mercoledì 25 dicembre 2013

I FANATICI E GLI OCCIDENTALI IMBECILLI




La catena inglese Marks & Spencer ha deciso di consentire ai commessi di fede islamica di rifiutarsi di maneggiare alcolici e carne di maiale. Così un cliente, dopo aver fatto la sua brava fila, potrebbe trovarsi di fronte ad un cassiere mussulmano che si rifiuta di “contaminarsi“ toccando una busta di prosciutto o una bottiglia di vino. Sarebbe costretto a rifare la coda presso un'altra cassa, sperando di non incappare in un nuovo commesso mussulmano. Domani i commessi in negozi di abbigliamento potrebbero rifiutarsi di toccare un indumento “peccaminoso” come una minigonna, e quelli che lavorano in una libreria potrebbero non voler toccare libri “blasfemi”. Certo, non consumare alcolici e carne di maiale è un diritto, come lo è consumarli, ed è un diritto anche rifiutarsi di toccarli. Però, se si lavora in un supermercato ci si deve rassegnare a rinunciare a tale diritto, se no si deve concedere al proprietario del super mercato il diritto (sacrosanto) di rifiutarsi di assumere chi rifiuti di toccare certe merci. Io ho diritto di non voler vedere una donna seminuda, ma se lavoro in un night club devo rinunciare ad un simile diritto, elementare no?
Si tratta di considerazioni di semplice buon senso, ovvie, banali. Però gli occidentali politicamente corretti non ci arrivano. Per loro ogni “diritto” reclamato dai mussulmani diventa subito qualcosa di sacro, una rivendicazione di libertà da accogliere senza fiatare, e chi non la accoglie è ovviamente, “razzista” e “xenofobo”.
Gli occidentali malati di politicamente corretto pretendono a volte di essere liberali, mascherano i loro belanti cedimenti al fondamentalismo con chiacchiere sui “diritti a professare la propria fede”, e non si accorgono che i diritti di un cittadino vengono meno quando ledono quelli di un altro. Io posso ben dire che vedere Tizio, addirittura sapere che egli vive, mi offende, costituisce per me un intollerabile insulto, cosa mi si può rispondere? Solo che devo rassegnarmi a subire simili “insulti” perché Tizio ha diritto di vivere, di uscire di casa, ed anche di entrare nel mio campo visivo, e che la tutela di questo suo diritto primario vale più di quella della mia suscettibilità, punto e basta.

Questi fatterelli, questo continuo stillicidio di pretese assurde e di cedimenti vigliacchi mettono molto bene in risalto una cosa: ad essere in gioco nel rapporto con l'Islam non è questa o quella politica, è il nostro modo di essere, meglio, il nostro essere, la nostra identità. Il fondamentalismo ci odia non per ciò ciò che facciamo, ma per ciò che siamo. Hanno cominciato col pretendere che nelle mense aziendali e scolastiche non si servissero certi cibi (e se a noi questi cibi piacciono? Siamo noi che dobbiamo adeguarci alle abitudini alimentari di chi ospitiamo?); poi hanno preteso che immagini e simboli religiosi scomparissero da scuole e uffici pubblici; ora pretendono di non dover maneggiare certe merci “peccaminose” (però se non li assumi per la loro fede strillano: “razzisti”!); fra un po strilleranno che si sentono “offesi” per il solo fatto che noi, testardamente, rifiutiamo di convertirci alla loro vera fede, e di certo ci saranno molti imbecilli politicamente corretti che beleranno: “beh, hanno ragione, il fatto che noi non adoriamo il loro Dio li offende..."
Non mi stancherò mai di ripeterlo.
Il vero pericolo non sono i fanatici fondamentalisti, sono gli occidentali imbecilli e pervasi di angelica, ideologica e malvagia bontà.

giovedì 19 dicembre 2013

ANGELO IZZO




Si parla molto del caso del serial killer “evaso” dal carcere di Genova mentre era in “permesso” (non si tratta di evasione in realtà). Non è mica il primo caso di criminali omicidi che i nostri magistrati mettono in libertà. Qualcuno si ricorda di ANGELO IZZO? Ho fatto un po' di “copia incolla" per ricordarne le gesta.
Dunque, Angelo Izzo, al tempo vicino ai circoli della destra estrema e bombarola, decide un bel giorno di passare una serata divertente, si incontra con due suoi amici, Gianni Guido ed Andrea Ghira e....

“il 29 settembre 1975 Izzo Guido e Ghira si recarono a Lavinio con due ragazze: Donatella Colasanti e Rosaria Lopez per partecipare ad una festa. Una volta a destinazione, le due ragazze furono violentate, drogate, seviziate e massacrate per più di un giorno. La Lopez fu infine portata nel bagno del primo piano della villa, dove fu picchiata e annegata nella vasca da bagno, mentre la Colasanti fu quasi strangolata con una cintura e picchiata selvaggiamente.
“Le due ragazze (entrambe credute morte dai tre aggressori) furono poi nascoste nel bagagliaio dell'auto. I tre parcheggiarono in via Pola e si recarono a cenare. I lamenti della Colasanti, sopravvissuta alle violenze, attirarono l'attenzione di un metronotte, che diede l'allarme. Izzo, Guido e Ghira furono arrestati entro poche ore.”
(...)
“Il 29 luglio 1976, tutti e tre furono condannato in primo grado all'ergastolo. La condanna fu confermata anche nei successivi gradi di giudizio per Izzo, mentre a Guido e Ghira furono riconosciute le attenuanti generiche in appello, riducendo così la pena a 30 anni di carcere."
(...)
“Durante il suo periodo di detenzione, Izzo manifestò più volte interesse a collaborare con la magistratura, fornendo proprie versioni sulle stragi di piazza Fontana, di Bologna e di piazza della Loggia, sugli omicidi di Mino Pecorelli, Fausto e Iaio e Piersanti Mattarella, sulla morte di Giorgiana Masi e su molti altri episodi di terrorismo e di mafia. Tutte le sue deposizioni si rivelarono però infondate: si scoprì che fu lui a imbeccare un altro falso pentito riguardo l'omicidio Mattarella, addossando la colpa al deputato DC Salvo Lima; successivamente accusò Valerio Fioravanti e Gilberto Cavallini sempre dell'omicidio Mattarella e Andrea Ghira di aver sparato alla Masi, sempre infondatamente; infine si autoaccusò dell'omicidio di Amilcare Di Benedetto, ucciso quattro mesi prima del massacro del Circeo, il cui corpo però non è mai stato ritrovato."
(...)
"Izzo provò anche varie volte ad evadere. Nel gennaio 1977, tentò di evadere dal carcere di Latina assieme a Guido, prendendo in ostaggio il maresciallo delle guardie carcerarie, ma il tentativo non riuscì. Nel gennaio 1986, gli venne attribuito un tentativo di evasione dal supercarcere di Paliano. Il 25 agosto 1993, approfittando di un permesso premio, si allontanò dal carcere di Alessandria e riuscì ad espatriare in Francia. Venne poi catturato a Parigi a metà settembre ed estradato in Italia
(...)
“Nel dicembre 2004, ottenne la semilibertà dal carcere di Campobasso, su disposizione dei giudici di Palermo, per andare a lavorare in una cooperativa. Il 28 aprile 2005, Izzo uccise Maria Carmela e Valentina Maiorano”
(...)
“Izzo fu condannato nuovamente all'ergastolo, con sentenza confermata nei due successivi gradi di giudizio”.

Interessante vero? Uno stupratore manico ed omicida viene condannato all'ergastolo per omicidio, violenza, occultamento di cadavere. Tenta di diventare collaboratore di giustizia rivelando sconvolgenti “verità" su omicidi a sfondo politico; all'epoca un certo Silvio non era ancora diventato il nuovo Al Capone, se no molto probabilmente Izzo ne avrebbe avuto anche per lui. Gode di generosi permessi che usa per evadere (ma guarda un po' le similitudini!), infine, malgrado la enorme gravità dei crimini commessi esce dal carcere, e massacra ed uccide altre due donne.
Avviene così in Italia. Iizzo si è fatto 28 anni di carcere per violenza, omicidio, occultamento di cadavere due evasioni, una tentata evasione, sequestro di un maresciallo delle guardie carcerarie. Un certo signore che ha una qualche rilevanza politica in Italia, ha finora collezionate condanne per 12 ANNI di carcere per un rapporto sessuale mai provato con una diciassettenne, una telefonata interpretata come “concussione”, una presunta (e mai provata) evasione fiscale da 7 milioni di euro (molto meno di quella di cui è accusato Maradona) e la pubblicazione del testo di UNA intercettazione su un giornale di proprietà del fratello (il direttore di “repubblica” dovrebbe finire all'ergastolo).
Intanto, mentre un serial killer gira libero, ingenti forze e notevoli fondi vengono spesi per una inchiesta di enorme rilevanza sociale: IL CALCIO SCOMMESSE.
In Italia la "giustizia" ha poco, molto poco a che vedere con la GIUSTIZIA.

venerdì 13 dicembre 2013

JANG SONG THAEK



E' stato giustiziato Jang Song Thaek, numero due del regime e zio Kim Jong Un, il leader supremo della Corea del Nord. Nelle dittature totalitarie e tiranniche capita spesso agli alti papaveri del regime di finire i propri giorni di fronte al plotone d'esecuzione.
Non piango per Jang Song Thaek, ovviamente. Sono invece sconvolgenti i dati sella pena di morte in Corea del nord. Incollo un brano di Wikipedia sull'argomento:

" La pena di morte in Corea del Nord è prevista per taluni reati.
Ufficialmente, le fattispecie di reato passibili di pena di morte sono 5: Complotti contro la sovranità dello Stato, terrorismo, alto tradimento contro la patria da parte di cittadini, alto tradimento nei confronti della popolazione; omicidio.
La realtà è tuttavia molto diversa, perché la pena di morte è praticata sistematicamente e su vasta scala in moltissimi casi, anche banali. Non si conosce il numero esatto di esecuzioni annuali, perché è segreto di stato; peraltro esse non sono mai riportate dai mezzi di comunicazione locali, strettamente controllati dal governo. Ricorrentissime sono le esecuzioni pubbliche. Uno dei casi più frequenti è la punizione per tentata fuga all'estero(nella quasi totalità dei casi, Cina o Corea del Sud). Ad esempio, si ha notizia di 15 persone giustiziate per aver tentato di raggiungere la Cina.
Numerose sono le esecuzioni pubbliche che avvengono nel sistema concentrazionario nordcoreano, che si articola, oltre alle normali carceri, in campi per i prigionieri politici, che pare siano sette, e campi di rieducazione, tra i 15 e i 20. Si stima che i detenuti politici attualmente siano compresi tra i 150000 e i 200000. Prigionieri e guardie scappati da questi luoghi li descrivono come veri e propri campi di concentramento, con alte percentuali di detenuti morti ogni anno.
A Yodok, per esempio, sono frequenti le esecuzioni sommarie dinanzi agli altri detenuti. Chi non sopporta la vista dell'esecuzione(spesso tramite fucilazione) e protesta viene ucciso. Chi tenta di fuggire o viola le regole del campo(per esempio per aver rubato cibo) è sempre punito con la morte. Inoltre, spesso i detenuti sono costretti, appositamente, a lavori impossibili, in modo tale da poterli punire e diminuire la loro razione di cibo, condannandoli alla morte per fame. Chi viene rilasciato, è condannato a morte se rivela i segreti del campo. Come testimoniato da altri prigionieri e guardie, simili situazioni si ripropongono anche negli altri campi per prigionieri politici. Sui campi di rieducazione, invece, le informazioni sono meno precise.
È evidente, in ogni caso, come le esecuzioni siano decine, o peggio centinaia all'anno, a causa della loro sistematica frequenza e soprattutto dei futili motivi per cui sono comminate. Nel campo di Kaechon una bambina di 6 anni è stata uccisa per aver rubato 5 chicchi di grano. Ciò prova, insieme a numerosi altri casi resi noti dai pochi testimoni, che siano normali anche le esecuzioni di minori.
Più recentemente, la pena di morte o la condanna ai lavori forzati sono state minacciate a chi utilizzi il cellulare, specie in pubblico, nel periodo di lutto successivo alla morte del dittatore Kim Jong-il, avvenuta il 17 dicembre 2011. Tale periodo dura 100 giorni a decorrere dal 17 dicembre, ed in questo lasso di tempo l'uso del cellulare è considerato crimine di guerra. L'intento è quello di evitare il diffondersi all'estero di notizie destabilizzanti, in un momento delicato per il regime. "

Allucinante, non si può dire altro. Eppure di questo paese lager, di questa mostruosità degna di Orwell, nessuno parla. Un politico italiano che a suo tempo appoggiò il governo Prodi: il comunista Marco Rizzo, ha più di una volta espresso “solidarietà” al regime comunista nord coreano.
E gli organismo internazionali, le associazioni non governative che “difendono i diritti umani” con chi se la prendono in continuazione? Con la Corea del Nord? No, ovviamente, per loro il grande violatore dei diritti umani è... lo stato di ISRAELE.
E nessuno grida “VERGOGNA” riferendosi ai nord coreani che soffrono la fame quasi quanto gli africani, ed in più se la devono vedere con i plotoni di esecuzione. La sensibilità degli occidentali “buoni” è molto... variabile. La loro stupidità invece no. Non varia mai, cresce sempre.

giovedì 5 dicembre 2013

MAGGIORITARIO, PROPORZIONALE

A volte le parole hanno un senso.
Una legge elettorale maggioritaria mira ad una cosa, molto precisa: dalle elezioni deve emergere UNA MAGGIORANZA. In ogni collegio chi vince “prende tutto”. Poi si fa la somma dei vincitori e si stabilisce chi ha la maggioranza. Se per caso i due partiti (col maggioritario è quasi impossibile che a concorrere con possibilità di successo siano più di due) sono alla pari, o si fa una “grande coalizione”, o si torna a votare, senza giochini vari, senza governi tecnici o del presidente, o balneari o di scopo. Punto e basta.
Una legge elettorale proporzionale invece mira ad ad assicurare ad ogni forza politica una RAPPRESENTANZA PARLAMENTARE proporzionale ai voti ottenuti. Dalle elezioni non emerge una maggioranza, essa si forma successivamente alle elezioni, in seguito alle trattative fra i partiti condotte sotto la regia del capo dello stato. I partiti ovviamente prospettano agli elettori i loro programmi e le loro alleanze, ma questo non è in nessun modo vincolante per il dopo elezioni.
La nostra costituzione è interamente e coerentemente disegnata sul proporzionale. Le funzioni attribuite al capo dello stato, ad esempio, le procedure per affrontare le crisi di governo, le consultazioni con le varie forze politiche, i mandati, più o meno “esplorativi” sono in perfetta sintonia con la filosofia del proporzionale.
Non mi interessa qui cercare di stabilire quale tipo di filosofia politica sia la migliore, ma solo di sottolinearne la radicale diversità. In un paese in cui vige il proporzionale non ha senso fare le primarie, decidere chi è il candidato premier e cose simili. Allo stesso modo in un paese in cui vige il maggioritario sono insensate le “consultazioni” del capo dello stato i “mandati esplorativi”, i "governi del presidente" et similia.
In Italia invece siamo riusciti a tirare aventi per 20 anni in un a situazione del tutto paradossale. La struttura istituzionale è restata legata al proporzionale anche in presenza di leggi elettorali maggioritarie. Soprattutto abbiamo avuto, ed abbiamo, un capo dello stato che dispone di amplissimi poteri ”arbitrali” del tutto incompatibili con la filosofia del maggioritario. Un uomo formalmente “al di sopra delle parti” ma in grado di giocare un ruolo politico di primo piano, senza disporre di alcun mandato popolare. Val la pena di sottolineare che il potere quasi assoluto che ha il capo dello stato in materia di convocazione delle elezioni è del tutto in contrasto con la filosofia del maggioritario. Dove vige il maggioritario se una maggioranza va in crisi si torna al voto, senza tante storie.

Ieri la consulta ha dichiarato incostituzionale il “porcellum”. Se vogliamo essere seri dobbiamo dire che ogni legge elettorale maggioritaria è, nella sostanza, profondamente incostituzionale. Quando, una ventina di anni fa, si è scelto il maggioritario si sarebbe dovuto subito provvedere a riformare, ed in profondità, la costituzione. Non lo si è fatto ma si è continuato a sparar palle sulla “costituzione più bella del mondo”. Ora se ne pagano le conseguenze.
Molti urlano a gran voce che dopo la sentenza della consulta il parlamento è fuorilegge e che parimenti fuorilegge sono tutte le delibere e le leggi emanate dal governo Letta. Si tratta, giuridicamente parlando, di una forzatura. Sono sette anni che il “porcellum” è in vigore. Se davvero la sua dichiarata incostituzionalità rendesse nulle tutte le leggi emanate dai parlamenti eletti col porcellum ci troveremmo di fronte ad un vuoto legislativo pauroso. In realtà nessuna legge è retroattiva, tranne, pare, la “Severino”, specie se applicata a Silvio Berlusconi. Le sentenze della consulta portano al decadimento di una legge, non di tutto ciò che in precedenza quella legge ha reso possibile.  
Resta però il fatto che non si vede come sia possibile continuare a governare forti di una maggioranza frutto di una norma dichiarata incostituzionale. Soprattutto, non si vede come possa far finta di niente il PD che ha sempre fatto della consulta e delle sue decisioni una sorta di tabù intoccabile, qualcosa che non si può criticare, mai, in nessun caso. La maggioranza bulgara di cui in PD dispone alla camera è un regalo del “porcellum”, un regalo incostituzionale. Renzi può mostrare i muscoli finché vuole ricordando a tutti che il PD dispone di 300 deputati: sono deputati taroccati, lo ha detto la consulta al cui cospetto ogni membro del PD è da oltre venti anni abituato a genuflettersi. Di fatto le elezioni sono più vicine, e la cosa non è negativa, a mio parere.

Un'ultima considerazione. Ancora una volta la magistratura ha assunto un ruolo politico di primo piano. Non so quali siano i fini politici dei giudici costituzionali, personalmente non credo che agiscano mossi solo da asettiche finalità giuridiche. Forse pensano che una nuova legge elettorale sia la priorità assoluta, forse intendono spingere nel senso di un ripristino del proporzionale, timorosi che, andando avanti col maggioritario, a qualcuno venga in mente di riformare seriamente una costituzione che fa acqua da tutte le parti, magari di ridiscutere lo stesso ruolo della consulta. Sta di fatto che le scelte politiche vere si fanno ormai, tutte, fuori dal parlamento. E' un segno dei tempi.

domenica 1 dicembre 2013

MAXIMILIEN ROBESPIERRE E I SUOI TARDI EPIGONI



Ritengo sia più che mai attuale esaminare il discorso che Maximilien Robespierre pronunciò alla Convenzione il 3 dicembre 1792.Oggetto del discorso: la sorte di Luigi  sedicesimo, o Luigi Capeto.

Luigi non è imputato” afferma l'incorruttibile, “e voi non siete dei giudici; voi siete e non potete essere altro che uomini di Stato e rappresentanti della nazione. Non dovete emettere una sentenza a favore o contro un uomo: dovete prendere una misura di salute pubblica, dovete compiere un atto di provvidenza nazionale

Il processo a Luigi Capeto non mira a stabilire la colpevolezza o la innocenza di un uomo. Non mira a stabilirla in relazione a nessuna legge, neppure alle leggi che la Francia rivoluzionaria si è data. Non si tratta di stabilire se Luigi sia colpevole di aver violato le leggi della Francia repubblicana, se abbia commesso qualcosa che i legislatori repubblicani hanno definito “crimine”. No, Luigi Capeto va eliminato perché la sua stessa esistenza è un pericolo per la nazione. Quello che si sta celebrando davanti alla convenzione non è un processo, è un atto di salute pubblica.
Prosegue Robespierre:

Luigi non può dunque essere giudicato: è già giudicato. O egli è già condannato, oppure la repubblica non è assoluta. Proporre di fare il processo a Luigi XVI in questa o quella maniera, vuol dire retrocedere verso il dispotismo monarchico e costituzionale; è un'idea controrivoluzionaria, poiché mette in discussione la rivoluzione stessa. In effetti se Luigi può essere ancora oggetto di un processo, Luigi può essere assolto; può essere innocente. Cosa dico? È supposto innocente fino a che non sia stato giudicato. Ma se Luigi viene assolto, se Luigi può essere supposto innocente, che ne è della rivoluzione? Se Luigi è innocente, tutti i difensori della libertà diventano dei calunniatori.

Se Luigi Capeto viene processato, può essere ritenuto innocente, anzi, deve essere ritenuto innocente sino al momento della eventuale condanna, così argomenta Robespierre, che, va notato, prende talmente sul serio la presunzione di innocenza da considerarla un pericolo per la rivoluzione. Ma se Luigi Capeto è innocente è la rivoluzione ad essere colpevole. Processandolo la rivoluzione processa se stessa e questo è assolutamente inammissibile; quindi Luigi Capeto non deve essere condannato, non deve esserlo perché non deve neppure essere processato, deve solo morire.
La logica di Robespierre è tagliente come la lama della ghigliottina che usò in maniera tanto massiccia. Però, la logica garantisce solo la coerenza, non la verità, meno che mai la moralità. “Tutti gli uomini sono immortali, Socrate è un uomo, quindi Socrate è immortale” è un sillogismo perfettamente coerente dal punto di vista logico, ma è anche falso. La logica di Robespierre è stringente, ma parte da una premessa assolutamente inaccettabile che inficia, radicalmente, tutto il suo discorso. Quale è questa premessa? Semplice: per Robespierre la rivoluzione è un assoluto, qualcosa che viene prima di tutto e non deve giustificarsi di fronte a nulla, neppure di fronte ai principi ed ai valori che essa stessa sostiene. Non è vero che la rivoluzione è buona perché sostiene ed applica certi valori che gli esseri umani considerano buoni: libertà, uguaglianza, fraternità, ad esempio. No, sono questi valori ad essere buoni perché la rivoluzione è buona.
La logica di Robespierre,  spietata, tagliente, è la tipica logica del fanatico, assolutamente convinto che tutto, ma proprio tutto, possa essere sacrificato alla realizzazione dell'assoluto in cui crede. La rivoluzione non è per lui un mezzo per realizzare certi fini, certi valori; è un fine, meglio, il fine supremo di fronte a cui tutti gli altri fini decadono al rango di semplici mezzi. Le stesse leggi emanate in nome della rivoluzione, la stessa costituzione rivoluzionaria, non contano nulla di fronte alle esigenze della “Rivoluzione”.

Io ho chiesto l'abolizione della pena di morte all'assemblea che chiamate ancora costituente” continua Robespierre, ”Ma quando si tratta di un re detronizzato nel cuore di una rivoluzione tutt'altro che consolidata dalle leggi, (...) questa crudele eccezione alle leggi ordinarie che la giustizia ammette può essere imputata soltanto alla natura dei suoi delitti. Io pronuncio con rincrescimento questa fatale verità.

La pena di morte contraddice ai principi di cui la rivoluzione si è fatta sostenitrice, ma può essere applicata se si tratta di difendere la rivoluzione dai suoi nemici. E come può essere applicata? Stabilendo di volta in volta se Tizio, Caio o Sempronio sono colpevoli di qualcosa? Stabilendo almeno se sono “davvero” nemici della rivoluzione? No, perché cosi facendo la rivoluzione rischierebbe di mettere in gioco se stessa. Può essere applicata come strumento di salute pubblica. Sarà la forza, meglio, la pura e semplice violenza a stabilire chi dovrà morire perché la “rivoluzione“ viva. La rivoluzione diventa in questo modo una idea astratta, una sostanza metafisica del tutto scissa dalle esigenze, dai valori, dagli interessi degli esseri umani in carne ed ossa. Non è la rivoluzione a servire gli uomini, sono gli uomini a servire la rivoluzione. Ed in effetti nel corso della storia a questa idea astratta saranno sacrificate vite umane in quantità industriali.
Luigi Capeto, e dopo di lui Maria Antonietta,  verranno ghigliottinati perché le loro vite rappresentavano un “pericolo per la rivoluzione”. Ma ben presto saranno gli stessi rivoluzionari a diventare “pericolosi” per la "rivoluzione”.  I Girondini e gli arrabbiati, la destra e la sinistra estrema usciranno di scena a colpi di decapitazioni. Danton, Desmoulins, Hebert e tanti altri saliranno la scala che conduce alla fredda lama della ghigliottina. Alla fine sarà la testa dello stesso Robespierre ad essere troncata dal corpo.
Una volta che la rivoluzione sia stata sostantificata, e che il principio della responsabilità personale sia stato abbandonato e sostituito da quello della “oggettiva pericolosità sociale”, tutto è possibile; ogni arbitrio, ogni delitto possono diventare prassi quotidiana.
La tragica esperienza del comunismo ha portato alle estreme, parossistiche, conseguenze le affilate argomentazioni di Robespierre. La “giustizia rivoluzionaria” ha distrutto interi strati sociali, etnie, popolazioni che collettivamente costituivano “pericoli” per la rivoluzione. E gli individui di volta in volta identificati come “pericolosi” non sono stati solo uccisi. La loro morte morale ha preceduto quella fisica. Danton è salito al patibolo a testa alta, la leggenda dice che abbia pronunciato la frase “tu mi seguirai Robespierre” mentre passava di fronte alla casa dell'incorruttibile. Per i vari esponenti della vecchia guardia bolscevica fatti massacrare da Stalin il destino è stato ben diverso. Prima di essere ammazzati hanno “confessato” crimini nefandi, si sono “volontariamente” cosparsi di fango. Hanno perso la dignità prima della vita. Anche questo era necessario alla “Rivoluzione”.

Italia, 30 Ottobre 2011. Antonio Ingroia, magistrato, interviene al congresso del Partito comunista d'Italia. Che un magistrato in carica intervenga al congresso di un partito politico, a maggior ragione di un partito che si dichiara nemico dell'ordine costituito, lo stesso che la legge deve tutelare, è fatto abbastanza anomalo, quanto meno nei paesi in cui il diritto è una cosa seria. In quella occasione  Ingroia disse: “Un magistrato deve essere imparziale quando esercita le sue funzioni,  e non sempre certa magistratura che frequenta troppo certi salotti e certe stanze del potere lo è, ma io confesso, non mi sento del tutto imparziale, anzi, mi sento partigiano. Partigiano non solo perché sono socio onorario dell’Anpi, ma sopratutto perché sono un partigiano della  Costituzione. E fra chi difende la Costituzione e chi quotidianamente cerca di violarla, violentarla, stravolgerla, so da che parte stare”.
Ingroia qui non afferma di essere partigiano come privato cittadino, tutti abbiamo diritto, come privati cittadini, di essere “di parte”, si riferisce, al suo ruolo di magistrato, polemizza addirittura con “certa magistratura” che frequentando le stanze del potere, è parziale, per lui, dalla parte sbagliata. Il magistrato però, in quanto magistrato, deve solo applicare le leggi. Se Tizio è accusato di furto il magistrato deve esaminare i fatti ed appurare se esistono a carico di Tizio prove sufficienti a farlo condannare. Che Tizio ami la costituzione o non la ami, che sia un politico che vorrebbe modificarla radicalmente o uno che non vorrebbe cambiarne neppure una virgola, non deve avere alcuna rilevanza quando si  tratta di stabilire se Tizio è o non è colpevole di furto. Dalle parole di Ingroia emerge invece una concezione ben diversa del ruolo del magistrato. Ben prima di appurare i fatti e valutare le prove compito del magistrato è “difendere la costituzione”. Una volta che il magistrato abbia stabilito, a suo insindacabile giudizio, che Tizio è un “nemico della costituzione” egli, a piena ragione, non è più imparziale nei suoi confronti, lo considera uno che vorrebbe “violare, violentare, stravolgere” la costituzione “più bella del mondo”, quindi un nemico della democrazia. Se un magistrato che si dichiara “partigiano” e il cui compito è la “difesa della costituzione”, si trova a dover decidere se Tizio, nemico della costituzione, è o non è un ladro, in base a cosa deciderà? In base allo prove relative al furto, o in base alla sua dichiarata partigianeria politica? E' o non è lecito sospettare che un simile magistrato userà l'indagine sul furto come un'arma per colpire chi considera un nemico della costituzione, quindi della democrazia, della giustizia, e chi più ne ha più ne metta? La domanda è piuttosto retorica, lo ammetto.

Dalle parole di Ingroia emerge la stessa concezione di Maximilien Robespierre. Il giudice non è chiamato ad appurare imparzialmente le responsabilità personali di Tizio o Caio, ma ha il compito di colpire i nemici di un certo ordinamento, di una certa costituzione. Nel processo a Luigi Capeto Robespierre assolve a questa funzione direttamente: non accusa Luigi di furto o corruzione, dice chiaramente che va eliminato perché è stato re. Ma già con Danton si comporta diversamente. Danton sarà accusato di “corruzione” (guarda un po'...)  e mandato alla ghigliottina dopo un processo farsa in cui però il grande oratore aizzerà la folla contro i suoi giudici partigiani, mettendoli spesso in difficoltà. L'accusa di corruzione era un mero pretesto, ovviamente, anche se in effetti pare che Danton amasse gli agi del bel vivere.
E, esattamente come Robespierre viola i principi della rivoluzione francese in nome della “difesa della rivoluzione”, Ingroia, teorizzando la parzialità del giudice, viola i principi di quella costituzione di cui pensa di essere il più strenuo difensore. Il secondo comma l'articolo 111 della costituzione dichiara infatti: “Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata.” Non si potrebbe concepire qualcosa di più lontano dalla teorizzazione della partigianeria del magistrato. Ma, tutto questo non preoccupa un “magistrato partigiano”: se violare la costituzione serve a difenderla egli non avrà dubbio alcuno sulla scelta da fare.

Antonio Ingroia non è affatto una eccezione, è diverso da tanti altri perché ha, se non altro, l'onestà di esporre chiaramente il suo pensiero. C'è chi ha affermato che ogni confronto fra il giustizialismo diffusissimo nel nostro paese e il giacobinismo è insensato. Col giacobinismo il potere politico  usava ai suoi fini i magistrati, i magistrati italiani invece rivendicano con forza la loro autonomia dal potere politico. C'è un pizzico di verità in questa affermazione. Nella Francia giacobina il potere politico si sostituiva ai magistrati, nella Italia di oggi la magistratura tenta di sostituirsi (con ottimo successo) al potere politico. L'essenza del giacobinismo però non è costituita, come fanno finta di credere i giustizialisti meno stupidi, dalle “pressioni” politiche sulla magistratura. Questa essenza è costituita dalla politicizzazione della giustizia, e per politicizzazione della giustizia non deve intendersi solo il fatto che la giustizia favorisca questo o quel partito. No, la giustizia si politicizza quando si pretende di risolvere giudiziariamente i problemi generali della società, quando inchieste, processi e carcere servono non per punire i reati eventualmente commessi da Tizio e Caio, ma, come ebbe a dire tempo fa un noto magistrato di "mani pulite", per "rivoltare la società come un calzino". Che ad usare la giustizia a fini politici siano i politici  o gli stessi magistrati è tutto sommato la cosa meno importante.

Indipendentemente da ogni ulteriore considerazione sul ruolo politico della magistratura, ad impressionare è il numero sempre maggiore di novelli Robespierre che circolano oggi nel nostro povero paese. Siamo letteralmente circondati da branchi di fanatici pronti a presentare le proprie idee, o i valori in cui credono, come nuovi, indiscutibili assoluti. Che si tratti di ecologisti mistici o di strenui difensori del sacro dovere di pagare le tasse, di fanatici dell'onestà o di angioletti che, traboccanti bontà, son pronti ad accogliere nel nostro paese tutti gli sventurati del pianeta, la musica non cambia: la affermazione di certi ideali e di certi valori è il fine supremo, da realizzare senza guardare in faccia nessuno, costi quel che costi. E chi, timidamente, invita a tener conto anche di altre esigenze, di altri valori, a valutare le conseguenze di una applicazione estremistica di certe visioni del mondo, viene subito bollato come un essere malvagio, un uomo egoista, che pensa solo al suo miserevole tornaconto personale, in breve un uomo da isolare, controllare, reprimere. E se anche la stragrande maggioranza degli esseri umani fosse composta da malvagi di tal fatta le cose non cambierebbero affatto. Perché, come per Robespierre, per i nuovi fanatici, idee e concezioni del mondo non servono agli uomini, ma gli uomini servono alle idee ed alle concezioni del mondo. Ed esattamente come accadeva per la giacobina “virtù rivoluzionaria”  ai nuovi ideali assoluti si possono sacrificare gli esseri umani, senza riguardo alcuno. 
In una cosa però i nuovi fanatici differiscono da Maximilien Robespierre. Non hanno la tragica, cupa grandezza dell'incorruttibile, non ne posseggono la logica spietata, la coerenza, il coraggio. Sono, insomma degli uomini piccoli, come piccoli sono, in fin dei conti, i loro ideali. Libertè, egalitè, fraternitè sono state sostituite da: pagare le tasse! Consumare meno acqua! Presentare tutte le ricevute per i rimborsi elettorali! Arrestare Berlusconi! La virtù rivoluzionaria si è trasformata in radicalismo da salotto, buonismo ipocrita, odio livido nei confronti di un uomo. Robespierre suscitava terrore, i vari Santoro, Flores D'arcais, Travaglio solo uno scoramento infinito, ed un certo senso di nausea.