vita sociale, ma non si tratta nel suo caso del controllo liberale, del controllo reciproco fra i corpi dello stato che se non impedisce quanto meno limita gli abusi. No, quello che Di Pietro sogna è il controllo repressivo, a cascata, in cui un organo superiore controlla l’inferiore e tutti insieme gravano sulle spalle del cittadino. A controlla B che a sua volta controlla C e così via, potenzialmente all’infinito. Ma chi assicura che A, B, C e tutti gli altri non possano anche loro essere corrotti? Se Tizio vuole apportare una miglioria alla sua abitazione deve sottostare al controllo dell’ufficio tecnico del comune che a sua volta è controllato dalla polizia municipale che a sua volta è controllata dai carabinieri e così via. In questo modo, ragionano quelli come Tonino, si evita che Tizio possa commettere qualche illegalità e che tutti gli altri possano farsi corrompere. Una simile organizzazione del controllo sociale porta invece solo alla moltiplicazione delle tangenti. Il proliferare dei centri di potere burocratico incrementa la corruzione, moltiplicare leggi e leggine, mettere in mano a piccoli e grandi burocrati il potere di rendere difficile, a volte molto difficile, la vita dei cittadini favorisce lo sviluppo della illegalità e delle pratiche corruttive e clientelari. Il giustizialismo forcaiolo alla Di Pietro ama presentarsi come l’unico antidoto possibile alla corruzione, è vero il contrario: un simile giustizialismo è destinato ad incrementare a tutti i livelli tutti i tipi di corruzione.

Naturalmente la repressione della illegalità è necessaria ed è bene che sia anche severa. Se Tizio viola la legge e se la sua colpevolezza viene riconosciuta da un giudice davvero terzo ed imparziale Tizio va condannato e deve scontare la pena che gli è stata inflitta. Il garantismo non ha nulla a che vedere col buonismo idiota oggi tanto di moda in Italia. La giustizia di un paese libero deve essere insieme garantista e severa: il cittadino deve avere la più ampia possibilità di difesa ma se riconosciuto colpevole deve pagare per ciò che ha fatto, l’esatto contrario di quanto avviene in Italia dove le garanzie a difesa dell’imputato sono spesso assai deboli ma in compenso molto spesso le pene sono addirittura ridicole. Invece di essere garantista e severa la giustizia è nel nostro paese forcaiola e lassista. Questo non è affatto in contraddizione con la filosofia dipietrista: in questa infatti ad essere davvero essenziale non è tanto la condanna dei vari imputati “eccellenti” quanto la bagarre politico mediatica che accompagna indagini e processi. Chi ha dubbi in proposito ripercorra un attimo la storia di tangentopoli. A quanti anni di galera sono stati condannati i numerosissimi politici coinvolti in quella storica inchiesta? A parte Craxi, che si è beccato complessivamente venti anni (più di quanti vengano comminati in Italia ad uno stupratore omicida) quasi tutti gli altri sono stati condannati, quando lo sono stati, a pene ridicole, spesso patteggiate, quasi sempre coperte dai benefici di legge. E ciò che vale per tangentopoli vale per tutte le altre grandi inchieste (calciopoli, valletopoli e così via..) che hanno accompagnato negli ultimi due decenni la vita degli italiani.

5) Esiste un problema teorico che tutti i giustizialisti non riescono neppure a porsi nei suoi termini essenziali: cosa fa si che una legge sia osservata se non da tutti almeno da una larga maggioranza dei cittadini? Un giustizialista neppure si pone una domanda simile e se qualcuno gliela pone risponde pronto: ”la repressione”. Si controlli per bene la gente e questa osserverà le leggi! Se non le osserva è perché qualcuno “delegittima” i magistrati, perché questi non hanno abbastanza poteri e così via. Una simile risposta può apparire giusta ma è invece profondamente stupida.
Nella loro grande maggioranza i cittadini non aggredirebbero mai una vecchietta per rubargli la pensione, né violenterebbero una bambina, né sparerebbero al primo che passa per il solo gusto di vederlo cadere al suolo in una pozza di sangue. Un normale essere umano non farebbe mai queste cose non perché intimorito dalla minaccia della punizione ma perché convinto nel suo intimo che queste cose non si devono fare. Certo, esistono, e sono anche troppi, quelli che rapinano, violentano e uccidono ma costituiscono, per fortuna, una minoranza: la gran maggioranza non solo non rapina né uccide né violenta ma si indigna di queste cose e chiede a gran voce che i colpevoli vengano puniti, puniti severamente. La repressione della illegalità è efficace e costituisce un valido deterrente precisamente perché i criminali sono minoritari mentre sono largamente maggioritarie le persone tutto sommato oneste e disposte a collaborare con chi il crimine lo combatte. Una legge è tanto più osservata quanto più è condivisa, quanto più è in sintonia col modo di pensare, con i sentimenti morali profondi della gran maggioranza dei cittadini, ed è precisamente questa sintonia di fondo a rendere efficace l’azione di repressione del crimine. Se, non dico la maggioranza, ma anche solo una minoranza consistente dei cittadini considerasse una cosa del tutto normale violentare una bambina, la repressione di questo crimine odioso perderebbe gran parte della sua efficacia. Se vivessimo in una società in cui fosse maggioritaria l’idea che ognuno può far fuori chiunque se solo ci riesce noi tutti non perderemmo tempo a denunciare Tizio o Caio alla polizia ma ci alleneremmo all’uso delle armi.
Quando invece una legge non è largamente condivisa la repressione ottiene risultati sempre inadeguati, spesso molto deludenti. Si pensi alla lotta all’evasione fiscale, autentica bandiera del dipietrismo. Certo, occorre combattere l’evasione ma fino a quando una gran quantità di cittadini continuerà a pensare che le tasse siano una specie di furto l‘evasione continuerà ad avere dimensioni molo ampie. E per far cambiare idea ai cittadini non servono certo le prediche moralistiche, assai più efficace sarebbe la riduzione della pressione fiscale, oggi attestata a livelli folli, il miglioramento dei servizi finanziati con i soldi del contribuente, la drastica riduzione di sprechi, privilegi e clientelismo. Solo se combinata con azioni politiche di questo tipo la repressione dell’evasione può portare a risultati positivi. Pensare di batterla con il puro moltiplicarsi dei controlli non porta invece a nulla di buono. Per farla breve: l’illegalità si combatte non, come stupidamente pensano Di Pietro e quelli come lui, estendendo il controllo burocratico sulla vita sociale ma principalmente facendo buone leggi in sintonia col senso morale diffuso fra i cittadini. Ciò non vuol dire, ovviamente, seguire le varie oscillazioni della pubblica opinione, vuol dire sintonizzarsi su quei sentimenti profondi, basilari che costituiscono il fondamento stesso ed il cemento della vita sociale. Staccarsi da questi sentimenti per attestarsi su posizioni di elitarismo snobistico combinato con l’incremento di pratiche puramente repressive è il peggiore degli errori. Si disprezza il popolo bue, lo si opprime con una quantità demenziale di leggi, leggine e regolamenti e si cerca di controllarlo il più possibile per “combattere l’illegalità”. Lo snobismo di frivoli pseudo intellettuali combinato con una rude mentalità forcaiola è la peggiore delle ricette: riduce le libertà civili, stressa i cittadini e non riduce di un millimetro l’illegalità. Assolutamente orribile!

6) Bisogna ammetterlo: il dipietrismo attrae. Dal punto di vista teorico si tratta di una filosofia politica che non vale nulla: poco più di un insieme rozzo e malamente assemblato di luoghi comuni qualunquisti e forcaioli. Eppure questo guazzabuglio di banalità, qualunquismo e mentalità forcaiola esercita un suo fascino, attrae buone quantità di esseri umani, ha una estensione che va oltre i confini, ristretti ma non insignificanti, di un partito impresentabile come l’Italia dei valori.
La cosa è triste ma tutto sommato spiegabile.
Il dipietrismo è semplice. Dà ai problemi degli esseri umani risposte sbagliate, puerilmente semplicistiche ma immediatamente comprensibili. Noi tutti siamo circondati, quasi assediati da eventi che spesso ci appaiono sconcertanti ed incomprensibili, modi di pensare e di agire che ci turbano. A tutto questo la filosofia dipietrista dà una risposta semplice, alla portata di tutti. Dietro alle tante, troppe cose che rendono difficile la nostra vita c’è l’azione malvagia di criminali senza scrupoli. Le filosofie allucinate dei grandi totalitarismi dello scorso secolo additavano alla pubblica esecrazione dei mostri responsabili di ogni male. L’”ebreo”, o il “nemico del popolo” erano i responsabili della disoccupazione, della miseria, del fallimento dei grandi piani quinquennali. Gli “agenti dell’imperialismo” o i “congiurati ebraico massoni” tramavano per portare il mondo alla guerra. Fatte le debite proporzioni la filosofia politica di Di Pietro (e di Grillo, Travaglio eccetera) fa la stessa cosa. C’è la disoccupazione? Una fabbrica chiude? Il mondo è attraversato da guerre, conflitti interetnici, fanatismo? I colpevoli di tutto sono i grandi criminali, le multinazionali, i politici al soldo della mafia. Il futuro ci appare difficile, preoccupante, le prospettive sono incerte? La colpa è dei mafiosi piduisti che sono giunti addirittura a mettere le mani sul governo del paese (è significativo che sia i nazisti che, nel loro piccolo, i dipietristi mettano la massoneria al vertice delle organizzazioni criminali). Tutto è semplice, chiaro. Non occorre comprendere come funziona un sistema economico, cercare di capire un’ideologia che spinge degli esseri umani a farsi esplodere al solo fine di uccidere degli “infedeli”, confrontarsi con la complessità delle moderne società post industriali. La soluzione sta lì, a portata di mano, ha un volto, un nome. Il dipietrismo toglie agli uomini l’immane fastidio di pensare.
Ma la filosofia dipietrista non si limita a fornire risposte semplici a problemi difficili, viene anche incontro ad una esigenza profonda dell’animo umano: quella di trovare un colpevole per ogni evento luttuoso o semplicemente negativo. La vita di tutti noi spesso è sconvolta da eventi tristi, a volte addirittura drammatici, eventi che sembrano, che sono, ingiusti ma di cui non è possibile accusare nessuno. Un incidente, una malattia improvvisa, una catastrofe naturale troncano la vita di un nostro caro e questo ci appare ingiusto oltre che terribile, però non ci è possibile prendercela con nessuno, al dolore si aggiunge la rabbia, ma si tratta di una rabbia impotente. Ed è qui che la filosofia dipietrista ci viene in aiuto. Non è vero che non possiamo prendercela con nessuno: il colpevole c’è, deve esserci. I medici non si sono comportati bene, i lavori in quella strada sono stati fatti alla carlona, la protezione civile non è intervenuta adeguatamente. Dietro al caso fortuito, alla disgrazia, alla malattia che ti uccide in un mese c’è sempre qualche criminale, lui è il responsabile, il corrotto, lui si arrichisce sulle lacrime ed il sangue degli esseri umani. Molte volte i colpevoli ci sono, ovviamente, ma nel modo di pensare di Di Pietro e di quelli come lui i colpevoli devono esserci. Chi parla di caso o di tragica fatalità dimostra con ciò stesso di essere un disonesto o di difendere i disonesti. Tutto questo ricorda gli untori manzoniani? Certo, ma spesso è molto in sintonia con il dolore e la rabbia di un gran numero di esseri umani.
E infine il dipietrismo è rassicurante. Si, rassicurante, perché se alcuni di criminali sono i responsabile di tutto si può legittimamente sperare che tutto possa essere risolto con relativa facilità. Si mettano sotto controllo le multinazionali, si arrestino speculatori, corrotti e corruttori, mafiosi e piduisti, soprattutto si sbatta, finalmente, in galera Silvio Berlusconi e l’orizzonte tornerà ad essere sereno. Se dobbiamo misurarci con i complessi meccanismi del sistema finanziario internazionale, con un fanatismo diffuso a livello planetario, con società complesse e difficilmente governabili, con il caso, la tragica fatalità, con una natura che non si adatta alle nostre esigenze allora avremo sempre dei problemi da risolvere, nessuna soluzione sarà mai definitiva, potremo migliorare le società in cui viviamo ma non renderle perfette. Se invece tutto dipende dalla protervia di un branco di criminali le cose cambiano. Forse non riusciremo a sbatterli tutti in galera ma possiamo avvicinarci molto a questo obiettivo e con questo ad una società quasi perfetta. Controllo sociale, manette ed intercettazioni sostituiscono la lotta di classe quali strumenti per avvicinarci al nuovo eden. In questo senso il dipietrismo rappresenta una versione impoverita, meschina e ridicola dell’anelito alla perfezione che per tanti anni ha caratterizzato l’estrema sinistra italiana.

Di Pietro è un uomo piccolo e meschino ed il suo “pensiero” non ha praticamente alcun valore. Eppure è un uomo importante, è importante perché le sue “idee” sono in sintonia con altre idee, aspirazioni, sentimenti diffusi a livello di massa. Di Pietro non parla alla testa o al cuore degli esseri umani, parla al loro ventre, o ai loro genitali. Ma ottiene un relativo successo perché in momenti di difficoltà e di crisi un discorso rivolto a ventre e genitali può avere una sua efficacia. Proprio perché efficace la demagogia dipietrista rappresenta oggi un pericolo mortale per la democrazia in Italia. Non solo per le cose indecenti che propone ma, soprattutto, perché rende impossibile qualsiasi confronto pacato, qualsiasi tentativo di ricostruire nel paese una normale dialettica politica, di annodare le fila di un dialogo fra maggioranza ed opposizione sul grande tema delle riforme di cui il paese ha assoluto bisogno. Il dipietrismo vive di risse, usa argomenti e toni da guerra civile virtuale. Il demagogo abruzzese non capisce che, o forse capisce fin troppo bene, che le parole a volte non solo pesano come pietre ma spingono la gente ad usarle, le pietre, e magari non solo quelle. Fermarlo dovrebbe essere l’obiettivo comune di tutte le persone di buon senso. In Italia però il buon senso non è troppo diffuso.

venerdì 5 marzo 2010

giovedì 4 marzo 2010

Il pasticcio di questi giorni

Non so come andrà a finire il pasticcio delle liste ma alcune considerazioni è possibile farle, al di là dell'esito della vicenda.
1) Il Pdl ha dimostrato di essere un partito pieno zeppo di pasticcioni e di dilettanti. Non solo, si tratta di un partito con le sue brave correnti e correntine, invidie, lotte intestine. Nulla di drammatico, sia ben chiaro, più o meno è questa la norma e riguarda tutti i partiti. Però, non è questo il famoso nuovo di cui tanto si parla..
2) Il tentativo dei radicali di cercare ovunque la minima irregolarità per impedire alle liste avverse di partecipare alle elezioni non ha nulla a che vedere con la mentalità liberale e democratica a cui questi dicono di ispirarsi. Dimentichi del fatto di essere stati per anni alleati di Berlusconi i radicali puntano tutto sulla forma dei timbri e sulla assenza di qualche visto. Per un partito che parla continuamente di grandi lotte in difesa della libertà non è il massimo.
3) Nelle democrazie liberali la forma è sostanza, ma la ricerca ossessiva del cavillo, la disputa sulla forma del timbro non è forma, è cavillosità, formalismo vuoto. Personalmente sono stato, tanti anni fa, scrutatore e ricordo bene che le norme relative alla convalida o meno dei voti dicono che in caso di dubbio deve prevalere il principio della libera espressione della volontà popolare. Cioè: se una scheda è chiaramente invalida la si annulla, ma nei casi dubbi la si deve convalidare. Ora, è chiaro, dovrebbe esserlo quanto meno, che in sede di ammissione o meno delle liste alle elezioni il principio base dovrebbe essere quello di permettere agli elettori di esprimersi. Il perchè dovrebbe essere chiarissimo per tutti: escludere dalle elezioni un partito, a maggior ragione se si tratta del più forte partito italiano, significa non solo punire quel partito, se lo è meritato si potrebbe anche dire, significa punire gli elettori, tutti gli elettori. Piaccia o non piaccia la cosa, delle elezioni in cui manchi il principale partito italiano sono elezioni fasulle e nessuna coinsiderazione formalistica può annullare questo dato.
4) Pare che inLombardia la magistratura abbia usato pesi e misure diverse nella valutazione delle liste del Pdl e del Pd. E' una cosa tutta da verificare ma di certo non inverosimile. E' difficile dimenticare che da circa 15 anni la magistratura milanese indaga quasi a tempo pieno su una sola persona.
5) Il Pd potrebbe accettare la "soluzione politica del pasticcio". Potrebbe accettare un decreto che metta le cose a posto e poi magari usare questa sua accettazione come arma polemica in campagna elettorale. "Se siete in gara lo dovete a noi" potrebbe tuonare Bersani durante tutta la campagna elettorale ed avrebbe anche qualche buona ragione. Non lo fa, preferisce andare ad elezioni farsa, che sarebbero comunque una sconfitta politica per tutti, piuttosto che dimostrarsi "generoso". Perchè? Perchè dimostrarsi "generoso" col Pdl significherebbe ammettere che il Pdl è un normale partito e non una cosca mafiosa, che Berlusconi è un avversario da combattere e non un nemico da abbattere usando qualsiasi mezzo, che in Italia è in corso una lotta politica dura ma non una forma soft di guerra civile.

Ecco, questo è il punto. In una democrazia normale, caratterizzata da un normale confronto politico, qualsiasi partito preferisce che alle elezioni il partito avverso ci sia, mira a batterlo col voto, non coi cavilli. Ma in Italia le cose stanno ben diversamente. In Italia il leader della maggioranza viene additato come un criminale, una magistratura autoreferenziale e sottratta ad ogni controllo apre di continuo nuovi procedimenti a suo carico, molti addirittura giustificano chi lo aggredisce fisicamente. E' chiaro che così non si può andare avanti ed è chiaro che l'esclusione delle liste del Pdl in Lazio e Lombardia avrebbe effetti catastrofici sulla radicalizzazione del clima politico nel paese. Solo degli incoscienti possono augurarsi una cosa simile. Purtroppo però l'Italia è piena di incoscienti.

karate


In alto una foto del maestro Gichin Funakoshi (1868 - 1957) , padre dello shotokan, forse il più praticato fra gli stili del karate. In basso, scusandomi per l'accostamento blasfemo, ci sono invece io, che pratico il karate a livello amatoriale, impegnato in un kata. Un esperto vedrebbe subito i difetti del mio stile: la parata con il destro è effettuata troppo in alto, le gambe non sono sufficientemente flesse sulle ginocchia eccetera. Io comunque cerco di mettercela tutta, malgrado gli anni, e posso assicurare che l'attività che svolgo è estremamente benefica, sia per il fisico che per il morale.