giovedì 31 ottobre 2013

COSA DEVE ANCORA ACCADERE?






Dunque vediamo di ricapitolare.

1) Silvio Berluscoini subisce l'ennesimo processo, l'ultimo di una serie infinita che dura da circa 20 anni ed è condannato. Il tribunale passa dalla condanna di primo a quella di terzo grado a tempo di record: meno di un anno, fatto unico in un paese in cui per arrivare alla sentenza definitiva di anni ce ne voglio una decina.

2) Per fare presto Berlusconi viene sottratto al suo giudice naturale. A decidere del suo caso non è la sezione della cassazione preposta ai reati fiscali, ma quella estiva, con un giudice che aveva dichiarato che “se quello lo becco gli faccio un q... così”. La fretta è giustificata dall'esigenza di evitare la prescrizione, come se ogni giorno in Italia non cadessero in prescrizione migliaia di processi, relativi a reati ad altissima pericolosità sociale.

3) Con una fretta ancora maggiore di quella dei magistrati PD e M5S vogliono immediatamente applicare la legge Severino e dichiarare Berlusconi decaduto da senatore. L'elezione di Berlusconi a senatore tuttavia è avvenuta PRIMA della promulgazione della legge Severino, come fare allora a far decadere il cavaliere? Semplice, si applica la legge RETROATTIVAMENTE. Si cerca di giustificare una tale, enorme, violazione della costituzione e delle regole dello stato di diritto con l'argomento che la decadenza non sarebbe una sanzione penale ma amministrativa. Molto strano, visto che la decadenza è connessa ad una condanna penale. Comunque, PD e M5S non intendono neppure aspettare che la consulta si pronunci in merito (e si che hanno poco da temere dalla consulta...). Hanno fretta, una fretta enorme.

4) Si deve votare in aula sulla decadenza. Come votare? Il regolamento del senato è inequivocabile: se si decide sulle persone il voto deve essere segreto. Ma il voto segreto può riservare brutte sorprese, così PD e M5S cambiano il regolamento ed impongono il voto PALESE. Cercano di giustificare la cosa dicendo che non si tratta di voto su una persona ma su un principio. Che stronzata! Quando Tizio viene processato, si processa in base ad un principio una certa persona. Dicono anche che il caso Berlusconi è unico, diverso da tutti gli altri. Altra stronzata! OGNI caso è unico, diverso da tutti gli altri, allo stesso modo in cui ogni essere umano è unico, diverso da tutti gli altri. Però ogni essere umano, unico e diverso da tutti gli altri, ha diritto ad essere giudicato in base a norme UGUALI PER TUTTI. Secondo alcuni finti scemi del PD e del M5S, siccome ogni caso è unico si dovrebbe di volta in volta cambiare il regolamento in base ai casi. E' quello che fanno, in effetti, loro, i campioni della LEGALITA'

5) Ora i vari Epifani e compagnia dicono: “il governo vada avanti, non si può essere schiavi della decadenza!”. Insomma: noi ti impicchiamo e tu non devi neppure protestare, anzi, devi leccare la mano al tuo boia. Pratica molto nota agli italici sinistri: era esattamente questo che accadeva nei processi di Mosca del 1936 - 38, con gli imputati che chiedevano ai giudici di essere condannati a morte.

6) Il governo delle larghe intese aveva senso a due condizioni. PRIMA: che affrontasse in maniera forte la crisi tragica del paese. NON lo sta facendo, va avanti con continui rinvii, non abbassa la pressione fiscale, cambia solo nome alle varie imposte e balzelli, non alza la voce in Europa ma si accoda ai diktat della Germania. SECONDA: che restaurasse un clima di confronto civile, di normale dialettica politica e sociale. NON lo ha fatto. Il PD tallona Grillo cercando di apparire, e di essere, più giustizialista e forcaiolo del comico genovese. Con una aggravante. Il giustizialismo di Grillo è diretto contro tutti, quello del PD è invece unidirezionale. Strillano contro la presunta evasione fiscale di Berlusconi e tacciono sullo scandalo MPS, sperando, a ragione, che, in questo caso, i magistrati procedano a passo di lumaca.

7) Come fa il Pdl a continuare ad appoggiare il governo? Forse i vari Alfano e Quagliariello hanno paura del peggio? E' una paura che può avere un suo fondamento, però... cosa ancora deve succedere per far capire a questi signori che, continuando ad appoggiare un governo simile, a stare in maggioranza con un partito che vuole in galera i rivali (nemici) politici si rischia di PREPERARLO, il PEGGIO?

mercoledì 30 ottobre 2013

IL CONTROLLO TOTALE




Lo dico seriamente, senza esagerare. Ci stiamo avviando verso una situazione molto simile a quella descritta da Orwell in “1984”. A novembre scatta lo “spesometro”: i commercianti saranno obbligati a comunicare all'agenzia delle entrate tutti gli acquisti superiori ai 3600, euro; intanto, le banche, già da ora, devono fornire sempre alla stessa agenzia tutte le notizie relative ai movimenti dei conti dei loro clienti. Insomma, lo stato fiscale controllerà tutte le nostre transazioni economiche: non si limiterà ad appurare che lavoro facciamo e quanto guadagniamo, saprà quanto, e con che frequenza spendiamo i nostri soldi, tanti o pochi che siano, e per cosa. Scoprirà se siamo avari o spendaccioni, frivoli o seri. Scoprirà se amiamo il lusso o l'austerità, cosa mangiamo, come ci vestiamo, che tipo di musica ci piace, se amiamo o non amiamo leggere. Saprà se preferiamo andare al mare o in montagna, sarà informato sulle nostre preferenze sessuali, scoprirà chi è un coniuge fedele e chi no: chi sa come spendiamo i nostri redditi sa molto, moltissimo, quasi tutto della nostra vita. E non c'è da sperare che la tendenza si fermi. Prima o poi il limite dei 3600 euro sarà abbassato, esattamente come si abbassa ogni giorno di più il limite all'utilizzo del contante. I cittadini cercheranno in vari modi di sfuggire agli opprimenti controlli cui sono soggetti, e lo stato fiscale-parassitario risponderà decretando nuovi controlli: il grande fratello non è affatto una prospettiva irrealistica.
Non c'è nulla di strano in tutto questo. Lo stato parassitario ha bisogno di soldi. Ne ha un disperato bisogno perché deve mantenere un numero enorme di persone che consumano senza produrre, compresi i sempre più numerosi “migranti” che dobbiamo (non si sa bene perché) accogliere tutti, senza limite alcuno. Per fare aumentare le entrate non basta allora una normale lotta all'evasione, non ci si può limitare ad appurare quanto guadagna Tizio, no, occorre scoprire se Tizio ha per caso qualche altra entrata, fa qualche lavoretto non dichiarato.
Tizio è lavoratore dipendente, è facile per lo stato appurare quanto guadagna: c'è il modello 101 che parla chiaro. Ma, forse, Tizio nelle ore libere fa un lavoretto in nero. Magari lo chiama Caio, suo amico, e gli dice: “puoi tagliare l'erba del mio giardino?”. Tizio accetta e a fine lavoro Caio lo paga. Tizio non denuncia al fisco al sua entrata, “EVASORE!!!”. Ed ancora, Tizio non fa nessun lavoretto in nero, ma tiene nascoste nel materasso forti somme in contanti. Ogni tanto prende un po' di questi soldi e va a fare fa la spesa. Come ha avuto Tizio queste somme? Sarà tutto a posto dal punto di vista fiscale? Occorre controllare. E, come fare a sapere se Tizio ha o non ha soldi nascosti nel materasso? Come fare a sapere se quando esce di casa va a fare due passi o non si reca a casa di Caio per fare un lavoretto in nero? Per scoprire quali sono le entrate di Tizio, fino all'ultimo centesimo, non bastano i redditometri e gli spesometri, occorre spiarlo 24 ore al giorno, intercettare le sue telefonate, piazzare tante belle telecamere nella sua casa. Occorre distruggere, totalmente, la sua privacy. Il grande fratello, appunto.
Ma non dobbiamo lamentarci, se lo facciamo dimostriamo solo di essere cittadini poco responsabili. La “lotta all'evasione” ha, deve avere, al priorità su tutto e tutti. E' il nuovo  assoluto, il nuovo imperativo categorico che tutti ci obbliga.
Tutto bene quindi? Si, tutto bene! Un solo, piccolo, particolare non quadra. Quando la lotta all'evasione avrà vinto, quando tutti i redditi, anche minimi, saranno finalmente tassati, quando anche la studentessa che da lezioni private, o il giovanotto che ti sistema il giardino, o l'amico che ti affitta per due settimane un monolocale al mare vedranno decurtati i loro redditi dallo stato fiscale–parassitario, allora l'economia si fermerà, moltissimi smetteranno di lavorare perché il lavoro non renderà più nulla. L'agenzia delle entrate avrà vinto la sua battaglia. E saremo tutti morti, di inedia.

sabato 26 ottobre 2013

RECENSIONE: "LA CARITA' CHE UCCIDE" DI DAMBISA MOYO




“In Africa c'è un fabbricante di zanzariere che ne produce circa cinquecento la settimana. Da lavoro a dieci persone, ognuna delle quali (come in molti paesi africani) deve mantenere fino a quindici familiari. Per quanto lavorino sodo la loro produzione non è sufficiente a combattere gli insetti portatori di malaria.
Entra in scena un divo di Hollywood che fa un gran chiasso per mobilitare le masse e incitare i governi occidentali a raccogliere e inviare centomila zanzariere nella regione infestata dalla malaria al costo di un milione di dollari. Le zanzariere arrivano e vengono distribuite. Davvero una buona azione.
Col mercato inondato da zanzariere, però, il nostro fabbricante viene immediatamente estromesso dal mercato, i suoi dieci operai non possono più mantenere le centocinquanta persone che dipendono da loro (…) e, fatto non trascurabile, entro cinque anni al massimo la maggior parte delle zanzariere importate sarà danneggiata ed inutilizzabile.”
Si tratta, afferma Dambisa Moyo, nel libro “la carità che uccide” (BUR saggi 2011) del “paradosso micro-macro: un intervento efficace a breve termine può apportare pochi benefici tangibili di lunga durata; peggio ancora può, involontariamente, minare ogni fragile possibilità di sviluppo già esistente”.
Dambisa Moyo, economista di fama mondiale, è originaria dello Zaire. Nel libro di cui ci stiamo occupando, una volta tanto, i problemi dall'Africa sono affrontati da una africana, non da divi del rock, stelle del football, attori ed attrici di Hollywood. La tesi principale della Moyo è estremamente semplice e contrasta con tutti i luoghi comuni politicamente corretti che imperversano in occidente: gli aiuti ai paesi poveri, e, nello specifico all'Africa non servono. Non solo non servono, sono dannosi. L'esempio del fabbricante di zanzariere è quanto mai significativo. Una delle peggiori conseguenze degli aiuti è che bloccano lo sviluppo di una imprenditoria locale, l'unica che può garantire un decente sviluppo economico. Ben lungi dall'aiutare i paesi africani ad uscire dalla tragica spirale del sottosviluppo gli aiuti sono uno dei fattori, forse il principale, che impedisce che questa spirale sia spezzata.
Gli aiuti possono servire quando si tratta di interventi limitati, concentrati nel tempo, accompagnati da precise condizioni, insomma, prestiti da restituire in tempi determinati. Gli aiuti all'Africa sono però di tipo ben diverso: sono praticamente a fondo perduto, con debiti che vengono periodicamente “ridotti” solo perché se ne contraggono di nuovi, di fatto incondizionati, a tempo indeterminato.
La Moyo parte da un dato di fatto incontrovertibile: in meno di sessanta anni l'Africa ha ricevuto aiuti per circa mille miliardi di dollari, molti di più se si tiene conto della svalutazione, comunque  una cifra non da poco. Eppure non solo questi aiuti non hanno innescato alcun decollo economico, ma la situazione dell'Africa si è progressivamente aggravata. Qualche decennio fa molti paesi africani se la passavano meglio di altri come la Cina o l'India, oggi la situazione si è invertita e l'Africa vede peggiorare tutti i principali indicatori economici e sociali. “L'Africa non sta soltanto tendendo verso il basso” afferma la Moyo, “sta completamente scollegandosi dai progressi raggiunti nel resto del mondo”. Una situazione tragica, malgrado gli aiuti. Malgrado? Per la Moyo in conseguenza degli aiuti.

Gli aiuti, ben lungi dal favorire lo sviluppo, favoriscono un incredibile aumento della corruzione. Non vanno a finanziare, se non in misura ridottissima, opere pubbliche o investimenti produttivi, finiscono nelle mani di governi corrotti e tirannici e delle loro fameliche clientele. In parte le somme erogate a favore dell'Africa non restano neppure in Africa: finiscono in conti esteri.
Quando in occidente si pensa che una certa somma sia spesa per costruire un ospedale, in Africa si sta costruendo un bordello, ricorda provocatoriamente la Moyo.
Secondo alcune stime, viene ricordato, “risulta che almeno il 25% dei 525 miliardi di dollari (cioè 130 miliardi) prestati dalla banca mondiale ai paesi in via di sviluppo sia stato usato in modo disonesto. Le enormi somme degli aiuti quindi non solo incoraggiano la corruzione: la generano”. E, ovviamente, la corruzione è un potentissimo fattore frenante dello sviluppo: è molto difficile che un investitore straniero rischi i propri capitali in un pese in cui la corruzione dilaga a tutti i livelli.
La corruzione indotta dagli aiuti ha conseguenze sociali, oltre che economiche. In particolare blocca lo sviluppo di quel potente fattore di stabilità sociale costituito dal ceto medio. In Africa esiste un ceto medio, ma è solo marginalmente legato allo sviluppo delle attività produttive, si tratta per lo più di un sottile strato di popolazione foraggiato da denaro pubblico, quindi, in larga misura dagli aiuti. Tutto questo ha ripercussioni negative sulla formazione del capitale umano. Il capitale umano è un fattore decisivo della crescita economica: si tratta dell'insieme delle competenze diffuse a livello di società e, soprattutto, del clima di fiducia che lega i cittadini fra loro ed al loro governo. In società dipendenti da aiuti esteri, con un ritmo di sviluppo autonomo estremamente basso ed in balia della corruzione, il capitale umano non può che deteriorarsi, e questo diventa un nuovo ostacolo allo sviluppo. Molti governi africani del resto considerano, a ragione, gli aiuti una sorta di sostitutivo delle entrate fiscali. Non esistono tasse quindi, ed i governi non si sentono in alcun modo obbligati a fornire ai propri cittadini alcun servizio pubblico. La bassa pressione fiscale favorisce lo sviluppo, ricorda la Moyo, ma la assenza di tassazione crea un clima di reciproca estraneità fra governi e cittadini e questo è un fatto negativo.
Del resto, anche quando una parte degli aiuti finisce nelle tasche della gente comune questo non favorisce se non marginalmente l'economia. In economie stagnanti e tecnologicamente arretrate l'aumento della domanda si traduce non in un incentivo alla produzione ma in un incremento dell'inflazione. Allo stesso modo, le iniezioni di liquidità derivanti dagli aiuti determinano spesso pressioni sul cambio della moneta (i dollari devono essere convertiti in valuta locale), questa si rivaluta con conseguenze negative sulle esportazioni, cosa grave in paesi che vivono spesso di esportazioni.
Infine, ma non certo di scarsa importanza, gli aiuti favoriscono il clima di perenne guerra che opprime larga parte del continente africano. I vari capi e capetti militari cercano affannosamente di conquistare il potere statale perché lì sta il principale rubinetto del denaro. Le somme messe in circolazione dagli aiuti vengono spesso spese in armi e servono per fidelizzare la soldataglia intorno a piccoli, e spietati, signori della guerra.
In occidente sono in molti a rendersi conto che gli aiuti prendono direzioni ben diverse da quelle volute, e c'è chi teorizza che si dovrebbe controllare come gli aiuti vengono utilizzati; però, pensare che da un comodo ufficio di New York si possa “controllare” come vengono spesi un bel po' di dollari nell'Africa sub sahariana è semplicemente ridicolo. L'unico “controllo “ possibile sarebbe legare la prosecuzione degli aiuti al raggiungimento di chiari, controllabili, livelli di sviluppo, ma questo significherebbe di fatto la fine degli aiuti. Gli aiuti non favoriscono la crescita, anzi, la ostacolano e questo crea una domanda supplementare di aiuti. Questa è la tragica spirale in cui si dibatte l'Africa.

Può essere spezzata questa spirale? A questa domanda cerca di dare risposta la parte propositiva del libro di Dambisa Moyo.
L'Africa ha bisogno di fondi, ma questi possono essere reperiti, meglio che dagli aiuti, sul mercato obbligazionario internazionale. Perché emettere obbligazioni è meglio che ricevere aiuti? Si tratta comunque di somme prese a prestito, e le emissioni di obbligazioni hanno un costo maggiore. Però, se un paese emette obbligazioni sa che deve rimborsare il prestito alla scadenza, se non lo fa non troverà tanto facilmente altri sottoscrittori, inoltre per piazzare le proprie obbligazioni c'è bisogno di un rating, buono possibilmente. Tutto questo invoglia, si potrebbe dire obbliga, i governi ad utilizzare in maniera molto oculata i soldi avuti in prestito. Questi devono servire ad attività economiche produttive, non essere sperperati in spese futili, depositati in conti esteri o usati per finanziare clientele fameliche.
Si possono fare considerazioni simili per gli investimenti internazionali. L'Africa, afferma Dambisa Moyo, può rappresentare una ottima occasione per investitori in cerca di nuove occasioni di profitto, a condizione che si doti di istituzioni adeguate, riduca il peso di una burocrazia inefficiente e si emancipi, almeno in parte, dalla situazione di dilagante corruzione in cui si dibatte attualmente. Lo stesso vale per il commercio. Le materie prime di cui l'Africa abbonda fanno gola a molti ed è possibile ricavarne i fondi indispensabili per lo sviluppo. Sono in molti a voler commerciare con l'Africa, Cina in testa, basta creare una situazione istituzionale idonea, e dal commercio possono venire proventi assai più cospicui che non dagli aiuti. Quello che occorre all'Africa, afferma la Moyo, non sono stuoli di giovanotti pronti a partecipare a collette umanitarie. Servono investitori, commercianti, sottoscrittori di obbligazioni. Gente che vuole lavorare in Africa e con l'Africa e che esige che la sua attività sia adeguatamente remunerata. Un investitore cinese che costruisce una strada assume operai africani, immette liquidità nel sistema, sveltisce le comunicazioni, quindi rende più facili, o meno difficili, ulteriori iniziative economiche. Questo investitore, che mira, ovviamente, al profitto, fa per gli africani molto più di quanto non facciano tanti “generosi” sottoscrittori di aiuti a fondo perduto.

Dambisa Moyo dedica molte pagine assai interessanti al microcredito. Di cosa si tratta? Di prestiti di modesta entità concessi a piccoli o piccolissimi aspiranti imprenditori. Il guaio di chi chiede soldi a prestito in Africa consiste nel fatto che non è in grado di prestare garanzie. Una banca specializzata in microcredito cosa fa? Seleziona un gruppo di aspiranti lavoratori in proprio, ad esempio, donne che hanno bisogno di una macchina da cucire per lavori di piccola sartoria. Il prestito viene prima concesso ad A, quando A lo rende viene concesso a B e così via. Se Invece A non restituisce, B non avrà accesso al credito. In questo modo, malgrado le aspiranti sarte non siano obbligate in solido, si crea fra loro un interesse comune alla restituzione. Se per caso A non riesce a far fronte ai suoi impegni B, C, D intervengono per darle una mano. Questa solidarietà di gruppo diventa un ottimo sostituto delle garanzie: in effetti le percentuali di insolvenza nel microcredito, in America latina ad esempio, sono insolitamente molto basse. “Ricordate il fabbricante di zanzariere che, a causa degli aiuti, ora è estromesso dal mercato?” si chiede la Moyo, “quanto sarebbe potuto invece andare meglio se anche solo la metà del milione di dollari in donazioni fosse stata investita col microcredito?” La domanda è retorica.

L'occidente fa molte elemosine all'Africa, afferma la Moyo, ma non fa ciò che invece occorrerebbe davvero a questo continente in preda ad un sottosviluppo endemico: ridurre drasticamente i dazi protettivi che penalizzano le esportazioni africane di prodotti agricoli. “Se l'occidente vuole fare della morale sul mancato sviluppo dell'Africa, la questione da affrontare è il commercio, non gli aiuti”. Sia gli Stati Uniti che l'Unione europea spendono somme ingentissime in sussidi alle proprie agricolture e questo impedisce agli africani un accesso paritario ai mercati, di fatto li strangola. “Nell'Unione europea ogni bovino riceve sussidi per 2,5 dollari al giorno, un dollaro di più di quanto un miliardo di individui, molti dei quali africani, hanno ogni giorno per vivere (…) questi sussidi hanno un doppio impatto: i coltivatori occidentali vendono i propri prodotti in patria, ad un consumatore prigioniero, a prezzi superiori a quello di mercato, e possono permettersi di vendere sottocosto all'estero (…). I coltivatori africani non possono assolutamente competere con i milioni di tonnellate esportazioni sovvenzionate a prezzi tanto bassi”. Altro che “liberismo” che affama l'Africa! è il protezionismo statalista che contribuisce ad affamarla, e crea inoltre, è bene ricordarlo, numerosi problemi negli stessi paese avanzati.

Il libro della Moyo ha fatto molto discutere, soprattutto è stata al centro di molte polemiche la sua affermazione che la democrazia non sempre favorisce lo sviluppo economico. In paesi poverissimi la lotta alla povertà ha la precedenza sulla stessa democrazia. Certo, la democrazia liberale è il sistema che più di ogni altro favorisce la crescita dell'economia, questo Dambisa lo riconosce senza esitazioni, ma in situazioni come quelle africane può non avere effetti positivi. Più che della democrazia molti paesi dell'Africa avrebbero bisogno di “un dittatore benevolo e risoluto che introduca le riforme indispensabili a mettere in moto l'economia”. Si tratta di una tesi assai discutibile, del resto è la stessa Moyo a ricordare che “disgraziatamente, troppo spesso, le dittature sono tutt'altro che benevole”, ed inoltre, non è affatto detto che, una volta avviato lo sviluppo il “dittatore benevolo” si faccia da parte. Tuttavia è una tesi che, almeno in parte coglie il bersaglio, prova ne siano i fallimenti dei maldestri tentativi occidentali di imporre la democrazia in paesi del tutto privi di tradizioni democratiche. E prova ne sia, purtroppo, anche il chiaro fallimento delle varie “primavere arabe”.

L'Africa si è armai assuefatta agli aiuti, è un continente dipendente, drogato dalla “bontà” di cui è fatto oggetto. E si è assuefatto agli aiuti anche l'occidente, dove è sorta una autentica industria della solidarietà che da lavoro e redditi a decine di migliaia di persone. “I donatori occidentali hanno un'industria degli aiuti da alimentare, agricoltori da placare (vulnerabili quando le barriere del commercio vengono rimosse), elettori liberal con intenzioni “altruistiche” da tenere a bada, e, dovendo affrontare le proprie difficoltà, economiche, assai poco tempo per preoccuparsi della morte dell'Africa”. Gli aiuti insomma sono una droga non solo per l'Africa, lo sono, in maniera radicalmente diversa, è ovvio, per lo stesso occidente. Però, è necessario abbandonare gradualmente questa droga, è necessario anche se per gli africani può essere, all'inizio, doloroso. Continuare con la politica degli aiuti non serve a nulla, anzi, aggrava tutti i problemi.
Ciò che la Moyo vorrebbe è un'Africa capace di sviluppo, come sono stati capaci di sviluppo la Cina e l'India, il sud Corea ed il Brasile. Non piace alla economista originaria dello Zaire la prospettiva di un'Africa eternamente dipendente dalla “bontà” degli occidentali politicamente corretti, fatta oggetto di continuo di concerti di solidarietà, collette di solidarietà, campagne mediatiche di solidarietà. Dietro a tanta “bontà” si cela una sorta di nuovo, strisciante razzismo. “Il problema”, afferma la Moyo in un passo assai significativo ”è se considerare gli africani come bambini, incapaci di progredire autonomamente e di crescere senza che venga mostrato loro in che modo o senza esservi costretti; oppure trattarli come adulti e offrir loro la possibilità di tentare uno sviluppo economico duraturo. L'inconveniente del modello di dipendenza dagli aiuti è proprio che l'Africa viene sostanzialmente tenuta in un perpetuo stato infantile”.

La carità che uccide” è un autentico pugno nello stomaco, una provocazione contro chi ha fatto della “bontà” la scusa per non pensare, non affrontare i problemi, non vedere la realtà. Le sue tesi possono certo essere discusse ma non rimosse con una sprezzante alzata di spalle, cosa in cui eccellono gli “intellettuali” del politicamente corretto. Scritto in uno stile piano ma coinvolgente, anche se non particolarmente brillante, con tecnicismi ridotti al minimo, questo libro offre un quadro dell'Africa e dei suoi problemi di cui non è possibile non tener conto. Non a caso è subito diventato un best seller mondiale. Fa piacere imbattersi in un libro simile sfogliano in libreria i tanti testi sul sottosviluppo trasudanti idiozie e banalità. Insomma, un libro da leggere, assolutamente.

martedì 22 ottobre 2013

MAGARI

Si sente spesso dire: “siamo nelle mani di una banda di disonesti corrotti che ci spremono come limoni per arricchirsi”. Io rispondo: “MAGARI! Magari fossimo nelle mani di banditi che ci spremono come limoni per arricchirsi”.
Depredare le proprie vittime fino ad ucciderle o a ridurle in totale miseria è una forma primitiva di delinquenza, ormai superata. Un delinquente che si arricchisce alle mie spalle sa, se è appena intelligente, che non può spremermi fino ad uccidermi o a rovinarmi: se mi uccide o mi rovina non può più derubarmi, elimina la fonte del suo guadagno. Un criminale con un decente senso degli affari è interessato alla vita ed anche al benessere delle sue vittime.
Noi siamo nelle mani di MATTI MALATI DI IDEOLOGIA, e questo è MOLTO PEGGIO che essere nelle mani di criminali. Il malato di ideologia non si chiede quali saranno le conseguenze delle sue azioni, agisce e basta. Per lui una sola cosa conta: agire in conformità con i dettami della sua ideologia. Se poi questo fa crollare il mondo, e nel mondo anche lui, e con lui la sua stessa ideologia, beh... si tratta di un dettaglio trascurabile.
Blocchiamo la costruzione di centrali nucleari ed importiamo energia prodotta col nucleare, pagandola a prezzo molto più caro; vogliamo “lavoro” ed intanto occorrono decenni per costruire una tratta ferroviaria, con gli operai assediati dai NO TAV; siamo nel bel mezzo di una recessione paurosa e crediamo di poter mantenere un numero sempre crescente di “migranti”; abbiamo un disperato bisogno di ridurre la pressione fiscale ed intanto l'IVA sale, ed eliminiamo l'IMU solo per sostituirla con la TRISE; ed ancora, se la terra trema si incolpano i tecnici della protezione civile; fabbriche che danno lavoro a migliaia di operai possono essere chiuse dall'oggi al domani, se un magistrato così decide, però pretendiamo che gli investitori esteri rischino il loro denaro in Italia... si potrebbe continuare, molto a lungo.
Nulla nel nostro paese ha ormai un legame, anche tenue, con la logica, la razionalità. MAGARI FOSSIMO IN MANO AI BRIGANTI!

venerdì 18 ottobre 2013

CHI COMANDA IN ITALIA





Il capo dello stato dovrà testimoniare sulla presunta trattativa stato mafia. In ogni paese del mondo una cosa simile sarebbe del tutto inconcepibile, in Italia appare quasi normale. Un tempo era diffusa nel nostro paese l'idea che le alte cariche dello stato dovessero essere protette da vincoli e filtri nei confronti dell'azione dei magistrati. Questo non perché chi ricopre alte cariche non debba, come tutti, essere sottoposto alla legge, ma per altri due evidenti motivi.
PRIMO. Un capo dello stato incriminato o anche solo chiamato a deporre rappresenta un enorme danno di immagine per qualsiasi paese.
SECONDO. le alte cariche dello stato, proprio in quanto alte cariche, possono essere oggetto di passioni politiche dalle quali è giusto siano difese.
Non a caso la costituzione, tanto amata a parole dai forcaioli, prevedeva la IMMUNITA' PARLAMENTARE, malgrado affermasse a chiare lettere la UGUAGLIANZA DEI CITTADINI di fronte alla legge. Per decenni nessuno ha mai accusato la costituzione di essere in contraddizione con se stessa. Poi è arrivata tangentopoli, con tutto il connesso can can mediatico, ed è passata l'idea che qualsiasi magistrato può indagare, intercettare, incriminare chiunque, quando e come vuole, senza alcun limite, filtro o controllo. E così oggi appare normale che un uomo politico sia fatto oggetto di centinaia di inchieste e decine di processi, e che anche altri finiscano a turno nel mirino della “giustizia”, compreso lo stesso capo dello stato ed i suoi collaboratori più stretti. Se il Vaticano non fosse uno stato sovrano anche il papa, credo, sarebbe stato oggetto delle attenzioni di qualche magistrato, personalmente non mi stupirei se un bel giorno Santoro mandasse in onda qualche intercettazione di papa Francesco o, meglio ancora, di papa Benedetto.
Bisogna metterselo bene in testa: TUTTO, ma proprio tutto può accadere in Italia. Nel nostro paese il potere è esercitato essenzialmente: dai magistrati, che decidono chi può governare serenamente e chi no, dalla commissione europea, che decide le nostre politiche di bilancio, ed infine dagli scafisti. Si, proprio da loro, che decidono quanti “migranti” saremo costretti ad aiutare e ad accogliere, e quanto saranno veloci i flussi migratori che riguardano il nostro paese. E' chiaro che un paese simile NON HA FUTURO, ma questo è un altro discorso.

mercoledì 16 ottobre 2013

SUL NEGAZIONISMO ED I FALSI AMICI DEGLI EBREI

Detesto il negazionismo ed i negazionisti, ma sono contrario a trasformare in reato il negazionismo dell'olocausto. Una tesi storica, per quanto aberrante, non può essere considerata reato, non si può imprigionare uno studioso, o presunto tale, solo perché sostiene che una certa verità storica non è tale. Le tesi storiche, esattamente come le teorie scientifiche e filosofiche, si combattono al livello delle idee, dell'analisi e della confutazione teorica, non nelle aule dei tribunali. Del resto, se si considera reato negare l'olocausto non si vede perché non si dovrebbe considerare reato la negazione dei Gulag e dei crimini di Stalin, o di quelli di Mao e di Pol Pot, o il genocidio degli Armeni. Ed ancora: cosa bisognerebbe sostenere per incorrere nel reato di “negazionismo”? Si dovrebbe negare l'olocausto o basterebbe sostenere che ha avuto dimensioni inferiori a quelle che conosciamo? Negare un certo evento relativo alla Shoah implicherebbe il reato di negazionismo, o no?
La proposta di trasformare in reato il negazionismo dell'olocausto ha poco a che vedere con la lotta all'antisemitismo. Rientra piuttosto in una tendenza estremamente pericolosa che pretende di trasformare in reato quelle che sono e restano semplici opinioni, detestabili alcune, discutibili altre, ma comunque, sempre, opinioni. Oggi c'è chi pretende che sia reato considerare malattia, o peccato, l'omosessualità, o sostenere che la religione islamica sia incompatibile con la democrazia; domani le pretese potrebbero ampliarsi ancora, fino a distruggere quel che resta in occidente della libertà di parola e di pensiero.

Ben altre cose che riguardano gli amici ebrei andrebbero considerate reato. Dovrebbe essere reato bruciare le bandiere israeliane nelle pubbliche manifestazioni, marciare insieme a giovanotti mascherati da uomini bomba, e dovrebbe essere reato esaltarli, gli uomini bomba, quando si fanno esplodere nelle pizzerie e nelle discoteche. Dovrebbe essere reato equiparare la stella di Davide alla svastica, come fanno tanti ragazzotti dei centri sociali, e dovrebbe essere reato teorizzare la distruzione dello stato di Israele. Si, chi nega l'olocausto nega che ci sia stato un crimine, chi teorizza la distruzione di Israele incita altri a compiere un crimine, esalta il crimine. Questo si che dovrebbe essere considerato un reato, una apologia di genocidio! E, quanti di coloro che si vogliono trasformare in crimine il negazionismo dovrebbero essere inquisiti se si trasformasse in crimine la teorizzazione della distruzione di Israele!

Dietro alla proposta di criminalizzare il negazionismo, come dietro alla incredibile vicenda dei funerali di Priebke, si cela una contraddizione grande come una casa. A scendere in piazza contro la salma di un boia nazista sono in larga misura quelli che detestano Israele, che nascondono il loro antisemitismo dietro alla maschera dell'antisionismo, che sostengono che Israele non ha diritto di esistere, e tanto meno ne ha di difendersi quando è aggredito da chi lo vuole distruggere. Molti di coloro che piangono per gli ebrei massacrati 70 anni fa sono gli stessi che vanno a braccetto con chi gli ebrei li vuole massacrare OGGI. Non credo che gli amici ebrei si faranno ingannare da questi sepolcri imbiancati.

UNA PROPOSTA UN PO' PROVOCATORIA, MA SERIA





Il “Sole24 ore”, una fonte abbastanza insospettabile, dice che l'operazione “mare nostrum” ci costerà più di dieci milioni di euro al mese, 120 milioni all'anno quindi, non una bazzecola, per i tempi che corrono.
Quali sono i fini di questa operazione? I clandestini soccorsi saranno subito riaccompagnati ai paesi d'origine? Non lo credo e comunque una simile eventualità non è prevista, mi pare. Il ministro Alfano ha dichiarato che “l
e persone soccorse da navi italiane non saranno necessariamente portate in Italia”. Ora, se la logica e la grammatica hanno ancora un senso, dire che “non necessariamente” le persone soccorse verranno portate in Italia lascia intendere che questo avverrà nella gran maggioranza dei casi, un po' come dire che “Non necessariamente i nazisti odiano gli ebrei”, lascia intendere che “normalmente” li odiano.
Quanto tempo durerà questa operazione? La cosa appare molto misteriosa. Di nuovo, se la logica ha un senso, una simile operazione dovrebbe durare fino a che durano i cosiddetti “viaggi della speranza”, dovrebbe cioè avere durata indeterminata. E' vero che con l'inverno i viaggi diminuiscono di numero, però è anche vero che con la cattiva stagione aumentano i pericoli di naufragio, il che rende ancora più necessario il pattugliamento. Inoltre, sapere che ci sono navi pronte a portarli in Italia spingerà un numero sempre maggiore di aspiranti clandestini a tentare l'avventura. Quindi “mare nostrum” appare a tutti gli effetti una missione di cui non si può prevedere il termine.
Missione costosissima quindi e a tempo indeterminato. Inoltre missione che, malgrado le rassicurazioni, è destinata ad incrementare le partenze. A questo punto mi permetto di fare una proposta, fra il serio ed il provocatorio.

Potremmo istituire una linea Lampedusa nord Africa che abbia il compito specifico di portare i clandestini in Italia. Si prenda una nave traghetto della “Tirrenia” o della “Grimaldi” le si facciano fare diciamo, due, tre viaggi alla settimana. Parte vuota da Lampedusa, o da Palermo, o da un altro porto del sud Italia, raggiunge un determinata località del nord Africa, carica e “migranti” e li porta in Italia. Una simile soluzione sarebbe:
PIU' ECONOMICA. Non sono un esperto ma far fare due, tre viaggi alla settimana ad un traghetto di linea costa certamente meno che pattugliare con tre, o cinque, navi, aerei, elicotteri e droni uno spazio marino molto vasto. Inoltre, come si sa, i “migranti” pagano oggi alcune migliaia di euro agli scafisti, quindi sarebbe possibile chieder loro di pagare un prezzo, molto scontato, per il trasporto, che so, un centinaio di euro a testa. Questo farebbe risparmiare noi e loro. Non solo, arrivati in Italia dopo un viaggio confortevole e con un po' di centinaia di euro in tasca i “migranti” avrebbero meno bisogno di aiuto, il che consentirebbe ulteriori risparmi.
PIU' SICURA . Malgrado i pattugliamenti i naufragi sono sempre possibili, tanto più che gli scafisti cercherebbero di evitare le navi da guerra italiane. Se si inaugura una linea di traghetti per “migranti” i rischi praticamente scompaiono, un viaggio della speranza diventa rischioso quanto un viaggetto turistico in Sardegna.
PIU' COMODA. Viaggiare su una carretta del mare è peggio che farlo su una nave della “Tirrenia” anche se le navi della “Tirrenia” non sono il massimo come comodità. Comunque, la si potrebbe sostituire con una nave della “Grimaldi”, di certo più comoda e confortevole.

La soluzione “traghetto per i migranti” è quindi preferibile, sotto tutti i punti di vista, ad una operazione come “mare nostrum”. Perché allora non la si pone in essere? La risposta è semplicissima: perché una simile, ragionevole, soluzione metterebbe a nudo l'ipocrisia dei “buoni”. Istituire una linea di traghetti per andare a prendere i “migranti” a casa loro vorrebbe dire ammettere che si è fatta propria la politica della accoglienza indiscriminata, delle porte aperte senza limiti, regole o filtri. Mandare una motonave a prendere i clandestini a casa loro vorrebbe dire ammettere che per noi loro non sono più clandestini, che tutti possono entrare in Italia: centomila all'anno magari, ma anche un milione, dieci milioni, noi siamo “buoni”, accogliamo tutti. Accogliamo tutti anche se questo ci impoverisce, e ci impedirà in prospettiva di aiutare qualcuno, anche se questo aumenta l'area della illegalità e della insicurezza, fornisce manovalanza alla delinquenza organizzata ed al terrorismo, smantella i pilastri della nostra cultura.
L'ipocrisia è dura a morire. La politica delle porte aperte la si attua mascherandola da politica umanitaria, non si ha il coraggio di metterla in atto apertamente, senza veli e reticenze. Ecco perché i “migranti” dovranno continuare a viaggiare, e a rischiare , sulle “carrette del mare, non su una comoda motonave.

lunedì 14 ottobre 2013

L'EXTRATERRESTRE





Un essere intelligente proveniente da un'altra galassia guarda il nostro paese. E' una persona molto colta, ma sa poco dei recenti sviluppi della politica italiana. Ci osserva e cerca di capire.
Sente gridare: “LEGALITA'!”, “la legge è uguale per tutti”, “le leggi vanno applicate, le sentenze eseguite”, “dobbiamo rispettare la maestà della legge”, “dura lex sed lex”, “ fiat iustitia et pereat mundus”.
“Ma guarda un po', mormora il nostro essere intelligente, “sono capitato in un paese di rigoristi etici, sono tutti seguaci della “Critica della ragion pratica”, anzi, questi sono più rigoristi di Kant... a loro confronto quel Kant sembra un dissoluto libertino... beh , meglio così”
Poi allunga lo sguardo. Controlla le nostre città e vede tante cose strane. Intere zone delle città sono autentiche terre di nessuno. Lì non vige alcuna legge, tutti fanno quello che a loro pare e piace. Anche fuori da quelle zone comunque c'è gente che guida senza patente né assicurazione, commercianti che non hanno uno straccio di licenza, persone che non pagano un centesimo di tasse ma godono dei servizi sociali, uomini sposati con quattro mogli, ragazze obbligate a vestirsi in un certo modo. “Tutto questo è contrario alla legge”, pensa il nostro amico, “strano, molto strano, voglio approfondire la cosa”.
Approfondisce e scopre che la maggioranza di chi vive al di fuori di ogni regola viene da fuori, entra in Italia violando clamorosamente la legge, eppure viene accolta a braccia aperte da tante persone molto buone, le stesse che fino ad un minuto prima gridavano “FIAT IUSTITIA ET PEREAT MUNDUS”. E vede che questi buoni vogliono che tutti vengano accolti. “Molto strano”, pensa il nostro amico “è chiaro che tutti questi arrivi sono all'origine di tanta illegalità... come mai questi rigoristi non se ne accorgono? Amano tanto la legge... strano, molto strano, forse non sono rigoristi, solo ipocriti”.
Poi vede altre cose. In un luogo chiamato “parlamento” si dibatte su una legge. Si chiama Bossi Fini, che strano nome per una legge! C'è chi vuole abolirla perché è accaduta in mare una orribile disgrazia. L'essere di un'altra galassia legge il testo, e scopre che non ha niente a che vedere col soccorso in mare. E' molto perplesso. “Cosa c'entra una simile legge con quanto è successo?” Approfondisce la cosa. E scopre che questa legge tanto contestata non è stata MAI applicata. “Se nessuno la ha mai applicata non le si può addebitare nulla”, pensa, “e poi, come mai in un paese in cui tutti urlano LEGALITA' una legge non viene mai applicata?”
Il nostro amico extragalattico ci pensa un po' su, poi, d'un tratto urla: “Ho capito! Questi non sono rigoristi, sono ipocriti, ma, soprattutto, sono matti, MATTI DA LEGARE!”
Smette di osservarci. Sale sulla sua astronave e scappa via: “Alla larga da un simile paese!” dice mentre accende i motori.

domenica 6 ottobre 2013

LA VERGOGNA, I COLPEVOLI E GLI INNOCENTI




La vergogna è un sentimento morale, quindi squisitamente umano. Gli animali provano paura, non vergogna. Può vergognarsi di qualcosa chi ha il senso del bene e del male, chi ha principi e sentimenti morali. Ci si vergogna di qualcosa perché si sa che quel qualcosa è mal fatto. Se dico a Tizio: “devi vergognarti”, faccio appello al suo senso morale, alla sua coscienza intima: “hai commesso quella tal cosa e sai, nel tuo intimo, che è qualcosa di profondamente cattivo, sbagliato, vergognati!”. Non prova vergogna l'uomo che è privo di principi e sentimenti morali, il delinquente abituale, né provano vergogna i fanatici, coloro che sono convinti di poter fare tutto pur di attuare il loro sublime ideale. I nazisti non si vergognavano di massacrare gli ebrei, al contrario, ritenevano il loro atto altamente meritorio. E non si vergognavano dei loro crimini i comunisti: per loro non era un male massacrare i contadini ucraini o inscenare processi farsa contro i “nemici del popolo”, al contrario. E non si vergognano gli integralisti islamici quando massacrano innocenti in nome di Dio: è Dio che vuole certi massacri: ci si può vergognare per aver attuato la sua volontà?

La vergogna non è solo un sentimento morale, è anche un sentimento strettamente individuale, connesso alla
responsabilità personale di ognuno. Io posso provare vergogna per qualcosa che io ho fatto di cui io, io personalmente, sono responsabile. Se guarda con onestà dentro a se stesso ognuno di noi trova qualcosa di cui vergognarsi. Una risposta arrogante, un gesto di prepotenza contro chi è più debole, un aiuto, un aiuto individuale, a quella persona lì, che si poteva dare e non si è dato, un atto vile... la vergogna è sempre legata alla privata biografia degli esseri umani, al rapporto di ognuno con la propria coscienza, le proprie azioni, lo scorrere della propria vita.
Non ha invece senso alcuno gridare “vergogna” riferendosi ai mali generali del mondo. Io non posso vergognarmi del fatto che nel mondo ci sono fame e sofferenze, miserie e morte, e lacrime e sangue. Non posso “vergognarmi” di queste cose perché sono, tutte, al di fuori della mia personale responsabilità. Intendiamoci, posso provare umana pietà per chi subisce gli orrori del mondo, ma non mi vergogno del fatto che gli orrori ci siano. E se sono riuscito, faticosamente e senza prevaricare nessuno, ad essermi costruito una vita decente non mi vergogno del fatto che tanti nel mondo, per i più svariati motivi di cui non mi interessa ora discutere, non ci siano riusciti. Posso aderire a movimenti politici che cercano in qualche modo di risolvere i grandi problemi che ci stanno intorno ma non vergognarmi che questi problemi esistano. Un americano che nel 1943 viveva decentemente, lontano dalla guerra, poteva augurarsi che questa finisse con la sconfitta del nazismo, ma non vergognarsi della sua relativa tranquillità mentre in Europa nazismo e guerra mietevano vittime a milioni.

Gli esponenti dei movimenti politici radicali hanno invece, sempre, sostenuto una tesi diversa. Non esistono innocenti, tutti dovremmo vergognarci di tutto il male del mondo. Hai un reddito decente? Vivi discretamente lontano da guerre sofferenze e fame? Sei
colpevole di fame, sofferenze e guerre, devi vergognarti della tua vita, se non lo fai sei complice degli sfruttatori e meriti di essere trattato come tale. C'è una tragica consequenzialità in questo modo di ragionare. Le sofferenze degli esseri umani sono sempre la risultante dell'altrui “sfruttamento”, quindi chi vive in maniera decente partecipa al saccheggio, è pure lui, indirettamente, colpevole, quindi deve vergognarsi, quindi, se non lo fa merita la più severa delle punizioni. Qualcuno potrebbe obiettare: e, le malattie, i terremoti, le catastrofi naturali, pure questo è responsabilità di qualcuno? E la miseria di coloro che vivono in paesi che non interessano a nessuno e in cui nessuno investe un centesimo, anche quella è legata allo “sfruttamento”? E, noi stessi, non eravamo anche noi molto poveri, fino a ieri, e rischiamo di tornare ad esserlo assai presto? Eravamo allora anche noi “sfruttati”? Ma, è stata la “lotta allo sfruttamento” a liberarci dalla miseria o non sono stati il lavoro, gli investimenti, la ricerca a sollevarci? Ed infine, la domanda più importante di tutte: la morte, la morte che aspetta ognuno di noi e con la morte il dolore di chi ci ha voluto bene, anche di quella ci sono “responsabili? Anche di quella qualcuno deve “vergognarsi”?
Il fanatico non risponde a queste domande, non riesce neppure a concepirle. Lui vuole che in terra si attui il bene assoluto, quindi non può ammettere che la dimensione del male e del dolore siano parte del mondo, qualcosa di ineluttabilmente legato alla nostra natura di uomini. Il male per lui è qualcosa di accidentale, il risultato dell'aziona malvagia di uomini malvagi. Qualcosa di cui qualcuno è colpevole, e di cui qualcuno deve sempre provar vergogna.

“Non esistono innocenti”. In nome di questo slogan fanatico sono stati commessi i crimini più abominevoli. Non esistevano ebrei innocenti per i nazisti, essere ebreo equivaleva ad essere colpevole. I comunisti irridevano il concetto stesso di innocenza. Lo irridevano perché non accettavano, e non accettano, il concetto di responsabilità personale. “Quando arrestate qualcuno” esortava Derzinskij, il primo capo della ceka, “non dovete chiedergli cosa ha fatto, dovete solo chiedergli a quale classe sociale appartiene”. I fondamentalisti islamici non sono minimamente turbati dal pensiero di uccidere degli innocenti: gli infedeli non sono innocenti, e se fra le vittime degli attentati ci sono dei fedeli, poco male: se sono veri fedeli li aspetta il paradiso.
Se rifiutiamo l'idea fanatica secondo cui “non esistono innocenti” dobbiamo rifiutare anche l'idea secondo cui tutti dovremmo “vergognarci”, di tutto.
NO, io non mi vergogno di tutto, non mi vergogno perché molti sciagurati sono morti in mare, vittime dei trafficanti di esseri umani (loro si, devono vergognarsi se hanno una coscienza), non mi vergogno perché ci sono guerre e morti, perché esiste il male, né mi vergogno del fatto che il male non mi colpisce, per ora, o non mi colpisce con la stessa virulenza con cui colpisce altri esseri umani. E questo non vergognarmi non mi impedisce di provare umana pietà e simpatia, di sentirmi vicino a chi soffre e di sperare che si possano risolvere almeno alcuni dei gravi problemi che ci affliggono.
Ecco perché
NON mi è piaciuto quel grido “VERGOGNA” che il papa ha lanciato in occasione della morte in mare degli emigranti.
Quella parola “
vergogna” è troppo spesso usata dai fanatici ed anche dagli stupidi di ogni tipo; usata in tutte le occasioni, condita in tutte le salse. Naufragi di emigranti o incidenti sul lavoro, casi di corruzione o calci di rigore negati, sperimentazione su animali o aumento dei prezzi, c'è sempre qualcuno che grida: “vergogna”!
Sarebbe il caso di cominciare ad usarla, la parola “vergogna” con molta, molta parsimonia.

sabato 5 ottobre 2013

LA SITUAZIONE E' ECCELLENTE

La giunta per le autorizzazioni ha votato la decadenza di Berlusconi da senatore, di certo questa decisione sarà confermata in aula.
Per Bersusconi hanno votato, e voterebbero oggi, milioni di persone. Questo però non conta nulla, tanto più che, come ci hanno detto grandi intellettuali del calibro di Benigni, Camilleri e Flores D'arcais, chi vota Pdl è un mafioso, un evasore fiscale, ed anche un razzista omofobo. Ringrazi di non finire a sua volta sotto processo, e taccia!
Berlusconi è stato dichiarato decaduto in base ad una legge sciagurata e forcaiola, che il Pdl ha fatto malissimo a votare, una legge applicata, tra l'altro, in maniera retroattiva; lo è stato dopo un processo che in paesi in cui il diritto è una cosa seria non sarebbe mai neppure iniziato, e dopo VENTI ANNI di continue inchieste e processi a suo carico.
Da tempo l'Italia non è un paese normale, da ieri è un paese ancora meno normale. Ormai è ufficiale: qui da noi il voto dei cittadini vale solo se chi viene votato ha il placet della commissione europea e della magistratura, oltre all'OK del sindacato, delle lobby omosessuali, dei NO TAV e della Caritas.
La situazione è eccellente.

giovedì 3 ottobre 2013

VERGOGNA?



Non è possibile non provare un forte, sincero sentimento di umana pietà per gli sventurati morti mentre cercavano di raggiungere le nostre coste.
Ma mi riesce difficile non provare irritazione di fronte allo spettacolo dello scatenarsi dell'umana ipocrisia.
Vergogna, si è detto, ma chi deve vergognarsi e perché?
Dobbiamo vergognarci NOI che abbiamo sempre aiutato chi cercava, illegalmente, di entrare nel nostro paese? Dobbiamo vergognarci per il fatto di essere faticosamente riusciti a costruirci un po' di benessere, oggi molto a rischio? Dobbiamo vergognarci per essere diventati il punto di riferimento di tanti disperati?
O dobbiamo vergognarci perché non andiamo a prendere i clandestini direttamente a casa loro e non provvediamo noi al viaggio? O deve vergognarsi chi di noi pensa che NON si possa accogliere tutti, chi fa notare che se tutti gli sventurati del mondo venissero da noi l'unico risultato sarebbe che tutti, noi e loro, saremmo sventurati?
L'immigrazione clandestina è da sempre, ovunque, legata a tragedie come quella di oggi. I morti di oggi sono l'altra faccia del degrado di tante nostre città, del crescere della criminalità e della insicurezza, ovunque.
Non basta fare discorsi buoni e leggermente ipocriti, occorre mettere in atto politiche efficaci e realistiche. E la politica delle porte aperte non è efficace; né realistica, non è neppure buona. E solo ipocrita ed ideologica.

mercoledì 2 ottobre 2013

CHE BRUTTA GIORNATA

Chi dice che "bisogna tener separate le vicende giudiziarie e l'azione di governo" dice una stronzata colossale. Sono VENTI E PIU' anni che giustizia e politica sono in Italia strettamente legate fra loro. Tangentopoli è stata una "personale vicenda giudiziaria di Craxi e di pochi altri"? La distruzione del più vecchio partito italiano e del partito che, bene o male, ha governato l'Italia per quasi mezzo secolo è stata una vicenda giudiziaria da non confondere con la politica? E' una "personale vecenda giudiziaria" l'"attenzione" che da quasi 20 anni la magistratura dimostra per Berlusconi, e che ha portato il leader del centro destra a sostenere oltre 35 PROCESSI? Non ha nulla a che vedere con la politica il fatto che la stragrande maggioranza delle inchieste abbiano riguardato partiti dell'area del centro destra e che le poche inchieste a carico di uomini della sinistra si siano svolte, e si svolgano, in maniera super garantista, senza grancasse mediatiche? Certo, IN QUESTO MODO dovrebbero svolgersi TUTTE le inchieste, ma in Italia la discrezione c'è solo, casualmente, sui MILIARDI del MONTEPASCHI.

Letta ce l'ha fatta e il cavaliere ha subito la sua prima sconfitta POLITICA. Ormai manca, direi, della lucidità necessaria per continuare a lottare, meglio farebbe, a 77 anni, a passare la mano.
Si può dire che chiunque, nelle sue condizioni, mancherebbe di lucidità. E vero, ma qui non si tratta di assolvere o condannare qualcuno, solo di valutare quali possibilità di successo abbia la sua ulteriore permanenza in politica. Mi sembra che oggi siano vicine allo zero, purtroppo.

Il cavaliere è stato sconfitto perché tradito da una parte dei suoi, si potrebbe dire. Ammettiamolo pure. Resta il fatto che un buon leader deve sapere di che pasta è fatto il suo partito, esattamente come un buon generale deve sapere di che pasta sono fatti i suoi ufficiali, prima di ingaggiar battaglia. La pasta di cui è fatto il pdl non è di prima qualità, occorre ammetterlo una volta per tutte.

Gli scissionisti, o semi scissionisti, del Pdl hanno fatto, più o meno, il seguente ragionamento: "Il nostro leader è stato oggetto di una aggressione giudiziaria ingiusta, però la crisi è sempre più grave, la priorità è fronteggiarla. Fra la difesa di un leader ingiustamente condannato e la salvezza dell'economia noi scegliamo, a malincuore, la seconda opzione". Si tratta di una posizione ragionevole. Solo, parte da una premessa sbagliata. E la premessa sbagliata è che il governo Letta possa davvero far fronte in maniera adeguata alla crisi economica. Questo non è avvenuto e non avverrà. Letta si muove entro i limiti invalicabili che gli sono stati imposti dall'"Europa" a guida tedesca, non può ridurre seriamente la spesa pubblica senza scatenare la reazione del sindacato e delle componenti più "sinistre" del suo partito. Può solo aumentare la pressione fiscale. La crisi continuerà ad aggraversi, Letta o non Letta, sia o non sia Berlusconi senatore, sia o non sia Berlusconi libero o in galera. Purtroppo.