domenica 31 marzo 2013

IL MOVIMENTO PER LA DECRESCITA FELICE, OVVERO L'AUTOPRODUZIONE DELLA FOLLIA,






Può essere istruttivo analizzare un testo del movimento per la decrescita felice, associazione fondata da Maurizio Pallante, esperto in risparmio energetico, che si rifà al pensiero di Serge Latouche e che vede fra i suoi estimatori (potevamo dubitarne?) l’ineguagliabile Beppe Grillo. Questo movimento “parte dal presupposto che la correlazione tra crescita economica e benessere non sia necessariamente positiva, ma che esistano situazioni frequenti in cui ad un aumento del Prodotto interno lordo (PIL) si riscontra una diminuzione della qualità della vita” (1).
Il movimento per la decrescita felice auspica un forte incremento della economia di auto consumo. “I sostenitori del MDF ritengono che vi siano casi piuttosto frequenti in cui attraverso processi di autoconsumo, di risparmio energetico e di relazioni di scambio che non transitino necessariamente per il mercato, si verifichi un incremento della qualità della vita materiale associata ad una diminuzione del PIL. Viene auspicato quindi l'aumento del benessere riducendo il PIL tramite autosufficienza e produzione in proprio. Un esempio classico in seno alle scienze economiche è quello paradigmatico dell'economia contadina.” (2)
C’è da restare perplessi. Da Smith in poi eravamo tutti abituati a pensare che la divisione del lavoro e la meccanizzazione delle attività produttive rendessero più prospera l’umanità. Lo stesso Marx aveva tranquillamente ammesso che la rivoluzione industriale era stata un formidabile fattore di progresso economico. Tutti ci sbagliavamo. Pallante, Latouche e Beppe Grillo ci insegnano oggi che il vero segreto del benessere consiste.. nell’economia di auto consumo. La cosa strana è che non si tratta affatto di una novità. Gli esseri umani hanno fatto ricorso per secoli a questo tipo di economia ma non sembra che questa abbia risolto molti dei loro problemi, infatti è stata abbandonata. Con esisti catastrofici forse? Non sembrerebbe. “Fino al 1400” afferma Bjorn Lomborg, autore del noto libro l’ambientalista scettico, “l’aspettativa di vita dell’uomo era bassissima, un neonato poteva sperare di vivere solo 20-30 anni. La causa fondamentale era il tasso di mortalità infantile molto elevato: solo un bambino su due sopravviveva oltre il quinto compleanno” (3). La situazione è radicalmente mutata precisamente in seguito al processo di industrializzazione ed al conseguente abbandono dell’economia di auto consumo. “In Francia l’aspettativa di vita era nel 1800 di circa 30 anni e in Danimarca di circa 44 nel 1845. Ovunque si è arrivati oggi ad un’aspettativa superiore ai 70 anni, con una media di 77 nei paesi sviluppati” (4). Dal 1400 al 1800 l’aspettativa di vita è cresciuta di meno di 10 anni, è cresciuta invece di 47 anni negli ultimi due secoli, precisamente quei secoli in cui l’economia di auto consumo si è contratta in tutto il mondo e ha raggiunto dimensioni puramente residuali nei paesi più sviluppati. Possono farsi considerazioni simili riguardo a tutti gli altri indicatori di benessere, dalla contrazione delle malattie infettive all’aumento delle calorie pro capite o del livello di scolarizzazione. Forse l’auto consumo racchiude il segreto della felicità ma finora nessuno se ne è mai accorto.

 

Ma vale la pena di analizzare come il movimento per la decrescita argomenta le sue proposte. In un interessante documento-manifesto gli esponenti di questo movimento esemplificano i loro obiettivi di riforma economica a partire dalle vicende di un vasetto di Yogurt. E’ istruttivo seguire il filo delle loro argomentazioni.
“Un vasetto di yogurt prodotto industrialmente e acquistato attraverso i circuiti commerciali, per arrivare sulla tavola dei consumatori percorre da 1.200 a 1.500 chilometri, costa 10 euro al litro, ha bisogno di contenitori di plastica e di imballaggi di cartone, subisce trattamenti di conservazione che spesso non lasciano sopravvivere i batteri da cui è stato formato.
Lo yogurt autoprodotto facendo fermentare il latte con opportune colonie batteriche non deve essere trasportato, non richiede confezioni e imballaggi, costa il prezzo del latte, non ha conservanti ed è ricchissimo di batteri.
Lo yogurt autoprodotto è pertanto di qualità superiore rispetto a quello prodotto industrialmente, costa molto di meno, non comporta consumi di fonti fossili e di conseguenza contribuisce a ridurre le emissioni di CO2, non produce rifiuti.
Tuttavia questa scelta, che migliora la qualità della vita di chi la compie e non genera impatti ambientali, comporta un decremento del prodotto interno lordo: sia perché lo yogurt autoprodotto non passa attraverso la mediazione del denaro, quindi fa diminuire la domanda di merci, sia perché non richiede consumi di carburante, quindi fa diminuire la domanda di merci, sia perché non fa crescere i costi dello smaltimento dei rifiuti.” (5) Insomma, lo Yogurt autoprodotto costa meno, è di migliore qualità, fa bene alla salute, riduce le emissioni di CO2 e quindi migliora l’ambiente. Semplice no? Si consuma meglio, si spende meno e non si inquina. Ma non basta, i miracoli dell’auto produzione sono molteplici, toccano tutte le nostre funzioni, comprese le più intime:
“I fermenti lattici contenuti nello yogurt fresco autoprodotto arricchiscono la flora batterica intestinale e fanno evacuare meglio. Le persone affette da stitichezza possono iniziare la loro giornata leggeri come libellule. Pertanto la qualità della loro vita migliora e il loro reddito ne ha un ulteriore beneficio, perché non devono più comprare purganti.” (6). Siamo quasi in paradiso! Si caga meglio (si scusi la volgarità), si risparmiano i soldi del purgante e si è più felici, meglio di così è impossibile. Ma, non è ancora finita, le virtù dell’autoproduzione sono sconfinate:
“La diminuzione dei rifiuti e della domanda di yogurt e di purganti prodotti industrialmente, comporta una riduzione della circolazione degli autotreni che li trasportano e, quindi, una maggiore fluidità del traffico stradale e autostradale. (…) La diminuzione dei camion circolanti su strade e autostrade diminuisce statisticamente i rischi d'incidenti.” (7) Una vera manna dal cielo insomma, né si deve pensare che ci si debba fermare allo yogurt: Fra gli obiettivi del movimento per la decrescita figura infatti al primo posto: “ autoprodurre lo yogurt o qualsiasi altro bene primario: la passata di pomodoro, la marmellata, il pane, il succo di frutta, le torte, l'energia termica e l'energia elettrica, (sic) oggetti e utensili, le manutenzioni ordinarie” (8)
Avevamo davanti agli occhi la bacchetta magica per risolvere tutti i problemi del mondo e da folli abbiamo chiuso gli occhi. Hanno contribuito a chiuderceli, naturalmente, tutti coloro che sarebbero danneggiati dalla messa in pratica delle proposte del movimento: le grandi industrie che vedrebbero calare i loro profitti, i governi le cui entrate fiscali si contrarrebbero spaventosamente, i medici che avrebbero molti meno malati da curare e i farmacisti che non saprebbero più a chi vendere le orribili medicine prodotte dall’industria farmaceutica capitalista. A dirla tutta, fra i danneggiati ci sarebbero anche altri soggetti cui il manifesto del movimento non dedica molto spazio. Ad esempio, gli operai che lavorano nelle diaboliche grandi industrie, i camionisti che vedrebbero ridursi drasticamente i loro redditi, tutti coloro che lo stato aiuta con le entrate fiscali. Naturalmente non bisogna farsi troppi problemi per questi milioni di esseri umani: anche loro potrebbero prendere la via della campagna ed iniziare ad autoprodurre yogurt e marmellata. Forse la cosa creerebbe qualche problema, è vero; riusciamo ad immaginare centinaia di migliaia di esseri umani che abbandonano le città covi di vizio per prendere la strada della campagna? (chissà perché una simile immagine mi ricorda la Cambogia di Pol Pot). Dove abiterebbero queste persone? Dovrebbero “autoprodurre” le case e le stalle e quindi i mattoni, il cemento, gli attrezzi da lavoro? E dove si procurerebbero le mucche per “autoprodurre” yogurt e latte e il fieno per nutrirle? Mistero, profondo mistero. Ma non c’è troppo da preoccuparsi, tipi come Grillo e Pallante sono lì, pronti a consigliarli per il meglio.

Tutto il discorso del manifesto si basa in realtà su tre trucchi da quattro soldi, tre autentici giochi di prestigio dialettici. Primo trucco: i furbetti del “movimento” imputano al costo dello yogurt solo il costo della parte finale del processo produttivo che si conclude col vasetto di yogurt. Lo yogurt autoprodotto costa il solo prezzo del latte affermano questi sapientoni, ma questa è una palla colossale. Se voglio autoprodurre yogurt devo comprare una mucca, allevarla e nutrirla. Devo possedere un appezzamento di terreno sufficientemente grande, una stalla, devo possedere anche un toro per la riproduzione della mia mucca. A essere pignoli devo anche comprare le materie prime che mi servono ad autoprodurre il vasetto che contiene lo yogurt (carta? Vetro? Non si sa, inezie). Il costo autentico dello yogurt autoprodotto comprende i costi di tutto il capitale fisso e variabile necessario per produrlo, altro che il solo costo del latte! I sapientoni del movimento per la decrescita considerano gratuito tutto ciò che precede la produzione diretta dello yogurt. Probabilmete molti di loro hanno già una grande cascina in canpagna, con tanto di stalle, mucche, tori e pascoli. Per loro tutto questo è gratuito, per la grande maggioranza degli altri esseri umani non lo è per nente.
E veniamo al secondo trucco dei guru della decrescita. Costoro dimenticano o fanno finta di dimenticare che il tempo che si utilizza per atoprodurre yogurt, o marmellata o qualsiasi altra cosa potrebbe essere utilizzato, e nei fatti lo è in tutti i paesi sviluppati, per compiere attività enormemente più produttive. E’ il grande principio della divisione del lavoro: ognuno si specializza in ciò che sa fare meglio, scambia con altri il prodotto del suo lavoro, o il suo stesso lavoro, e acquisisce in questo scambio una ricchezza enormemente superiore a quella che acquisirebbe se producesse in proprio ciò di cui ha bisogno. Se io impiego tutto il giorno per autoprodurre due vasetti di yogurt, tre di marmellata, due torte e magari un paio di mutande non sarò mai sufficientemente ricco per potermi comprare un abito, un paio di scarpe, un tavolo, una sedia e magari un libro da leggere.
Ed infine il terzo trucco, il più basilare ma anche il più stupido di tutti. Quando confrontano il costo dello yogurt autoprotto con quello dello yogurt acquistato al supermarket i furbetti del movimento dimenticano di conteggiare fra i costi dello yogurt autoprodotto il costo del lavoro necessario a produrlo. Io rinuncio ad uno stipendio di dirigente, o di impiegato o di operaio   per andare ad autoprodurre yogurt, questo mancato guadagno è a tutti gli effetti un costo, ma per i guru alla Beppe Grillo questo non dovrebbe entrare nel costo del vasetto di yogurt che alla fine riesco a fabbricare! Per “autoprodurre” due chili di marmellata devo passare tutto il giorno a sbucciare la frutta, bollirla, zuccherarla eccetera ma per i guru della decrescita il costo della marmellata comprende solo il costo della frutta e dello zucchero, la fatica che ho fatto tutto il giorno non rappresenta un costo per loro! Siamo nell’ottica del lavoro ridotto a hobby, l’ottica di chi ha un sacco di soldi, non deve far nulla e passa il suo tempo a fare passate di pomodoro, yogurt o torte di mele. Insomma, l’ottica di chi vive di rendita. Se passo la domenica a pescare e torno a casa con una trota posso anche considerare “gratuita” la cena a base di pesce, essa però è tale solo perché considero divertimento e non lavoro il tempo passato a pescare. Se tutti i giorni dovessi procurarmi il pranzo pescando, cacciando o autoproducendo yogurt il discorso cambierebbe radicalmente. Solo dei redditieri oziosi possono non capirlo.
Se qualcuno volesse avere la conferma della verità di ciò che si è appena detto potrebbe acquistare in qualche negozio specializzato yogurt o marmellata (o qualsiasi altra cosa) autoprodotti, chi autoproduce certi beni ne vende molto spesso una parte, cosa che gli stessi teorici della decrescita auspicano. Ebbene, chi acquistasse questi prodotti artigianali vedrebbe subito che il loro prezzo è sempre più alto di quello del latte o della frutta e spesso più elevato, in certi casi assai più elevato, di quello del supermercato. Come mai un fatto tanto strano? Non dovrebbero costare meno i beni autoprodotti? Lo yogurt autoprodotto non dovrebbe avere un costo pari a quello del latte? L’apparente paradosso è semplicissimo da risolvere: chi vende una parte dei beni che autoproduce vuole, giustamente, che il suo lavoro venga ricompensato! Non segue le scemenze di Grillo e Pallante ma la logica economica. Del resto gli è possibile vendere ad un prezzo maggiorato i suoi beni perché può sempre giustificare il prezzo più elevato con la migliore qualità del prodotto. Ma questo, come si sa, fa parte a pieno titolo della pratica del commercio.

Ovviamente anche nel prezzo dello yogurt prodotto industrialmente entrano i costi delle mucche, del foraggio e così via. Ed entrano in più, è vero, il costo del trasporto, dell’imballaggio, dei conservanti che non gravano sullo yogurt autoprodotto. Ma la produzione industriale può realizzare economie di scala che sono inesorabilmente precluse alla piccola produzione destinata all’auto consumo. Grazie all’organizzazione del lavoro ed all’utilizzo di macchine la produttività del lavoro nella produzione su larga scala è enormemente superiore a quella della produzione destinata all’auto consumo. In una fabbrica di medie o anche di piccole dimensioni si produce in un’ora di lavoro una quantità di yogurt molto superiore a quella che è possibile produrre in una giornata lavorativa dedicata all’auto consumo. Questa maggior produttività compensa ampiamente i costi di trasporto, imballaggio, conservazione di cui parlano i guru della decrescita. Per rendersi conto di quanto sia insensata l’analisi del movimento per la decrescita basta porsi una semplice domanda: “quante persone potrebbero consumare yogurt se esso venisse interamente autoprodotto?” E’ serio pensare che tutti potrebbero autoprodurlo? No, ovviamente; chi lo autoproducesse sarebbe in grado di venderne una parte ai terzi? Vista la scarsa produttività del lavoro finalizzato all’auto consumo se ne potrebbero venderne solo quantità molto ridotte e a costi proibitivi per la gran parte degli esseri umani. Se davvero si imboccasse in maniera generalizzata la strada dell’autoproduzione molto semplicemente la grande maggioranza degli esseri umani potrebbe consumare yogurt e marmellata e carne e verdure solo in minime quantità, ognuno potrebbe consumare a sufficienza solo il ristretto numero di cose che riuscirebbe ad autoprodurre. Questo avviene oggi in molti paesi economicamente arretrati ed avveniva anche da noi quando l’economia di auto consumo era generalizzata. Un paio di secoli fa i contadini della valle Padana mangiavano quasi esclusivamente polenta e la pellagra era una calamità sociale, il che tra l’altro confuta la scemenza secondo cui l’autoproduzione favorisce la salute, storicamente è sempre successo il contrario e non a caso. E non è neppure vera l’idiozia secondo cui l’economia di auto consumo riduce l’inquinamento da rifiuti. E’ stato grazie alla divisione del lavoro che si sono potute costruire fognature e impianti di depurazione, è lo sviluppo tecnologico che ci può permettere oggi di smaltire nella maniera meno invasiva possibile i rifiuti connessi alle attività umane. Queste però sono cose di scarsa importanza per i teorici della decrescita. Ai rifiuti che loro producono pensano gli “operatori ecologici” e la loro dieta non è affatto limitata alla sola polenta.

Scrive Adam Smith all’inizio della Ricchezza delle nazioni: “Sembra che il grandissimo progresso della capacità produttiva del lavoro e la maggiore abilità, destrezza e avvedutezza con le quali esso è ovunque diretto o impiegato siano stati effetti della divisione del lavoro” (9). Basta riflettere un attimo per comprendere quanto sia veritiera questa breve affermazione di Smith. Si esamini un piccolo oggetto di uso quotidiano, il mouse del PC con cui scrivo ad esempio, e si provi ad analizzare le parti che lo costituiscono, e a pensare da dove queste provengono, e da dove provengono le materie prime di cui sono fatte, ed ancora, da dove vengono gli strumenti che hanno permesso di lavorare queste materie prime, e di assemblare queste parti. Ci renderemo subito conto che nel piccolo mouse sono compresi lavoro e materie prime che vengono da tutto il mondo e che io, anche se fossi il massimo esperto di elettronica ed il più abile artigiano del mondo, non potrei mai autoprodurre un simile, piccolo, quasi insignificante oggetto. Anche ammettendo, in via del tutto ipotetica, che fossi in grado di produrre il mouse, con tutte le sue componenti e le materie prime necessarie, questo mi costerebbe centinaia, o migliaia, di ore di lavoro; eppure mi basta andare in un qualsiasi negozio di elettronica e posso acquistare il mouse, ad un prezzo corrispondente a quanto guadagna un normale operaio in un quarto d'ora o mezzora, al massimo, di lavoro. E' la divisione del lavoro che rende possibile questo "miracolo", bisogna essere ciechi, meglio, accecati dalla ideologia, per non rendersene conto. 
Oltre al benessere divisione e meccanizzazione del lavoro hanno prodotto grandi problemi, è vero, lo stesso Smith ne parla nel suo capolavoro. Questi però si risolvono con lo sviluppo dell’istruzione, la riduzione dell’orario di lavoro, l’imposizione alle attività produttive di vincoli e limiti legati alla tutela dell’ambiente, non certo con il ritorno ad una economia preindustriale! In realtà le proposte del movimento per la decrescita possono essere messe in atto solo se riguardano piccole minoranze di esseri umani. Un imprenditore in crisi, un giovanotto che vive di rendita, una ragazza stanca dello stress della città possono ritirarsi in campagna, acquistare coi risparmi accumulati in precedenza o con i soldi della liquidazione un bel casolare rustico e produrre da sé una certa quantità di beni, magari possono anche vendere una parte dei beni che autoproducono. E’ abbastanza evidente però che i nostri amici in fuga dalla città possono fare tutte queste cose solo perché si procurano sul mercato sia la gran quantità dei beni di cui hanno bisogno per vivere sia ciò che serve per “autoprodurre” (e vendere) certi altri beni. L'economia di auto consumo può essere qualcosa di diverso da un puro ritorno alla miseria generalizzata solo se esiste ed è assolutamente prevalente una economia basata sulla divisione del lavoro, lo scambio e la meccanizzazione, ed anche in questo caso non può riguardare che quantità assai ridotte di esseri umani. Non appena la cerchia dei clienti a cui si vendono parte dei beni “autoprodotti” dovesse allargarsi occorrerebbe passare dalla autoproduzione a una qualche forma di economia inindustriale.

I guru della decrescita non sanno di essere scarsamente originali. L’idea di decentralizzare la produzione in tanti piccole unità era venuta molto prima che a loro al presidente Mao Tze Tung. Nel 1958, nell’ambio della politica del gran balzo in avanti, il grande timoniere decise che la produzione di acciaio doveva essere raddoppiata in un anno; però, racconta la scrittrice cinese Juang Chang, “invece di sviluppare l’industria siderurgica vera e propria con operai specializzati (il presidente Mao) decise di coinvolgere nell’impresa l’intera popolazione” (10). Niente grandi fabbriche in cui produrre grandi quantità di acciaio da trasportare poi con camion o treni nei luoghi in cui l’acciaio serve; no, ogni villaggio, ogni scuola, a volte ogni casa dovevano avere la loro piccola fornace. “Ogni giorno, all’andata e al ritorno (da scuola) aguzzavo gli occhi per scrutare il terreno a palmo a palmo alla ricerca di chiodi spezzati, ingranaggi arrugginiti e qualsiasi altro oggetto metallico che poteva essere finito nel fango (…) i metalli dovevano alimentare le fornaci per produrre acciaio, ed era questa la mia occupazione principale. Si, all’età di sei anni ero già impegnata nella produzione di acciaio e dovevo gareggiare con i miei compagni di scuola a raccogliere anche il minimo residuo di ferro” (11) e dove finiva questo ferro? Lo sappiamo: “nella mia scuola, enormi pentoloni simili a crogiuoli avevano preso il posto di alcuni wok sui fornelli delle gigantesche stufe in cucina: era li dentro che finivano tutti i nostri rottami di ferro (…) i nostri maestri le alimentavano a turno con legna, ventiquattro ore su ventiquattro e rimestavano i rottami nei crogiuoli con un enorme cucchiaio” (12)
Che idea splendida! Produrre acciaio usando i rottami che si possono trovare per strada! Non si tratta di un ottimo modo per riciclare il ferro? In questo modo non si devono costruire miniere, impoverire il pianeta di preziose materie prime, inquinare l’ambiente. Ed ancora, per produrre in questo modo l’acciaio non serve costruire strade e ferrovie, si riducono le emissioni di CO2, diminuiscono gli incidenti stradali e ferroviari, aumenta la cultura dei bambini che invece di passare ore a studiare cose inutili imparano a produrre direttamente ciò di cui la patria socialista ha bisogno. Il presidente Mao è in un certo senso un anticipatore di Pallante, Latouche e Beppe Grillo. Certo, Mao non aveva in mente la tutela degli ecosistemi quando lanciò la parola d’ordine del “gran balzo in avanti”, inoltre imponeva ai cinesi le sue grandi trovate, li obbligava ad eseguire i suoi ordini, i guru della decrescita si limitano invece a cercarem di convincere, suadenti come sirene (ma, visto che non hanno il potere che altro possono fare?), a parte questo però non si può non ammirare l’enorme preveggenza del celeste presidente che, pur partendo da diversi premesse e usando diversi mezzi, ha anticipato di decenni le grandiose idee dell’ecologismo radicale. Un solo piccolo particolare rovina il quadro: il gran balzo in avanti si concluse con un disastro economico, nessuno dei suoi obiettivi fu raggiunto, produsse carestie e innumerevoli sofferenze al popolo cinese, costò alcuni milioni di vite umane. Particolari secondari, ovviamente. Cosa volete cher importi ai nuovi profeti del nulla il destino di milioni di esseri umani, cinesi per di più? Loro veleggiano nel loro mondo etereo, lontani anni luce dalla fastidiosa, prosaica realtà in cui si trovano a vivere gli esseri umani normali. Beh... ci restino nella loro realtà immaginaria e ci lascino in pace, per favore!
 





 Note

1) Wikipedia: Movimento per la decrescita felice. Rinvenibile in rete alla voce “decrescita felice”

2) Wikipedia: Ibidem.

3) Bjorn Lomborg: L’ambientalista scettico. Mondatori 2003 pag. 54.

4) Ibidem pag. 54

5) Manifesto del movimento per la decrescita felice. Rintracciabile in rete digitando Manifesto..ecc.

6) Ibidem

7) Ibidem

8) Ibidem

9) Adam Smith: La ricchezza delle nazioni. Edizioni del “Sole 24 ore” 2007 pag. 148

10) Juang Chang: I cigni selvatici. Longanesi 1991 pag. 280

11) Ibidem pag. 278

12) Ibidem pag. 278



venerdì 29 marzo 2013

L'ARGOMENTO DEGLI STOLTI





I latini lo definivano “argumentum stultorum”, l'argomento degli stolti. Consiste nel considerare vera o falsa, buona o cattiva una asserzione a seconda di chi la pronuncia.
Tizio dice: “due più due fa quattro” e tutti approvano, Caio dice la stessa cosa e tutti si rivoltano indignati: “ma no! Due più due fa cinque, lo sanno tutti!”
Sembra incredibile ma da quasi venti anni la vita politica, economica, sociale del nostro sciagurato paese ruota intorno a questo “argomento”. Esiste una parte degli italiani che è contraria a qualsiasi proposta faccia una certa parte politica solo perché è quella parte politica a farla, meglio, solo perché a farla è l'uomo che guida quella parte politica.
Ovunque nel mondo si è contro un certo politico perché quel politico fa cose che si ritengono, a torto o a ragione, sbagliate. In Italia non è così: non ci si oppone a Berlusconi perché fa certe cose, ci si oppone a certe cose perché è Berlusconi a farle.
Qualcuno obietta: “Berlusconi è un criminale, è giusto opporsi a lui per quello che lui è, indipendentemente dagli atti politici che compie”. Questo discorso però rovescia la realtà. Chi lo fa ritiene Berlusconi un criminale perché lo odia, non lo odia perché lo ritiene un criminale.

Anche oggi, in un momento drammatico per il paese, l'argomento degli stolti ci tiene imprigionati.
Il PD rifiuta ogni alleanza col Pdl, rifiuta addirittura di parlarne. “Le distanze fra noi sono siderali”, dicono i suoi leader. Strano che non trovino siderali le distanze da Grillo che li definisce “malati di mente” e li invita ad andare a casa, accompagnati dalle amorevoli cure di un neurologo.
Le distanze fra PD e Pdl esistono, ovviamente, e meglio sarebbe che uno solo di questi partiti governasse, rispettando l'altro ed ottenendo dall'altro pari rispetto, così funziona la democrazia liberale. Ma oggi non è possibile che uno solo di questi partiti governi, quindi una qualche forma di accordo fra loro è necessaria, a meno di non voler andare a votare fra due mesi, con tutti i rischi annessi e connessi. Ciò che rende siderali le distanze fra i due partiti è la pregiudiziale del PD, la non legittimazione del Pdl come partito pienamente legittimato a guidare il paese, se gli elettori gliene danno la forza. Di nuovo, ciò che blocca tutto è L'ARGOMENTO DEGLI STOLTI.
Fino a quando saremo condizionati da gente che ritiene che due più due fa quattro se lo dice Bersani, mentre fa cinque se lo dice Berlusconi?

giovedì 28 marzo 2013

E ORA?

Prima ha detto che col Pdl neppure si tratta e ha cercato a tutti i costi un accordo con Grillo. Gli ha offerto, ma guarda un po', la testa del cavaliere. Se ci fosse riuscito avrebbe ottenuto, sperava, due risultati: il governo e la decapitazione politica del Pdl. Ma, come tanti altri, Bersani non ha capito Grillo. Non ha compreso che molta della sua forza gli deriva precisamente, dall'essere contro tutti, non solo contro il cavaliere. Così, malgrado le genuflessioni si è preso da Grillo un bel vaffa...
Allora ha “aperto” al centro destra. E ha fatto offerte molto generose. “Vi consento di votarmi” ha detto. “Meglio, vi chiedo di uscire dall'aula al momento del voto. Andate a prendere un caffè, o al bagno, o a fare una telefonata mentre mi si vota la fiducia. Così il quorum si abbassa e io passo. Accordi con voi non posso farne, siete brutti sporchi e cattivi, ma il vostro voto posso accettarlo, turandomi il naso” Veramente generoso no? Poi ha visto che gli altri non ci stavano, e allora ha fatto una proposta davvero clamorosa. “Niente accordi con voi per il governo, ma vi permetto di discutere con me le riforme istituzionali” una generosità davvero commovente.
Ha fallito, ovviamente e ora siamo di nuovo al punto di partenza.

Il paese non uscirà dalle secche fino a quando non si apre una fase nuova, fondata sulla legittimazione di tutte le forze politiche. Non è possibile nessuna normalità se si tratta una forza politica fondamentale alla stregua di una organizzazione mafiosa, e se si pensa che i suoi elettori siano una massa di mascalzoni o, nella migliore delle ipotesi, di imbecilli rincoglioniti dalle televisioni.
Sono VENTI ANNI ormai che il paese vive sotto il ricatto di questa clamorosa delegittimazione. Il PD deve decidere se continuare su questa strada o imboccare una strada diversa. Preferisce inseguire sul loro terreno i vari Ingroia, Travaglio, Santoro, Flores D'Arcais o mettere al primo posto i problemi veri degli italiani? La priorità è il conflitto di interessi o il lavoro che manca, la perdita del potere d'acquisto di salari, stipendi e pensioni, la situazione drammatica di migliaia di imprese?
Il problema è tutto qui, in fondo. E non è un problema piccolo.

mercoledì 27 marzo 2013

SO SPRACH BEPPE GRILLO



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Hanno governato a turno per vent'anni, hanno curato i loro interessi, smembrato il tessuto industriale, tagliato lo Stato sociale, distrutto l'innovazione e la ricerca. Pdl e pdmenoelle sono vent'anni che ci prendono per il culo e non hanno ancora il pudore di togliersi in modo spontaneo dai coglioni dopo Penati, Tedesco, Dell'Utri, Cuffaro, Monte Paschi di Siena, dopo il Lodo Alfano, lo Scudo Fiscale e cento leggi abominio. Vent'anni senza riuscire a produrre una legge contro la corruzione e contro il conflitto di interessi, vent'anni per trasformare la legge elettorale in una caricatura anticostituzionale, senza mai trovare il tempo (ah, il tempo...) per cambiarla. I figli di NN vi manderanno a casa, in un modo o nell'altro, il tempo è dalla loro parte. Hanno ricevuto da voi solo promesse e sberleffi, non hanno nulla da perdere, non hanno un lavoro, né una casa, non avranno mai una pensione e non possono neppure immaginare di farsi una famiglia. Vi restituiranno tutto con gli interessi.”

SO SPRACH BEPPE GRILLO, così parlò Beppe Grillo.

E' abile, questo gli va riconosciuto. E' un notevole agitatore, un ottimo demagogo. Degno di nota quel “i figli di NN (…) non hanno nulla da perdere” che ricorda il celeberrimo passo che chiude il “manifesto del partito comunista” di Marx ed Engels: “Le classi dominanti tremino al pensiero d'una rivoluzione comunista. I proletari non hanno da perdervi che le loro catene. Hanno un mondo da guadagnare”. Il parallelo fra l'ex comico genovese
e il padre del socialismo scientifico però si ferma qui. Perché l'invocazione rivoluzionaria di Marx è preceduta da una analisi politica, filosofica, economica del modo di produzione capitalistico che è, si, profondamente errata e foriera di immani catastrofi, ma che rappresenta comunque uno snodo nella storia del pensiero che non è possibile ignorare. Nel “pensiero” di Grillo invece c'è solo lo sberleffo, lo strillo, la denuncia. E ora c'è anche, chiarissima, l'invocazione rivoluzionaria, quasi un appello all'azione diretta.

Quello che lascia attoniti nel discorso di Grillo è la mancanza, la mancanza totale, assoluta, di ogni analisi, magari sbagliata, superficiale, contraddittoria, della realtà economica e sociale. La crisi economica non riguarda solo l'Italia, lo sanno tutti. Colpisce l'Europa nella sua globalità, arrivando a lambire la stessa Germania
; ha colpito, e continua a colpire,  sia pure in maniera diversa, gli Stati Uniti. Basterebbe questa considerazione per spingere chiunque non sia solo un demagogo a cercare di abbozzare una analisi economica e sociale che vada oltre l'accusa a questo o a quello. Si, l'Italia sarà anche la patria dei ladri e dei puttanieri ma se la crisi colpisce anche la Spagna, la Grecia, Cipro, il Portogallo, l'Islanda , la Francia, gli Stati Uniti, forse non tutto è addebitabile ai "Padri Puttanieri", quelli che, dice Grillo “hanno sulle spalle la più grande rapina ai danni delle giovani generazioni”.
Come tutti i demagoghi Grillo sa bene una cosa: non si può indirizzare la rabbia popolare contro un astratto “sistema”, non si odiano le classi o le relazioni sociali, si odiano gli esseri umani, gli esseri umani in carne ed ossa. Ed è contro questi esseri umani che Grillo chiama alla lotta. Non ha scoperto nulla, in fondo. I rivoluzionari marxisti hanno sempre ammantato i loro appelli alla rivoluzione proletaria con pesanti analisi “oggettive” delle “contraddizioni capitalistiche”. Al momento opportuno però sono stati i primi a denunciare per nome e cognome gli “oppressori del popolo”, o i “traditori del movimento operaio”. Grillo, che di “proletario” non ha assolutamente nulla si pone sulla loro scia, ed è più abile di molti di loro.

E, come tutti gli eversori, Grillo non ha, probabilmente non vuole avere, neppure un po' di coerenza. La coerenza blocca l'azione, la rallenta, la indebolisce.
Essere coerenti è assolutamente necessario quando si vuole costruire qualcosa, diventa un ostacolo quando si mira solo a distruggere. Se devo scatenare quanta più gente possibile contro il “sistema” devo appoggiare tutte le rivendicazioni, far mie tutte le proteste, identificarmi con tutte le esplosioni di rabbia, anche le più lontane fra loro. E così Grillo, che teorizza la “decrescita felice”, cioè il ritorno o la forte espansione dell'economia di autoconsumo, non si perita di accusare i "padri puttanieri" di aver “smembrato il tessuto industriale”, come se lo sviluppo industriale non si sia, sempre, ovunque, accompagnato alla contrazione dell'economia di auto consumo. Ed ancora, strilla in difesa delle giovani generazioni che non avranno mai una pensione e nel contempo denuncia l'azione dei “padri puttanieri” che hanno tagliato lo stato sociale. Da buon demagogo Grillo non si chiede, ovviamente, se per caso non sia vero il contrario, se cioè la colpa più grave di molti politici, e sindacalisti, non sia stata proprio l'aver favorito la crescita abnorme della spesa pubblica; se non sia la metamorfosi dello stato sociale in stato assistenziale la causa, o una delle cause, della crisi drammatica in cui ci troviamo, della tragica incertezza dei giovani e del fatto che per moltissimi di loro la pensione non è affatto certa.
Grillo vuole il salario di cittadinanza per tutti, indipendentemente dal fatto che lavorino e producano, e vuole nel contempo la pensione garantita a tutti. Non lo sfiora l'idea che non basta mettere nelle tasche della gente dei pezzi di carta chiamati “denaro” per darle qualcosa di simile ad un po' di benessere. Ignora che il benessere lo si costruisce col
lavoro produttivo, infatti non dice nulla su come si può ampliare l'area del lavoro produttivo e ridurre quella dell'assistenzialismo sprecone e parassitario. Lui è per la "decrescita felice", teorizza una economia con meno lavoro, meno energia, meno capitali. Però vuole occupazione, salari e pensioni per tutti. Per chi voglia costruire qualcosa, qualsiasi cosa, un simile programma è folle, per chi vuole sfasciare tutto è ottimo.
Questo è, in fondo, il punto centrale: Beppe Grillo è un nichilista, lo è nel senso pieno, letterale del termine: il suo obiettivo è distruggere.
Per questo non tenta neppure di analizzare la società che detesta, per questo personalizza tutti i problemi, per questo è incoerente, neppure si pone il problema delle compatibilità fra le cose che vuole o dice di volere. Se devo distruggere qualcosa non serve che ne conosca il funzionamento, mi basta prenderla a mazzate. Se devo aizzare la gente alla rivolta devo sputtanare i nemici, addittarli per nome e cognome al pubblico disprezzo, se voglio un largo consenso devo appoggiare tutte le richieste, anche le più contraddittorie fra loro, e poco mi importa se poi non potrò soddisfarle, quelle richieste, l'importante è che chi le fa mi segua, pieno di rabbia contro i comuni nemici.
In una solo campo Grillo è "costruttivo": la tecnica della comunicazione demagogica, la retorica dell'agitazione, l'arte dell'insulto e dello sberleffo. In questo è davvero un grande innovatore, bisogna dargliene atto.  


Solo una persona non capisce, o fa finta di non capire, il carattere eversivo, profondamente distruttivo delle sfuriate grilline: Pier Luigi Bersani. Il segretario del PD corteggia Grillo dal giorno dopo le elezioni. Non vuole un governo col Pdl, sa che se lo facesse legittimerebbe in qualche modo il mostro di Arcore, e questo lui non lo può accettare, dopo che da 20 anni a questa parte il suo partito non fa che indicare in Berlusconi il male sommo, assoluto. Così tenta in tutti i modi di ingraziarsi, se non Grillo, almeno alcuni dei suoi seguaci, per mettere in piedi uno straccio di maggioranza, e governare, per un po'. Uno spettacolo davvero poco edificante.
Ma ancora più squallidi di Bersani sono, se possibile, certi “intellettuali” che hanno pregato
per giorni Grillo, lo hanno invocato di “essere ragionevole”, appoggiare Bersani. Perché tante preghiere inascolate? Pensano forse che un governo Grillo - Bersani sarebbe in grado di affrontare i problemi drammatici del paese? No, ovviamente. Il fatto è che a certi personaggi dei problemi del paese non frega assolutamente niente. Hanno una sola cosa in testa, perseguono da venti anni un solo obiettivo: far fuori Silvio Berlusconi. E così fremono, gli Ingroia ed i Di Pietro, i Benigni ed i Flores D'arcais, i don Gallo ed i Travaglio, al pensiero che se Grillo e Bersani si alleassero si potrebbe disporre di una solida maggioranza in grado di dichiarare ineleggibile il cavaliere, cacciarlo dal parlamento, aiutare i magistrati che da 20 anni non fanno altro che aprire inchieste su di lui, a cacciarlo in galera. I più ottimisti forse sperano che si possa addirittura metter fuori legge il Pdl, magari dichiarandolo “organizzazione mafiosa”. "Ah, se solo Grillo volesse..." sospirano malinconici.Sono Forcaioli, irresponsabili e ciechi. Che l'economia stia sprofondando non li preoccupa, una sola cosa turba i loro sonni: il fatto che Silvio Berlusconi esista. E se ne fregano dei danni devastanti che avrebbe la acutizzazione dello scontro politico che i loro disegni causerebbero, se attuati. Si, acutizzazione, perché solo degli idioti possono davvero sperare che circa dieci milioni di italiani siano disposti a restar privi di rappresentanza politica senza ribellarsi.
E sono, inoltre, incredibilmente stupidi. Non hanno capito nulla di Beppe grillo. Pensano sia un altro Travaglio o un altro Santoro. Non capiscono che Grillo è diventato tanto forte non perché urlava contro Berslusconi ma perché urlava, e u
rla, contro tutti. Se Grillo si alleasse con Bersani al fine di far fuori il cavaliere diventerebbe un altro Ingroia, o un altro Di Pietro e perderebbe gran parte del suo seguito. Degraderebbe al rango dei tanti faziosi che passano la vita a maledire il cavaliere e chi lo vota. Ma Grillo è diverso, è un demagogo vero, un nichilista autentico. Per questo manda al diavolo i sui consiglieri interessati ed i suoi ancora più interessati corteggiatori. Per questo è molto più pericoloso dei personaggi lividi di rabbia che infestano il nostro sottobosco politico. Per questo ogni persona responsabile dovrebbe, seriamente, cercare di fermarlo, prima che doventi davvero troppo forte. Altro che invocarlo e genuflettersi davanti a lui!

lunedì 25 marzo 2013

LA FAZIOSITA' DEI COMUNISTI




Perché sono tanto faziosi? Come è possibile che riescano ad esprimere una così formidabile capacità di odiare? Lo spettacolo di Bersani che è pronto a fare alleanze, quanto meno a discutere, con tutti meno che col Pdl non può non lasciare perplessi. La loro faziosità, tra l'altro, è controproducente, ha il solo risultato di rinsaldare le fila dei loro nemici. Il tentativo di eliminare in qualsiasi modo Berlusconi ridà fiato e forza ad un Pdl fino a ieri nettamente in crisi. Solo sei mesi fa una manifestazione come quella di Roma si sarebbe risolta con tutta probabilità in un clamoroso flop. Invece è stata un enorme successo. Possibile che Bersani non lo capisca? Non è un uomo intelligente, questo è vero, ma anche uno stupido queste cose riuscirebbe a capirle, lui no, e con lui tanti, tantissimi altri. Perché?
La risposta è semplice. Bersani e tanti altri sono comunisti, meglio, hanno da tempo abbandonato i fini comunisti ma conservano la mentalità comunista, il che è molto peggio.

Qualcuno considera il partito comunista un partito, più o meno, simile a tutti gli altri, solo più intollerante, più estremista. Il partito comunista avrà magari una forte vocazione autoritaria ma è comunque, e si sa, parte della società e mira a governarla, anche se con metodi poco ortodossi. Chi la pensa così non ha capito nulla del comunismo e del partito comunista, meno ancora capisce la mentalità comunista 

Il partito comunista non è un normale partito autoritario, non mira semplicemente a governare autoritariamente la società, al fine di tutelare determinati strati sociali, i loro interessi, i loro valori. No, è qualcosa di completamente diverso. Il partito comunista è l'auto coscienza della storia che si esprime come auto coscienza di quella classe che ha il destino storico di traghettare il genere umano dal regno della necessità a quello della libertà: il proletariato.
Il mondo borghese è un mondo alienato, gli esseri umani che vivono in questo mondo sono poveri, esangui fantasmi, non-uomini che hanno fuori di se la propria umanità. Grazie all'azione della classe operaia e del partito che ne rappresenta l'autocoscienza, questo mondo sarà superato, si ricomporrà ad un livello più alto la originaria unità fra uomo e natura, individuo e collettività, essenza ed esistenza umana. Dopo millenni di sfruttamento ed alienazione si concluderà il dramma terreno dell'uomo. La scissione dell'uomo con se stesso sarà superata e regnerà, per sempre, una superiore armonia.
Nella teoria e nella prassi del partito comunista si esplicita e si realizza il rovesciamento della storia, dell'uomo e della società. Non l'emancipazione umana ma la trasfigurazione dell'uomo è il fine del partito comunista, la rigenerazione integrale, la torsione a 360 gradi della sua natura. Con questa torsione la storia raggiunge il suo fine immanente, il paradiso abbandona l'al di la ed entra trionfante nel mondo terreno.

Il carattere mistico ed escatologico di una simile concezione è talmente evidente che non vale neppure la pena di sottolinearlo troppo. Una cosa invece val la pena di mettere in evidenza. I rapporti fra i comunisti e gli esponenti di altre forze politiche non sono in nulla assimilabili ai rapporti, più o meno pacifici, che le altre forze politiche hanno fra loro. Liberali e socialdemocratici, progressisti e conservatori, laici e cattolici, per tutti c'è posto nella concezione comunista della storia e del suo corso. Però sono loro, i comunisti, a rappresentare la auto coscienza di questo corso. La vittoria finale del comunismo rappresenta il lieto fine di un dramma di cui anche gli altri sono attori, ma attori necessariamente comprimari, inconsapevoli agenti della loro stessa, inevitabile, sconfitta. I rapporti fra i comunisti e gli altri non sono, non possono mai essere rapporti alla pari. Si tratta, sempre
di rapporti fra l'agente dello sviluppo storico ed i suoi inconsapevoli strumenti.
Il comunista potrà essere anche molto “dialogante”, a volte è dispostissimo ad accordi tattici o strategici con altri partiti, mira spesso a creare ampi fronti “democratico progressisti”, ma, sempre, considera gli altri, siano essi nemici o momentanei alleati, come esponenti di forze politiche e sociali destinate a sparire, magari dopo aver subito per un certo periodo di tempo la sua egemonia.
La faziosità del comunista nasce da qui, dalla pretesa di essere radicalmente diverso dagli altri, diverso perché destinato a realizzare un ineluttabile destino storico. Ma, attenzione, l'essere il consapevole attore di un destino storico non induce nel comunista alcun senso di quietismo. Il destino si realizza nella e grazie alla volontà, le leggi immanenti alla storia trovano la loro attuazione nella cosciente pratica rivoluzionaria. Il comunista è, insieme, determinista e volontarista, la cosa non lo preoccupa perché lui, da buon marxista hegeliano, ha “superato” il principio di non contraddizione. Si sa predestinato a riscattare il mondo e lotta con tutte le forze contro chi intende rallentare, o condizionare, od impedire questo riscatto. E' un calvinista laico.
E da buon calvinista ha una formidabile capacità di odiare, oltre che di amare. Ed odia in effetti chi in qualsiasi modo si oppone alla sua azione redentrice; soprattutto odia con la massima intensità chi non dialoga con lui, chi non accetta la sua visione escatologica della storia, la sua concezione del bene come trasfigurazione dell'uomo, insomma, chi rifiuta la sua egemonia culturale oltre che la sua politica.
Il comunista rigetta con veemenza ogni forma di reciprocità con le altre forze politiche. E' ridicolo chiedergli una sincera accettazione delle regole democratiche, o il riconoscimento del pluralismo sociale e politico o il rispetto delle libertà individuali.
Il comunista pretende il massimo rispetto dagli altri ma non è disposto a rispettarli, se non a fini tattici. Una manifestazione comunista è una grande “espressione di democrazia”, diventa “eversione populista” se a manifestare sono i suoi nemici. Il comunista è pronto a definire “borghese“ la legalità, ma la invoca se il leader di un partito nemico finisce nel mirino di qualche magistrato politicizzato. Il comunista esalta la pace quando si tratta di protestare contro un intervento armato “made in usa”, ma esalta la guerra se sono i suoi compagni a condurla, vuole la libertà di stampa ma è pronto ad eliminarla se questo favorisce la sua politica, urla contro la pena di morte, ma la sua storia è un martirologio di esecuzioni, spessissimo sommarie, sempre illegali. La democrazia va bene se agevola l'azione politica dei comunisti, può essere gettata alle ortiche se la ostacola. Si potrebbe continuare, molto, molto a lungo.
Una faziosità tanto radicale non deriva, questo deve essere chiarissimo, da cattiva fede, scarso attaccamento all'ideale, degenerazione corruttiva. No tanta faziosità deriva precisamente dall'attaccamento all'ideale, dalla convinzione profonda di far parte della crema del genere umano, di essere superiore agli uomini “comuni”. il comunista è tanto più fazioso quanto più è in buona fede, è tanto più feroce quanto più è onesto, in questo è sinistramente simile al suo gemello nemico nazista. Il nazista più pericoloso era quello più in buona fede, quello meno corruttibile, intimamente convinto della superiorità della “razza ariana” e del carattere criminale del giudaismo. Alcuni fra i più grandi ed orrendi crimini della storia sono stati commessi da persone assolutamente integerrime, spesso “incorruttibili”.
Ci sono altri due aspetti della faziosità comunista che occorre chiarire, aspetti piuttosto importanti.
Il primo risiede nella concezione comunista del bene. Si sente spesso dire che i comunisti sono meno esecrabili dei nazisti perché il loro fine sarebbe stato il “bene” degli esseri umani mentre i nazisti rivendicavano con feroce coerenza il male. Non intendo affrontare un tema tanto complesso come quello del confronto fra comunismo e nazismo, mi limito ad osservare che l'etica delle intenzioni non può guidarci nella valutazione di ciò che concretamente producono certe ideologie. Se una certa ideologia mira al bene ma
sempre, in tutte le situazioni produce solo il male può darsi che ci sia in lei qualcosa di profondamente, radicalmente sbagliato, può darsi che il bene per cui questa ideologia si batte non sia poi tanto un “bene”. E siamo così al punto. Il “bene” a cui mirano i comunisti non è lo stesso “bene” a cui mirano ad, esempio, i liberali, o i socialdemocratici. Per tutti questi è “bene” che gli esseri umani godano di estese libertà civili e politiche, che esista un buon livello di benessere, che tutti, o la gran maggioranza degli esseri umani, possano realizzare alcuni almeno dei loro fini. Insomma il bene che queste persone desiderano è il bene dell'uomo empirico, dell'essere limitato, dato, accidentale che vive qui ed ora nel mondo. Il comunista ride di questa concezione del bene, si tratta per lui di una concezione piccolo borghese, filistea. Il “bene“ del comunista si identifica nel superamento dell'egoismo in ogni sua forma, nella fine e di quello che Rousseau chiamava l'amor proprio, del desiderio di riconoscimento, di benessere materiale. Il bene ideale del comunista si realizza nell'integrazione senza residui dell'io nel tu, del singolo nel collettivo, nella armonia totale, senza smagliature di tutti con tutti. Si tratta non di fare il bene dell'uomo che vive qui ed ora nel mondo ma di cambiare radicalmente la natura di questo piccolo, miserabile, filisteo che è l'uomo che vive qui ed ora nel mondo. Il bene comunista si realizza nella costruzione dell'uomo nuovo, non nella soddisfazione dei meschini desideri dell'uomo “vecchio”. Si tratta di un fine impossibile, impossibile nel senso letterale del termine, posto al di fuori delle possibilità umane. Però è facilissimo uccidere milioni di uomini “vecchi” per realizzarlo; è possibile farlo perché chi ha una simile concezione del bene in fondo li disprezza, gli uomini vecchi. L'ometto che vuole qualche soldo in più in busta paga, che aspetta con ansia una settimana di vacanze al mare, che segue la squadra del cuore, fa schifo in fondo all'intellettuale comunista. Se ne possono sostenere le rivendicazioni se questo è utile alla grande causa, lo si può spedire in un comodo campo di concentramento se invece è questo ad essere utile, lo si può fare senza batter ciglio. Un simile sotto uomo non merita molte attenzioni.
Ed infine, la cosa forse più importante. Il grande ideale è scritto nel destino della storia ma si realizza con la volontà, nella lotta, lotta dura, durissima, spietata. E nella lotta si deve odiare, odiare senza riserve il nemico. E non si odia una classe, non si odia un sistema economico, non si odiano delle relazioni sociali. Si odiano, si possono odiare solo degli esseri umani, esattamente come si possono amare solo degli esseri umani, incarne ed ossa. La grande causa ha bisogno di grandi leader che le folle possano adorare e di nemici che le stesse possano, anzi, debbano odiare, con tutte le loro forze. Le grandi ideologie escatologiche hanno sempre bisogno di nemici.
Ed infatti il comunismo è sempre vissuto circondato da nemici, esseri demoniaci, uomini che rappresentavano il male assoluto, mostri coi quali ogni dialogo era impossibile, che dovevano solo esser distrutti, schiacciati come vermi. Il caso più enorme è quello di Trotskj. Il protagonista del colpo di mano dell'ottobre che diventa il nemico numero uno degli operai di tutto il mondo, l'insetto velenoso che da sempre ha tramato contro il partito bolscevico, colui che era complice del fascismo prima ancora che il fascismo nascesse. E oltre a Trotskj tanti altri, interni o esterni al movimento comunista, di destra o di sinistra: il “rinnegato Kautsky”, Liu Shaoqui, Saragat, Scelba, Craxi, Almirante, fino all'ultimo, al mostro dei mostri, l'uomo che è corrotto, corruttore, pedofilo, mafioso, stragista, bugiardo, puttaniere e nemico delle donne e chi più ne ha più ne metta. La lotta per il bene assoluto ha bisogno di angeli ed ha, parimenti, bisogno di demoni. Certo, a volte le cose cambiano, col mutare delle esigenze tattiche. Qualche mostro viene riabilitato, qualche altro diventa, per limitati periodi di tempo, un po' meno mostro. Saragat è stato additato per anni come “servo degli imperialisti”, poi è stato votato, anche dai comunisti, presidente della repubblica; con lo stesso mostro massimo, il cavaliere, si sono tentati, fugacemente, degli approcci, quando questi potevano apparire convenienti. Se però si guarda alla storia del movimento comunista nel suo complesso ci si accorge subito che sempre, in questa storia, è presente qualche mostro, qualche nemico del popolo contro cui manifestare il proprio furore , la propria sacrosanta indignazione
Qualcuno potrebbe obbiettare: “Giovanni, non ti sembra di esagerare? D'Alema che vuole rifondare l'uomo? Fassina che vuole rivoltare come un calzino la società? Ma è tutta gente impelagata con Monte Paschi! E poi, ce lo vedi Bersani alle prese con la dialettica? Lo immagini chino sul “Capitale” o sulla “Fenomenologia dello spirito”? Ma, lo hai visto in faccia?”
Si tratta di una obiezione seria. Certo, non credo che Bersani si sia macerato sulle pagine del “Capitale”, ma, chi ha detto che occorra conoscere una filosofia per esserne influenzati? Le grandi filosofie hanno questa caratteristica: vengono semplificate, banalizzate, ridotte in pillole, in insieme di luoghi comuni; in questa forma penetrano nella testa degli esseri umani e ne influenzano profondamente il modo di pensare e di sentire, e di agire.
Ed è vero che i post comunisti di oggi hanno abbandonato le vecchie utopie, sono ben inseriti nel sistema capitalistico, amministrano banche, a volte quasi le fanno fallire, hanno buoni rapporti con nomi importanti della nomenclatura industriale e finanziaria. Insomma, non sono affatto degli incorruttibili e spietati angeli dell'ideale, piuttosto piccoli e grandi burocrati con una moralità spesso assai elastica. Però, la mentalità degli esseri umani non cambia automaticamente col variare del loro stile di vita, delle loro stesse idee. Si può accettare il sistema capitalista e continuare a sentire nei suoi confronti un sottile, profondo disgusto. Ci si può, anche in buona fede, dichiarare pluralisti ma continuare a sognare la società unificata, omogenea, priva di contrasti. Ci si può adattare al mondo ma considerare questo adattamento, come, appunto, un adattamento, una concessione che occorre fare agli ineliminabili vizi dell'uomo, di certo non un valore. E si può anche essere corrotti e continuare a provare un formidabile sdegno nei confronti non solo della corruzione ma di tutto ciò che è denaro, mercato, finanza. “Io non sarò onestissimo, è vero, ma la colpa è dello sterco del demonio, mi sono allontanato dal mio ideale perché questo è troppo difficile da raggiungere, ma continua ad amarlo e questo basta a rendermi superiore agli altri, a quei miserabili che ritengono che il denaro sia tutto”.
Al momento del suo crollo l'impero comunista era tutto meno che il regno dell'ideale incontaminato, era divorato da una corruzione generalizzata, distruttiva. Però i vecchi modi di pensare e sentire restavano, ben saldi, convivevano con una realtà gretta, miserabile. E nessuno fra i vecchi modi di pensare e sentire è tanto saldo, duro a morire quanto la faziosità, la convinzione di essere comunque superiori agli altri. Tanto più l'ideale viene contraddetto dalla prassi tanto più si fa forte questa convinzione, tanto più feroce diventa, a volte, questa faziosità. Si tratta di un'arma difensiva in fondo, qualcosa che tiene lontane le insidie del mondo che permette al post comunista di non rimettere in discussione la sua storia, i suoi valori, di far convivere la sua grigia prassi presente con i nobili e mai rinnegati ideali di ieri.
Fino a quando i post comunisti non diventeranno ex comunisti, fino a quando cioè non sottoporranno ad un esame spietato la loro vecchia ideologia, fino a quando continueranno a voler far convivere passato e presente, idealità e grigia prassi quotidiana, fino a quel momento resteranno, sempre, degli insopportabili faziosi. Spetta a loro cambiare, e sul serio.

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sabato 23 marzo 2013

GLI "AMICI DELLA LEGALITA' "

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Felix Zerscinski, primo presidente della Ceka.


Paolo Flores D'Arcais, ex maoista,  ex trotskista, ex craxiano, ex militante del PCI, ex prodiano, ex dipietrista, da sempre e per sempre giustizialista forcaiolo. 



Il decreto n. 361 del 1957, all'articolo 10 afferma: «Non sono eleggibili [...] coloro che [...] risultino vincolati con lo Stato [...] per concessioni o autorizzazioni amministrative di notevole entità economica». Nel luglio 1994 alcuni esponenti di centrosinistra presentarono ricorso contro l'elezione di Berlusconi. Nel corso della seduta del 20 luglio 1994 la giunta delle elezioni decise di rigettare il ricorso.

Questa la storia. Ora, dopo che Berlusconi è in politica da circa 20 anni, un gruppo di “democratici” e di persone “amanti della legalità” ci ritenta. Berlusconi per loro è ineleggibile, quindi deve dimettersi da parlamentare. Oggi saranno a Roma a strillare la loro “indignazione” contro il mostro.
Valerio Onida, già presidente della consulta ed uomo vicino al PD, persona quindi “non sospetta” ha dichiarato che: “"Fino ad ora la legge non è stata ritenuta applicabile nei confronti di Berlusconi, visto che non è più il rappresentante legale dell'azienda di cui è proprietario", aggiungendo: “che il Parlamento e il governo si muovano per favorire o per non favorire soluzioni giudiziarie di una singola persona, mi sembrerebbe una brutta degenerazione”.
Il discorso di Onida è ineccepibile. Se cercassero di pensare gli “amanti della legalità” arriverebbero subito ad una conclusione ovvia: le concessioni non riguardano la PERSONA Silvio Berlusconi ma una AZIENDA: Mediaset. Berlusconi sarebbe ineleggibile se avesse qualche incarico in Mediaset, ma tutti sanno, tranne forse Flores D'arcais, che il cavaliere si è dimesso da tutti gli incarichi in mediaset nel momento stesso in cui è sceso in politica. Si aggiunga che oggi Mediaset è quotata in borsa e Berlusconi non ne è, a rigor di logica, il proprietario. Una azienda quotata in borsa è di proprietà degli azionisti, in proporzione al numero delle azioni possedute. Berlusconi è azionista di maggioranza di Mediaset, per renderlo ineleggibile ci vorrebbe una legge che stabilisse la ineleggibilità degli azionisti di maggioranza di aziende beneficiarie di pubbliche concessioni, insomma, di una qualsiasi azienda, visto che in Italia tutto o quasi è sottoposto a pubbliche concessioni. Una simile legge non farebbe che stabilire, in fondo, che gli imprenditori, o coloro che lo sono stati, non sono eleggibili, il che violerebbe il principio costituzionale della uguaglianza dei cittadini. Anche una simile legge comunque avrebbe valore solo PER IL FUTURO, non potrebbe obbligare il cavaliere a dimettersi. Gli “amici della legalità” non lo sanno, ma le leggi NON SONO RETROATTIVE, possono esserlo in un SOLO CASO: se risultano PIU' FAVOREVOLI ALL'IMPUTATO.
In realtà gli “amici della legalità” non hanno neppure una vaga idea di cosa sia una legge. La legge è universale, astratta, formale. La legge NON PUO' essere usata come un'arma per colpire una certa persona, e se capitasse che una maggioranza parlamentare legiferasse per colpirla i suoi provvedimenti non sarebbero, a rigor di logica, leggi.
Quando sento un ceffo come Flores D'Arcais parlare di “legge” mi viene in mente la disposizione del primo capo della Ceka, Felix Zerscinski, relativa al modo in cui condurre le inchieste sui sospetti “controrivoluzionari”:
“Durante l'inchiesta non bisogna cercare la prova che l'accusato abbia agito con azioni o parole contro il potere sovietico. Le prime domande che bisogna porsi sono: a quale classe appartiene? Qual'è la sua origine sociale? Quale è la sua istruzione o professione? Ed è la risposta a queste domande che deve decidere il destino dell'accusato”.
Per qualcuno oggi bisognerebbe fare ancora meno: basterebbe porre la domanda: "come ti chiami?". La risposta a questa domanda dovrebbe stabilire il destino dell'accusato.
Zerscinski era meglio, in fondo, degli Ingroia e dei Travaglio, dei Flores D'Arcais e dei Di Pietro: non si nascondeva dietro al paravento della legge.

venerdì 22 marzo 2013

I DUE MARO'





Dal 4 novembre 1979 al 20 novembre 1980 l'America visse col fiato sospeso. A Teheran 52 membri della ambasciata erano stati presi in ostaggio dai fondamentalisti islamici. Per la loro liberazione i fanatici chiedevano che lo scià Reza Pahlavi fosse estradato in Iran per essere giudicato dal “popolo iraniano”. Gli Usa non cedettero, ovviamente, non consegnarono ai carnefici lo scià anche se era in gioco la vita di 52 loro cittadini. Tentarono addirittura di liberare gli ostaggi con una azione militare, purtroppo fallita. Alla fine ne ottennero comunque la liberazione. Per quanto fanatici i seguaci di Khomeini capivano che avrebbero pagato un prezzo altissimo per la loro morte.
L'Italia è fatta di un'altra pasta. E' bastato che il governo indiano limitasse la libertà del nostro ambasciatore per costringere il governo Monti, ormai defunto ma ancora in grado di far del male, a a rispedire in India i due marò.
“Abbiamo ottenuto garanzie” farfuglia Monti, “non sarà applicata la pensa di morte”. Molto interessante, però, vanno fatte alcune osservazioni.

1) L'Italia ha sempre sostenuto che il caso NON era di competenza della magistratura indiana, visto che i fatti sono avvenuti in acque internazionali. Ora questa posizione è stata di fatto abbandonata se l'unico problema diventano le garanzie che la giustizia indiana può riconoscere. E le garanzie in un processo dovrebbero essere qualcosa di scontato, non dovrebbe essere necessario alcun impegno scritto. Monti ha rispedito in India i due marò in cambio di qualcosa che non dovrebbe neppure essere oggetto di discussione.

2) Si potrebbe obbiettare che Monti ha ottenuto che non si applichi la pena di morte. Dal che si deduce che un ergastolo gli starebbe benissimo. Starebbe benissimo A LUI, ovviamente, non ai nostri militari. Inoltre, se in India esiste, come pare esista, un minimo di autonomia della magistratura gli impegni del governo indiano non sono vincolanti per i magistrati indiani. E' deprimente lo spettacolo di strenui difensori della autonomia della magistratura che trattano con un governo al fine di ottenere da questo delle pressioni sulla propria magistratura.

3) Non mi stancherò mai di ripeterlo. Esiste la sentenza del 27 giugno 1996 della CORTE COSTITUZIONALE. Questa sentenza afferma chiaramente che l'Italia non concede l'estradizione a persone accusate di delitti per i quali sia prevista, nel loro paese, la pena di morte. Non la concede MAI, QUALI CHE SIANO LE ASSICURAZIONI, VERBALI O SCRITTE DEL PAESE CHE CHIEDE L'ESTRADIZIONE. Restituendo all'India i due marò il governo Monti ha quindi agito in maniera incostituzionale, ha violato lo spirito della costituzione ed una sentenza specifica della consulta, e questo malgrado il gran parlare di costituzione da parte di schiere infinite di ipocriti della politica.

4) In realtà Monti ha fatto addirittura di peggio perché nel caso dei marò non si tratta neppure di negare o concedere l'estradizione, ma solo di affermare il diritto dell'Italia di giudicare secondo le proprie leggi i propri militari, per un fatto di propria competenza.

5) Ogni paese serio difende e tutela i diritti dei propri cittadini, ovunque questi si trovino; a maggior ragione difende e tutela i diritti dei propri militari, e dei propri ambasciatori. L'Italia, quanto meno l'Italia di Monti, non lo fa, è palesemente incapace di gestire una crisi internazionale, indietreggia terrorizzata se qualcuno le mostra una espressione anche solo un po' minacciosa. E dire che il professore è stato additato per un sacco di tempo come colui che ci ha ridato lustro a livello internazionale!

6) Ultima considerazione: l'Europa. L'india prende praticamente in ostaggio l'ambasciatore di un paese importante della UE e la famosa “Europa”, quella che impone misure economiche distruttive a tutti, si limita a farfugliare poche, generiche banalità. E noi dovremmo far sacrifici per un una simile “europa”? (il minuscolo è voluto). Totò direbbe: “MA MI FACCIA IL PIACERE!!!!!”

Un po' di ottimismo per chiudere. Visti i magistrati che circolano in Italia, visti i Woodkok, gli Ingroia, le Boccassini, i De Magistris ed i Di Pietro, visti i PM che tengono la foto del “Che” in ufficio, forse i nostri due militari, se si prescinde dall'orrore della pena di morte, sono più garantiti in India che in Italia. E' così che va il mondo, meglio, che va il nostro sventurato paese.

martedì 19 marzo 2013

LA CORSA AGLI SPORTELLI

La più grande paura dell'Europa

La corsa agli sportelli è la cosa peggiore che possa capitare ad un sistema economico. Se, per un qualsiasi motivo, i depositanti perdono la fiducia nelle loro banche corrono a ritirare quanto  depositato. Le banche però non possono far fronte ad una massiccia ondata di prelievi, non possono farlo perchè i soldi dei depostanti non restano inoperosi nei loro forzieri. Quei soldi si sono trasformati in crediti alle imprese e alle famiglie. Per far fronte alle domande di prelievo la banca non ha che una via: chiedere agli operatori economici la restituzione di quanto a loro prestato. Ma neppure questi sono in grado di restituire il denaro avuto in prestito. Quel denaro si è trasformato in salari e stipendi, materie prime, macchinari. Un sistema economico è sempre in squilibrio dinamico, il denaro in esso immesso è sempre in circolazione, contribuisce alla creazione di nuova ricchezza. Non esiste mai una situazione in cui tutti i depositanti possano riavere il denaro depositato o tutti i mutuatari possano rendere l'importo dei prestiti loro concessi. In tutto questo non c'è, deve essere ben chiaro, nulla di particolarmente negativo o malvagio. Un uomo che cammina non è mai in perfetto equilibrio, il movimento è dato appunto da una serie di successivi squilibri che via via si ricompongono e si scompongono. Bloccare il ciclo che dal denaro porta alla produzione di merci e servizi e da questa alla creazione di nuovo denaro è un po' come assestare una mazzata nelle rotule ad un uomo che cammina: significa far crollare il sistema, innescare un effetto domino dalle conseguenze imprevedibili, comunque disastrose.
Eppure, dando prova di una stupidità pari solo alla loro arroganza, le autorità monetarie europee stanno facendo proprio questo. Cercano di imporre ai ciprioti un prelievo forzoso sui conti correnti bancari, tra l'altro di livello altissimo: quasi il 10% per i depositi oltre i 100.000 euro, il 6,75% per gli inferiori. Un furto legalizzato che avrà come unico risultato una perdita di fiducia nei confronti del sistema creditizio dalle conseguenze imprevedibili.
Qualcuno dirà: è una misura che colpisce i ricchi, ben venga quindi. Il solito idiota! A parte il fatto che essere ricchi non è un reato, a parte il fatto cghe avere un po' di soldi sul conto non significa essere ricchi, simili misure hanno il solo effetto di disincentivare gli investimenti, quindi di peggiorare la situazione di chi ricco non è.
Altri diranno: a Cipro un sacco di depositi bancari sono frutto del riciclaggio. Se è vero si indaghi e si colpiscani i riciclatori, non si dia una mazzata a tutto il sistema economico e finanziario.
Altri ancora diranno che la crisi dei debiti sovrani è grave. Se è tanto grave meglio farebbe lo stato a consolidare il  suo debito. In fondo chi compra titoli sa che esiste il rischio emittente. E' più giusto, ed è economicamente preferibile, che a sostenere i costi della crisi siano coloro che hanno investito sapendo di rischiare. Non si capisce perchè debba essere chi non ha investito, magari perchè non aveva soldi da investire, a dover pagare per garantire una solvibilità fasulla dello stato.
Il parlamento cipriota per ora ha bloccato il prelievo forzoso, però è possibile che  questo venga riproposto, forse in forma attenuata, o che vengano proposte misure simili. In ogni caso il proporlo ha provocato molti danni ed altri ne  provocherà. Il solo fatto che le autorità della UE abbiano violato quello che, malgrado il precedente del decreto Amato, era considerato un tabù, e lo spettacolo delle banche chiuse, del blocco della operatività on line sui conti, ha fortemente incrinato la fiducia del pubblico, e una volta che la fiducia sia stata incrinata ricostruirla è molto, molto difficile.
In Italia il decreto Amato, di entità comunque enormemente più ridotta, aveva anticipato i tempi. Speriamo solo che a qualcuno non venga oggi in mente di riproporre una simile follia. Con Bersani pronto a far carte false pur di conquistare Grillo tutto è possibile. Purtroppo.    

IL DISCORSO DISONESTO

La disonestà intellettuale consiste nel mascherare discorsi chiaramente incoerenti o non rispondenti ai fatti in maniera tale che l'incoerenza o la non rispondenza ai fatti vengano ad essere celate. Si avvale di diverse tecniche, qui ne saranno esaminate alcune.

Una prima tecnica può essere definita ELIMINAZIONE DELLE PREMESSE.
Se affermo: Tutti i genovesi sono italiani, Giovanni è genovese”, DEVO concludere “Giovanni è italiano”. Se, date le premesse, concludessi: “Giovanni è australiano” la mia incoerenza sarebbe compresa da chiunque avesse una anche minima capacità di pensare. Però, se elimino le premesse e mi limito a dire: “Giovanni è australiano” il mio errore potrà essere compreso solo da chi sa che Giovanni è genovese e che tutti i genovesi sono italiani.
Ieri sera ho ascoltato per una mezz'oretta alcuni sapientoni che discettavano in TV sulla crisi politica. Il rappresentante del PD, interrogato dal moderatore sul perché il suo partito non voglia accordi di nessun tipo col Pdl, ha risposto: “Il Pdl ha fatto cadere il governo Monti, non ci può essere accordo con loro”. Se questo tipino, non ricordo chi fosse, avesse esplicitato le premesse del suo discorso avrebbe dovuto dire: “Noi del PD siamo disposti a collaborare solo con chi ha dato prova di responsabilità appoggiando il governo Monti; Il Pdl ha appoggiato in maniera reticente il governo Monti, infatti alla fine lo ha fatto cadere, Il movimento di Grillo ha sparato a zero sin dall'inizio sul governo Monti, QUINDI noi vogliamo collaborare con Grillo e non col Pdl”. Se si fosse espresso in quel modo il tipetto avrebbe dimostrato di saper dire solo incoerenti idiozie, ma le incoerenti idiozie vanno mascherate, per questo ha ELIMINATO LE PRESMESE, sperando che il suo discorso non apparisse contraddittorio.

La eliminazione delle premesse è spesso collegata ad un'altra tecnica, potremmo definirla OCCULTAMENTO DELLA PREMESSA VERA. Torniamo al tipino di ieri sera. Se questo mister X fosse una persona intellettualmente onesta avrebbe dovuto rispondere alla domanda del moderatore affermando: “Noi non vogliamo nessun accordo col Pdl perché ODIAMO BERLUSCONI, lo vogliamo eliminare dalla scena politica, se possibile vogliamo eliminarlo dalla scena tot court, quindi siamo disposti ad allearci con chiunque pur di far fuori il cavaliere”. Se avesse detto questo però la sua faziosità sarebbe apparsa troppo smaccata, quindi ha modificato la premessa del suo discorso, tirando in ballo la caduta del governo Monti.

Un'altra tecnica del discorso disonesto consiste nella RIMOZIONE DEL PASSATO. Si tratta, molto semplicemente, della cancellazione tutto ciò che è avvenuto fino a ieri se questo può contraddire le proprie presenti prese di posizione. Sono in moltissimi nel PD ad esprimere in questi giorni la propria “indignazione” per la piccola manifestazione fatta dal Pdl al palazzo di giustizia di Milano. Ed anche Grillo si unisce al coro degli "indignati", e tutti insieme strillano contro gli "eversori". Però Grillo ha partecipato a manifestazioni violentissime contro il TAV, e Bersani è salito sui tetti di facoltà universitarie occupate (occupare una università è REATO, per la cronaca), e in passato moltissimi che oggi militano nel PD o a sinistra hanno tuonato contro giudici e magistratura. Tutto eliminato, tutto rimosso. Il disonesto intellettuale vive in una sorta di eterno presente, non ha un passato, non ha una storia, non ha ricordi. Si limita a strillare, oggi, qui ed ora.

Quando però la operazione di eliminare il passato non riesce il disonesto intellettuale dispone di un'altra tecnica: LA DOPPIA MORALE. “I giudici non si criticano” strilla il disonesto mentale. “Ma tu, proprio tu li hai criticati eccome, fino a ieri” replica il suo interlocutore. A questo punto il disonesto non può più rimuovere il passato quindi afferma trionfante: “Ma i miei erano nobili motivi, i tuoi invece sono abbietti”. Prima si nega ogni legittimità alla critica dei magistrati, subito dopo si afferma che certe critiche invece sono non solo legittime ma doverose. E perché mai certe critiche sono “doverose”? Semplice, perché è lui, proprio lui, il disonesto intellettuale, a muoverle. Ciò che io faccio è buono perché lo faccio io. Tutto parte da qui, dalla pretesa di porre se stessi a parametro di ciò che è giusto o sbagliato, buono o cattivo.

Orribile pretesa, fondamento di ogni totalitarismo.

lunedì 18 marzo 2013

GRAMSCI E BERSANI






Nei “quaderni dal carcere” Antonio Gramsci analizza la differenza fra la Russia prerivoluzionaria ed i paesi dell'Europa occidentale. In Russia lo stato era fortissimo, la società civile invece era estremamente fluida e debole. In occidente lo stato è relativamente debole mentre la società civile è forte, articolata, complessa. In Russia l'assalto rivoluzionario al potere ha assunto la forma della “guerra di movimento”: un colpo di mano audace, sferrato in un momento di crisi gravissima, ha consentito ai bolscevichi di conquistare il potere ed ora questi lo mantengono costi quel che costi, ed impongono la loro politica ad una società civile frammentata e dispersa.
In occidente la tattica della guerra di movimento non è applicabile, dice Gramsci. In occidente l'assalto allo stato dovrà essere la fase conclusiva di una lunga guerra di posizione che consenta al partito comunista di conquistare le fortezze e la casematte del potere borghese. In Russia la presa del potere statale aveva preceduto l'attacco alla società civile, in occidente la conquista dei gangli vitali della società civile deve precedere la conquista dello stato. Scuole, università, enti locali, magistratura o suoi settori importanti, cooperative, settori del mondo economico e finanziario, cariche istituzionali devono essere conquistate dal “moderno principe”, il partito comunista, e questo PRIMA della rottura rivoluzionaria.
Malgrado che diffuse leggende affermino il contrario in Gramsci non c'è nulla che ricordi, neppure vagamente, la democrazia liberale. Nulla è più lontano dal suo pensiero quanto la concezione di una società in cui forze politiche e sociali diverse si alternino democraticamente al governo e mettano in atto i loro programmi, rispettando l'avversario momentaneamente sconfitto. Gramsci vuole che il partito comunista raccolga un vasto consenso, sia la forza egemone in un “blocco storico” che comprenda anche forze non proletarie, ma vuole questo consenso al fine di imporre alla società tutta una trasformazione che la unifichi, la renda omogenea. Esattamente come Lenin Gramsci detesta il pluralismo non vuole una società divisa in classi, forze sociali, politiche e culturali diverse e tutte egualmente legittime.
Se si guarda alla politica di questi giorni ci si rende conto che i vertici del PD hanno bene appreso la lezione gramsciana. Il PD non è neppure il primo partito d'Italia, ha vinto le elezioni per meno di una manciata di voti, è maggioranza alla camera solo in grazia dei meccanismi della tanto detestata legge elettorale. Eppure vuole tutto per se. Se appare disposto a cedere qualche carica ai grillini lo fa al solo fine di potersi assicurare una maggioranza a sostegno di un governo, un governo qualsiasi che però gli consenta di restare al potere.
Non parlo della presenza del PD in banche e cooperative, enti locali, scuole e università. Non parlo della magistratura...
Certo, Bersani non mira alla "presa del potere" si limita a volere per il suo partito il massimo del potere, fine a se stesso. Per fortuna, a differenza di Gramsci che aveva una testa possente, Bersani è decisamente stupido...