giovedì 27 febbraio 2014

GRILLO E I DISSIDENTI




Espulsi 4 senatori “grillini”. Che in un partito ci siano delle espulsioni non è,
in sé, un fatto antidemocratico. Un partito è, appunto, una parte della società, non comprende tutti. Si sta in un partito finché se ne condividono la politica ed i principi basilari, quando non li si condivide più si può abbandonare un partito, od essere invitati ad abbandonarlo, niente da dire. Però, in ogni partito esistono differenze di idee e valutazioni, una pluralità di posizioni. In ogni partito esiste o può esistere il dissenso. Ed è importante, ai fini della valutazione di un partito, valutare come in esso viene regolamentato il dissenso. Per tornare al movimento di Grillo, in se dice poco l'espulsione dei “dissidenti”, occorre invece valutare perché, come e da chi sono stati espulsi.
 

PERCHE'. I quattro senatori sono stati espulsi perché hanno criticato l'atteggiamento tenuto da Grillo nel suo incontro con Renzi. Un po' come se un parlamentare di forza Italia venisse espulso dal partito perché, a suo parere, il cavaliere in un certo comizio è stato poco efficace e convincente, o inutilmente aggressivo. Voglio dirlo chiaramente: neppure nel partito bolscevico di Lenin si espelleva la gente per simili motivi, almeno sino al 1920/21. Una cosa è espellere un parlamentare perché, ad esempio, vota la fiducia al governo in contrasto con l'atteggiamento ufficiale del partito, altra cosa è espellerlo perché esprime dubbi sul comportamento mediatico del leader. Qui non siamo neppure in presenza di una dissidenza politica, semplicemente di una valutazione critica nei confronti delle intemperanze del leader. Punire con l'espulsione una simile “critica” è qualcosa che ha pochi antecedenti storici. Più che il partito bolscevico di Lenin viene in mente quello di Stalin, o il partito comunista cinese di Mao, o un certo partito nazionalsocialista dei lavoratori tedeschi...
 

DA CHI. I quattro senatori sono stati espulsi dopo un referendum avvenuto in rete. Per qualcuno questo sarebbe molto “democratico”, ma si tratta di una evidente idiozia. Un referendum in rete è quanto di più manipolabile possa concepirsi. Chi può votare in un simile referendum? In quanti votano? Chi controlla i voti? Tizio entra in un certo blog e vota per l'espulsione di quattro senatori, anche se neppure sa chi sono, e perché si chiede la loro espulsione. Una simile “democrazia” ricorda la “democrazia” delle guardie rosse nella Cina della "grande rivoluzione culturale proletaria".
Per capire quanto un sistema simile sia aberrante basta pensare a cosa succederebbe se venisse usato in un processo penale. Tizio è accusato di omicidio e a decidere della sua sorte sono Caio e Sempronio che neppure sanno con precisione chi sia stato ucciso, e in quali circostanze. In effetti Grillo, e non solo lui, vorrebbero estendere anche ai processi penali simili “procedure democratiche”. Processi di piazza, fatti arringando folle urlanti. Il famoso “ostracismo” dell'antica Atene è un modello di democrazia liberale, al confronto.

COME. In realtà esiste democrazia se esistono regole, procedure. Un parlamentare può essere espulso dal suo partito solo al termine di un dibattito vero, condotto nelle sedi competenti, in cui gli sia concesso di esporre in maniera esaustiva le proprie posizioni. E solo chi ha partecipato a questo dibattito può votare l'espulsione. In un partito devono esistere statuti, attribuzioni di poteri, organismi a cui spetta deliberare, regole da seguire per le delibere. Nel M5S tutto questo non esiste. Esiste il leader e la rete. Un bel mattino Grillo si alza, decide che si deve fare X, qualcuno non è d'accordo, osa esternare il suo dissenso e subito scatta il referendum in rete che lo bolla come “traditore”. Se tutto questo è “democratico” allora era “democratica”, lo ripeto, la Cina della “rivoluzione culturale proletaria”.

Ma, a parte le considerazioni formali, pure decisive, ci sono in questa vicenda alcuni aspetti che gettano luce, una luce sinistra, sul movimento grillino.
I senatori espulsi sono stati immediatamente bollati come personaggi disonesti, preoccupati solo di salvare il loro stipendio, gentaglia che antepone lo sporco denaro ai nobili ideali. Trasformare l'oppositore in un miserabile, negare che la sua sia una dissidenza politica, trasformarla in un fatto di mero opportunismo venale è, di nuovo, una tattica messa in atto da tutti i partiti assolutisti e totalitari. Chi osava dubitare del “segretario generale” era un terrorista, un criminale, un insetto velenoso da schiacciare. Non veniva neppure considerato un nemico politico, solo un volgarissimo delinquente. Certo, Grillo non è il "segretario generale", per fortuna.
“Ora siamo un po' meno” ha detto Grillo, “ma molto più forti e coesi”. Viene in mente il famoso detto leniniano e staliniano “epurandosi un partito si rafforza”. Niente dibattiti interni, niente inutili discussioni. I dissidenti sono nemici, ed i nemici criminali. Schiacciamoli ed andiamo avanti!
Diceva Marx che nella storia gli eventi s presentano sempre due volte: la prima come tragedia, la seconda come farsa...

Facciamo un piccolo esperimento mentale. Grillo conquista il 60% dei voti. Cosa farebbe un tipino simile se avesse davvero il potere? Se potesse far passare a suo piacimento ogni tipo di legge, comprese leggi di riforma costituzionale, e se avesse la forza, anche militare, per far fronte alle inevitabili resistenze? Beh, per me una simile prospettiva è abbastanza agghiacciante. Ma io sono un vecchio brontolone e pessimista.

venerdì 21 febbraio 2014

UCRAINA, DUE RIGHE DI STORIA




Nella seconda metà degli anni 20 Stalin rompe l'alleanza politica con Bucharin, basata sulla prosecuzione della NEP (nuova politica economica), cioè sul rispetto della piccola e media proprietà contadina. Per Bucharin la Russia sovietica doveva "marciare verso il socialismo a passi da lumaca". Il partito non doveva aggredire i piccoli e medi contadini, ma anzi favorirli. L'incremento della produttività agricola che si sarebbe ottenuto avrebbe finanziato lo sviluppo della produzione industriale. Stalin, già alleato  di Bucharin contro Trotskij, compie sul finire degli anni 20 uno dei sui improvvisi cambiamenti di rotta. Accusa Bucharin di volere lo “sviluppo del capitalismo” in Russia, esclude il vecchio alleato dal potere  ed inizia la campagna per la collettivizzazione dell'agricoltura. Questa riguarda in particolar modo l'Ucraina, che da sola forniva il 50% di tutta la farina russa. Si torna ai metodi del "comunismo di guerra" che la NEP aveva abbandonato: i contadini devono consegnare allo stato il loro raccolto. Ma si va anche oltre: le medie,  poi anche le piccole, proprietà agricole devono essere espropriate. Espulsi dalle loro terre i contadini devono andare a lavorare nelle cooperative agricole (Kolchoz) o in aziende agricole di stato (Sovchoz). Sia i kolchoz che i sovchoz hanno l'obbligo di consegnare allo stato, a prezzi fissati unilateralmente dallo stesso, i loro prodotti.
La vita nelle fattorie collettive è praticamente impossibile, tutto è messo in comune, piatti e pentole compresi, non esiste più nulla che assomigli in qualche modo alla vita privata. Si dorme, si mangia in grandi cameroni, tutti insieme. Ma il nemico più terribile è la fame. Lo stato requisisce praticamente tutto e non lascia ai contadini di che potersi sfamare. I primi ad essere colpiti sono i cosiddetti “kulaki” cioè i contadini considerati “ricchi” (è tale chi possiede due, tre di mucche), poi praticamente tutti vengono travolti.

I contadini cercano di resistere alla collettivizzazione, non vogliono entrare nei kolchoz o nei sovchoz. Resistono alle requisizioni di cibo. In preda alla disperazione per lo spettro della fame macellano e divorano gran parte del bestiame. E' una tragedia. Il patrimonio zootecnico della Russia si riduce della metà. Finita la grande abbuffata i contadini si ritrovano più affamati che mai. Lo stato impone loro obiettivi assolutamente impossibili, manda nelle campagne brigate di militanti bolscevichi in assetto di guerra che impongono ai contadini la consegna anche dell'ultimo chicco di grano. Nel 1932 vengono confiscate ai contadini anche patate, barbabietole, verdure di ogni tipo. Le campagne ucraine, e non solo loro, sono ridotte alla fame.
Un decreto del 7 agosto 1932 prevede la pena di morte, o il carcere fino a 10 anni per chi ruba generi alimentari allo “stato proletario”. Il furto di un pomodoro o di un chicco di grano può costare la fucilazione. Ricorda "Wikipedia" che la corte suprema degli stati uniti denuncia, nel solo 1932 la fucilazione per "furto" di 4880 persone (Travaglio e Gomez e Flores D'Arcais avrebbero approvato entusiasti), altre 20.086 vengono condannate a dieci anni di carcere. Né queste sono le sole misure messe in atto per stroncare la resistenza dei contadini. Intere popolazioni vengono deportate nei gulag. Secondo gli storici ed i testimoni più attendibili sono almeno 900.000 gli ucraini che devono subire la deportazione. Spesso si tratta di autentiche odissee verso il nulla. Dopo settimane di viaggio in vagoni piombati il treno si ferma nel bel mezzo della pianura gelata ed i contadini vengono fatti scendere. “Ecco, siete liberi, arrangiatevi” viene detto loro. Il treno torna indietro, lasciando migliaia di esseri umani coperti di stracci in piana campagna, al gelo, soli, senza cibo nè attrezzi.
Stremati dalla fame i contadini cercano di emigrare in città, in cerca di cibo e lavoro, ma non possono farlo. Le città sono presidiate manu militari e i contadini vengono ricacciati nella campagne. Si hanno anche episodi di assalto ai depositi statali in cui viene conservato il grano. Spesso il prezioso cereale non arriva neppure in città ma resta a marcire al sole, a volte va ad arricchire le mese dei dirigenti delle “brigate d'assalto”. I magazzini però sono ben sorvegliati e gli assalti si risolvono in autentici bagni di sangue.
Nello splendido romanzo “
tutto scorre” Vasilij Grossman fa descrivere al protagonista da una contadina  l'assalto alle città da parte dei contadini ucraini.

“Dalla campagna arrivano poi, trascinandosi, i contadini. Le stazioni sono sbarrate, piene di picchetti, che perquisiscono. Dappertutto, sulle strade, picchetti, militari; ma i contadini riescono lo stesso a raggiungere Kiev; si trascinano per prati, terreni, strade. Non si può mica mettere picchetti su tutta la terra. A camminare, ormai, non ce la fanno più, riescono solo a trascinarsi. La gente della città si affretta, ognuno ha le sue faccende: chi va al lavoro, chi al cinema, tram che passano ma gli affamati si trascinano fra la gente: bimbi adulti, ragazze – non sembrano neanche esseri umani, li diresti un a specie di sordidi cagnetti o gattini, così a carponi. Eppure vogliono ancora comportarsi da esseri umani, provano vergogna: una ragazza tutta gonfia striscia, sembra una scimmia: guaisce, ma si accomoda la gonna, si vergogna, nasconde i capelli sotto il fazzoletto: è una venuta a Kiev per la prima volta. Ma solo i fortunati riescono a trascinarsi fin li: uno su diecimila. E tuttavia non c'è salvezza per lui – giace a terra affamato, chiede con un filo di voce ma non riesce a mangiare, ha li accanto un cantuccio di pane, ma ormai è agli stremi.
Al mattino passavano i carri a piattaforma, dai pesanti cavalli da tiro, a raccogliere quelli morti durante la notte. Ho visto la piattaforma dov'erano ammucchiati dei bambini. Proprio come ho detto: magri magri, lunghi lunghi, le faccine da uccelletti morti, il beccuccio appuntito. Fino a Kiev erano riusciti a volare, quegli uccellini – ma a che pro. Fra loro ce n'era che ancora pigolavano, le testoline a ciondoloni, appesantite. Io chiesi al vetturale, lui fece un gesto con la mano: prima ch'io arrivi a destinazione s'azzittiranno per sempre.”

Naturalmente, in quella situazione infernale risorse, e su larga scala, il
cannibalismo. Lasciamo di nuovo la parola alla contadina di Grossman.

“A certi invece dava di volta il cervello, non si calmavano, sino alla fine. Li riconoscevi dagli occhi, lucidi. Erano quelli che facevano a pezzi i morti e li cuocevano, uccidevano i loro propri figli e li mangiavano. Si risvegliava in loro la belva, quando l'uomo moriva, in loro. (…) Dicono che questi li han fucilati tutti quanti. Ma non erano loro i colpevoli, i colpevoli erano quelli che riducevano una madre al punto di mangiare i propri figli. Ma, credi che si trovasse il colpevole? Hai voglia a cercarlo... E' per il bene, il bene dell'umanità che loro hanno ridotto le madri a tal punto.
L'ho visto allora: ogni affamato è, in un certo senso un antropofago. Mangia la propria carne, solo gli ossi rimangono, succhia il suo grasso fino all'ultima briciola . Poi gli si oscura la ragione: anche il cervello si è mangiato, ha divorato tutto se stesso”.

Si è valutato che,
nella sola Ucraina la collettivizzazione forzata della agricoltura sia costata dai tre ai cinque milioni di morti. I vari nostalgici del comunismo non son o d'accordo, ovviamente. Per loro i morti per fame non sono da addebitarsi al comunismo ma... alla carestia, e la morte dei contadini lasciati, coperti di stracci, nella pianura gelata non è da addebitarsi al padre dei popoli, ma... al freddo (oltre, ovviamente che all'imperialismo capitalista). Altri dedicano qualche lacrimuccia a questi morti ma affermano che "l'idea è comunque bella", perché mira alla "liberazione del genere umano". Gli ha risposto, in anticipo, Grossman: “ E' per il bene, il bene dell'umanità che loro hanno ridotto le madri a tal punto”. Povera umanità, distrutta in nome del suo bene...

Non conosco bene la attuale situazione dell'Ucraina, ma mi fa ridere chi pensa che davvero, oggi, gli Ucraini sfidino la morte per l”Europa”. Gli ucraini hanno subito per secoli l'oppressione del nazionalismo Russo e per decenni la follia del comunismo staliniano. Non a caso quando Hitler invase l'URSS ci fu chi, in Ucraina, accolse, sbagliano tragicamente, i tedeschi come liberatori.
Gli ucraini vogliono più democrazia, più libertà, un governo meno corrotto ed oppressivo, un po' più di benessere. Tutto questo con la commissione europea c'entra molto poco.

lunedì 17 febbraio 2014

LA NATURA, VERA




E' molto duro questo filmato, ma anche molto istruttivo. Il leopardo azzanna il facocero al muso e lo tiene stretto per molto, molto tempo fino a che il facocero muore. E' “cattivo” il leopardo? No, ovviamente, non è né cattivo né buono, è solo un leopardo, uno splendido predatore. La natura è retta da leggi implacabili, che è completamente insensato definire in termini morali. Non c'è nulla di “buono” o di “cattivo” nel fatto che il fulmine uccida o che i terremoti provochino morte e distruzione, o che il sole, un giorno, collasserà, o che il leopardo divori vivo un facocero, o che un leone maschio uccida i suoi cuccioli perché “sa” che se i cuccioli muoiono la femmina torna più rapidamente in calore. La natura è il regno dell'essere, non del dover essere, tutti gli animali si adeguano istintivamente alle sue leggi, senza farsi domande di alcun tipo, senza discettare su “diritti”, “doveri” “giustizia” o “ingiustizia”. Solo l'uomo, forse, sfugge, in parte, a tutto questo. Per questo solo lui può essere definito “buono” o “cattivo”, più spesso cattivo che buono, purtroppo.
Sono banalità? Si, ma a volte la verità è banale. E forse ha un senso contrapporre queste banalità alle altre, quelle del misticismo ecologico che ha trasformato la natura in una barzelletta, e gli animali in patetici pupazzetti di peluche.


martedì 11 febbraio 2014

QUELLA ESTATE 2011



Vediamo di fare il punto.

Nel 2011 l'Italia è nel mirino dell'”Europa”, cioè di Francia e Germania. L'allora presidente del consiglio non vuole accettare misure molto pesanti di austerità. L'”Europa” fra pressioni sull'Italia.

Il presidente Napolitano già nell'estate del 2011, ben prima cioè che la maggioranza che sosteneva il governo Berlusconi iniziasse s sfaldarsi, ed anche che lo spread raggiungesse livelli record, incontra più volte il professor Monti. Perché lo incontra? Monti non era un politico, non sedeva in parlamento, non guidava nessun partito, era solo un professore di economia, come ce ne sono tantissimi in Italia. Era però ben visto in “Europa”. Il presidente ha affermato che ha incontrato più volte il professor Monti perché si sarebbe trattato di “una risorsa per il paese”. Il paese è pieno di simili “risorse”. Se il capo dello stato passasse il suo tempo ad incontrarle non gli resterebbe più un attimo libero.

La costituzione non riconosce al capo dello stato un ruolo attivo in politica. Fino a che ci sono un governo ed una maggioranza il capo dello stato deve stare ad osservare. Solo DOPO che un governo sia entrato in crisi il capo dello stato consulta le varie forse politiche al fine di stabilire un nuovo possibile primo ministro. Pare che nel 2011 le cose siano andate ben diversamente.

Comunque, già nella primavera - estate 2011 il presidente Napolitano prospetta a Monti la possibilità di guidare un nuovo governo, delegittimando in questo modo il governo in carica proprio nei confronti della famosa “Europa”. Intanto, nel giugno 2011 la Deutske Bank vende titoli di stato italiani per 7 miliardi di euro. Se si vendono titoli in maniera massiccia il loro prezzo cala ed il rendimento aumenta. Inizia la corsa dello spread.

A Novembre Berlusconi, che ha ancora formalmente una maggioranza parlamentare, si dimette. Monti diventa primo ministro e mette in atto la politica che da tempo l'”Europa”, cioè la Francia e la Germania, ci chiedevano. Sappiamo tutti dove ci ha portati questa politica: alla recessione più grave del dopoguerra, almeno.

Il governo Monti però non ce la fa a stare a galla. Cade e le nuove elezioni cambiano del tutto il panorama politico. Col governo di larghe intese sembra che il cavaliere possa tornare a giocare un ruolo importante nella politica italiana. A questo punto ci pensa la magistratura a farlo fuori.
E' stato tutto un “complotto”? Non credo. E' stato un insieme di azioni probabilmente non coordinate ma tutte, oggettivamente, convergenti allo stesso fine: eliminare qualsiasi forma di autonomia dell'Italia rispetto all'”Europa” a guida franco – tedesca (e poi solo tedesca) ed eliminare politicamente (e forse non solo) un uomo che, a torto o a ragione, era considerato nemico di una simile “Europa”.


Occorre essere davvero molto, molto “diversamente intelligenti” per avere, oggi in Italia, fiducia nelle istituzioni.

lunedì 10 febbraio 2014

EUGENIO SCALFARI



E' uno dei maggiori nemici di Silvio Berlusconi, lo sanno tutti. Per anni ha accusato tutti i giorni il cavaliere di essere un delinquente, gli ha rinfacciato i suoi guai giudiziari, ed anche ora non lesina critiche a Matteo Renzi “reo” di aver fatto “resuscitare ” il “pregiudicato”. Forte del proprio ascendente sui partiti del centro sinistra che fa ora il grande vecchio? Li esorta ad introdurre una bella patrimoniale, unico mezzo, a suo parere per uscire dalla crisi.

Però, vediamo un po' quali sono i precedenti di questo campione della democrazia, del diritto, della più incontaminata e cristallina onestà.

Scalfari è del 1924. Scrive Wikipedia che “Tra le sue prime esperienze giornalistiche c'è "Roma Fascista", organo ufficiale del GUF (Gruppo Universitario Fascista). Negli anni successivi continua a collaborare con riviste e periodici legati al fascismo, come "Nuovo Occidente", diretto dall'ex squadrista e fascista cattolico Giuseppe Antonio Fanelli. Nel 1942 Scalfari sarà nominato caporedattore di "Roma Fascista".
All'inizio del 1943 scrisse una serie di corsivi non firmati sulla prima pagina su Roma Fascista in cui lanciava generiche accuse verso speculazioni da parte di gerarchi del PNF sulla costruzione dell'EUR”.
Dunque, la gioventù del nostro amico non è esente da colpe. Nulla di grave, sia ben chiaro: tutti possiamo sbagliare, specie se molto giovani. Però, è indicativo che nel 1943, quando l'Italia sta precipitando nel baratro della guerra civile lui critichi il partito nazionale fascista... per cosa? Per degli episodi di corruzione. Non lo preoccupano la guerra persa, l'Italia spaccata in due ed invasa da due eserciti stranieri, no, lui fa delle “critiche” al PNF per delle speculazioni immobiliari messe in atto da alcuni gerarchi. Buon sangue non mente.

Continuiamo. “Nel 1968 pubblicò insieme a Lino Jannuzzi l'inchiesta sul SIFAR. Il generale De Lorenzo li querelò e i due giornalisti furono condannati rispettivamente a 15 e a 14 mesi di reclusione, Ambedue i giornalisti evitarono il carcere grazie all'immunità parlamentare loro offerta dal Partito socialista italiano”
Non mi interessa stabilire se sia stata giusta o no la condanna a Scalfari e Jannuzzi. Ragionando che gli attuali parametri di Scalfari una simile domanda è insensata: “NON SI COMMENTANO LE SENTENZE” ci hanno detto una infinità di volte i forcaioli che hanno in Scalfari un leader carismatico. Ed ancora, è significativo che Scalfari, fiero nemico della immunità parlamentare, abbia evitato la galera proprio grazie a questa immunità, generosamente offertagli dal PSI, lo stesso partito che poi Scalfari definirà come un covo di corrotti e corruttori.

Se ragionassimo come lui, se fossimo come lui dovremmo definire il fondatore di “Repubblica” un “PREGIUDICATO” ed anche un ex fascista, uno di cui ci si dovrebbe vergognare di averlo come padre, nonno o anche solo amico o parente.
Però i democratici liberali NON sono come lui. Possiamo quindi definirlo solo come un vecchio forcaiolo, pieno di boria e di arroganza.


martedì 4 febbraio 2014

DUE PAROLE SULLA CORRUZIONE





La commissione europea ha valutato in 120 miliardi di euro annui il “costo” della corruzione in Europa, e in 60 miliardi quello in Italia. Le cifre non sono comparabili perché ottenute seguendo diversi criteri, hanno affermato gli euroburocrati, senza tuttavia esplicitare di che criteri si tratti. Questo è già un primo, grosso, limite. Come si è arrivati a cifre simili? Sorge il sospetto che queste possano essere gonfiate, o sgonfiate, semplicemente introducendo, o non introducendo, nei codici dei vari paesi nuove tipologie di reato. Basta che un codice penale dichiari reato una attività fino a ieri lecita ed ecco che il "costo" della corruzione subisce una  impennata. Però, è chiaro che un questo caso siamo di fronte ad puro effetto statistico. Il costo globale delle attività corruttive è sempre lo stesso, solo, da un certo momento in poi vengono dichiarate "corruttive" attività in precedenza considerate perfettamente legali. Un po' come quando si dice che i casi di ubriachezza sono in continuo aumento perché la legge ha stabilito che chi beve mezzo bicchiere di vino è, per definizione, "ubriaco". Non intendo negare che il peso della corruzione in Italia sia molto elevato, ma  sarebbe bene che ci fosse maggior rigore e maggior precisione quando si sparano cifre francamente impressionanti.

Quali che siano stati i criteri  con cui sono state estrapolate, è chiaro infatti che simili cifre sono destinate ad avere sulla pubblica opinione un impatto molto pesante. Sessanta miliardi di euro annui sono un sacco di soldi, e si tratterebbe di soldi “sottratti” all'economia. Ecco la causa della crisi si diranno in molti. Si “recuperino” quei 60 miliardi ed avremo sviluppo, lavoro, occupazione. E, come recuperarli? Con leggi più severe, maggiori controlli, più potere ai magistrati. Come nel caso della peste di Milano magistralmente descritta dal Manzoni, la soluzione è lì, a portata di mano. Si sbattano in galera i “nuovi untori”, i corrotti, e tutto sarà risolto.
Ma, anche prendendo per buone le cifre fornite dalla commissione europea, le cose stanno davvero così? E' molto, molto dubbio. Negli ultimi venti anni la lotta alla corruzione si è di certo intensificata, la magistratura ha visto aumentare, e di molto, il suo potere, sono state fatte nuove leggi, inasprite le pene, il segreto bancario è stato di fatto abolito. Eppure la corruzione è cresciuta in maniera esponenziale. Malgrado gli strilli, le urla, la riduzione progressiva delle garanzie a difesa degli imputati, i processi condotti con criteri quanto meno “discutibili”, la corruzione dilaga, dicono. Esattamente come i linciaggi degli untori non fermavano la peste, il dilagante giustizialismo forcaiolo può poco contro la corruzione. E' la commissione europea a dircelo, proprio nello stesso momento in cui propone più controlli, meno garanzie, più potere ai magistrati.

La commissione europea non lo dice, ma una delle cause della corruzione va cercata nell'incredibile aumento del peso della politica nella vita sociale ed economica dei vari paesi europei, a partire dall'Italia.
Il sistema economico non solo è soggetto ad una pressione fiscale folle, ma deve subire il peso di una folle regolamentazione. La vita economica è letteralmente bloccata da leggi, leggine, normative molto spesso assurde; per tutto occorre chiedere un permesso, una autorizzazione, e permessi ed autorizzazioni spesso tardano ad arrivare, perché negli uffici pubblici l'efficienza e la produttività non sono sempre di casa. La causa prima del peso esagerato della corruzione sta precisamente in questa situazione, a cui ha contribuito moltissimo proprio la commissione europea. In 170.000 (CENTOSETTANTAMILA) pagine fitte fitte, e che aumentano tutti i giorni, da Bruxelles si pretende di stabilire tutto: dal diametro della pizza ai criteri con cui “collaudare” gli stivali di gomma, dalla temperatura del caffè espresso alla portata degli sciacquoni.
Non occorre una grande mente per capire che dove tutto è regolamentato e deciso a livello politico la corruzione prospera. Se la mia possibilità di lavorare è legata alla decisione di un piccolo, o di un grande, burocrate la tentazione di “ungere le ruote” diventerà spesso irresistibile, anzi, a volte “ungere la ruote” sarà l'unico mezzo per poter lavorare, non essere costretto a chiudere.

I famosi 60 miliardi annui che sarebbero il prezzo della corruzione sono sottratti all'economia, agli investimenti produttivi, si dice, ma, stanno davvero sempre così le cose?
In certi casi si, ovviamente. Se una gara di appalto viene falsata da qualche mazzetta elargita a politici compiacenti e un certo lavoro viene assegnato ad una ditta che offre condizioni meno vantaggiose, siamo di fronte ad un danno rilevante per l'economia: la corruzione colpisce in questo caso l'efficienza e la produttività.
Ma ci sono, o possono esserci, casi diversi. Esaminiamo qualche altro esempio.

Tizio, imprenditore, ha bisogno di una autorizzazione per poter iniziare un lavoro. Si reca al competente ufficio comunale e gli viene detto che per quella autorizzazione occorrono tre mesi. Occorrono tre mesi non perché qualcuno ritarda consapevolmente la pratica di Tizio, ma perché quelli sono i tempi di quell'ufficio. Per Tizio un ritardo di tre mesi vuol dire una perdita molto forte, quindi, che fa? Paga una mazzetta ed in una settimana ha l'agognata autorizzazione. In questo caso il problema non è tanto la mazzetta quanto l'inefficienza e la scarsa produttività del pubblico ufficio. La mazzetta semmai ha costituito un vantaggio per la attività economica: ha snellito una procedura ed accelerato l'inizio di un lavoro importante.

Caio è titolare di una piccola officina meccanica. Subisce un controllo dal quale emerge che questa non è conforme alle normative europee: il tetto è più basso di tre centimetri rispetto a quanto indicato dagli euroburocrati. Caio deve mettersi a norma, ma non è in grado di farlo. Chiede al funzionario dell'ispettorato del lavoro di chiudere un occhio, e gli allunga una mazzetta. In questo caso il problema vero è costituito dalla iper regolamentazione cui è sottoposta l'attività produttiva. La mazzetta semmai, evitando il fallimento di Caio, ha svolto una funzione economica positiva.

Sempronio è titolare di un bar. La guardia di finanza rileva che spesso non batte gli scontrini fiscali. Sempronio è evasore, lo aspetta una multa che gli taglierà le gambe, forse lo porterò al fallimento. Sempronio paga un ufficiale della guardia di finanza e salva la situazione. In questo caso il problema è il carico fiscale eccessivo. La mazzetta, permettendo a Sempronio di superare una situazione complicatissima, ha avuto, di nuovo, una funzione economica positiva.

Il partito X riceve denaro pubblico che deve servire a finanziare la sua attività politica. Il tesoriere ed i dirigenti di questo partito però spendono gran parte di quel denaro in privati bagordi. Si tratta una azione riprovevole dal punto di vista etico, ma priva di conseguenze negative dal punto di vista economico. Il denaro pubblico regalato al partito era comunque sottratto agli investimenti ed alla produzione; dal punto di vista economico che sia stato speso in propaganda o in bagordi non cambia minimamente le cose.

Con questo non è assolutamente mia intenzione difendere la corruzione. Quello che voglio dire è che la corruzione costituisce solo una faccia, una delle tante, di un sistema elefantiaco, burocratico, invasivo ed inefficiente. Si riduca la pressione fiscale, si semplifichi la pubblica amministrazione, la si renda davvero efficiente, si riducano drasticamente le norme mantenendo solo quelle davvero indispensabili al buon funzionamento dell'economia e la corruzione è destinata a diminuire, e di molto.
La strada indicata dai burocrati della UE, e destinata a trovare entusiastiche adesioni fra gli italici forcaioli, è invece diametralmente opposta: più regole, più controlli, più potere ai magistrati, meno garanzie a tutela delle libertà dei cittadini. Cosi sulle deboli spalle di economie sempre più in crisi continueranno a gravare il peso di una pressione fiscale esagerata, di normative spesso demenziali, della corruzione, e a queste si aggiungerà il peso di inchieste giudiziarie spesso scarsamente fondate e quasi sempre, in Italia almeno, di secolare lunghezza. Tanto per parlare chiaro, perché non si calcola, ogni tanto, il peso economico della cattiva giustizia? Quanti sono i lavori fermi in seguito ad inchieste di cui non si intravede mai la fine? Quante le attività interrotte, i milioni di euro gettati al vento, le energie sprecate? Sarebbe interessante riuscire ad appurarlo.
Ma non riusciremo mai a saperlo, probabilmente. Sono in troppi oggi, in Italia e non solo, ad essere interessati a che si diffonda sempre più una mentalità da “dagli all'untore!”.
Tutti strillano “dagli all'untore!”, sia i demagoghi ignoranti che molti raffinati euroburocrati. I primi fanno del giustizialismo forcaiolo la base del loro successo politico, i secondi possono, accusando i moderni untori, stendere un pesante velo di omertà sulle malefatte della loro politica. L'euro, le politiche di austerità, la smania programmatoria della UE sono innocenti, colpevoli di tutto sono solo gli evasori ed i corrotti.
La caccia all'untore non permise di sconfiggere la peste, quella all'evasore corrotto, presentato come la causa di tutti i mali, non permetterà di uscire dalla crisi, di questo possiamo star certi. Aggiungerà solo danno ai danni, soprattutto, renderà noi tutti un po', o forse molto meno, liberi. Purtroppo.

domenica 2 febbraio 2014

UNA VERGOGNA SENZA FINE



La vicenda dei marò diventa tutti i giorni più intricata e più indecente. Pare che la magistratura indiana voglia accusarli nientemeno che di terrorismo. Due militari impegnati in missione antipirateria diventano terroristi e di fronte a loro torna ad delinearsi l'ombra del capestro.
L'Italia cerca di fare la voce grossa, chiede aiuto all'Europa, come se l'Europa contasse qualcosa nella politica internazionale. Riporteremo a casa i due marò, affermano i “nostri” ministri. Però...però i due marò erano già a casa ed il governo italiano presieduto da Mario Monti li ha rispediti in India, violando la legge e la costituzione (a proposito di “legalità”...)
La legge italiana infatti affermava:

Se per il fatto per il quale è domandata l'estradizione è prevista la pena di morte dalla legge dello Stato estero, l'estradizione può essere concessa solo se il medesimo Stato dà assicurazioni, ritenute sufficienti sia dall'autorità giudiziaria sia dal ministro di grazia e giustizia, che tale pena non sarà inflitta o, se già inflitta, non sarà eseguita.
Però la corte costituzionale, con sentenza 27 giugno 1996, n. 223 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della norma. Per la suprema corte anche nel caso in cui ci sia garanzia che la pena di morte non verrà applicata l'Italia NON può estradare nessuno in paesi in cui questa viga per il reato contestato. Rispedire i marò in India è stato un atto illegittimo, incostituzionale, oltre che disumano e politicamente indecente.

Come andrà a finire questa vicenda allucinante? Non lo so, male temo. Forse i due marò saranno condannati a una decina d'anni di carcere e qualche gaglioffo dirà che si tratta di una “vittoria” perché la pena di morte è stata evitata. Non è neppure improbabile che qualche giustizialista forcaiolo cominci a strillare che non si deve interferire con il lavoro della magistratura indiana. Da suo punto di vista avrebbe ragione, in fondo. Solo la magistratura italiana deve essere “indipendente”, cioè, onnipotente? Quella indiana deve sottostare a pressioni politiche? E' deprimente stare a sentire persone per le quali la parola di un magistrato equivale, più o meno, a quella di Dio, discettare di “pressioni” sull'India nel caso dei due marò.

Se davvero il governo italiano vuole riportare a casa i due fucilieri può farlo abbastanza facilmente, in fondo. Latorre e Girone sono a piede libero, per ora, hanno accesso all'ambasciata italiana. Ebbene, potrebbero essere tenuti al sicuro nei locali dell'ambasciata, ci si potrebbe rifiutare di consegnarli alla polizia indiana, magari li si potrebbe far prelevare da un elicottero militare e portarli in salvo. Ma, qualcuno vede l'Italia impegnata in una simile operazione?

Azzardo un'altra previsione. Non credo che il governo americano estraderà in Italia Amanda Knocks. Gli americani non hanno nessuna fiducia nella giustizia italiana, la considerano una sorta di lotteria, e non hanno torto. Qualcuno ricorda il film “fuga di mezzanotte”? Racconta la storia, vera, di un ragazzo americano condannato in Turchia ad una lunghissima pena detentiva perché trovato in possesso di un po' di "erba". Il ragazzo riuscì a fuggire e si rifugiò nella ambasciata del suo paese che si guardò bene dal riconsegnarlo ai turchi. Sono “arroganti” gli americani? NO, difendono i loro cittadini quando li ritengono vittime di ingiustizie. L'Italia invece rispedisce in India due suoi soldati, catturati con l'inganno, per un fatto avvenuto in acque internazionali. Una vergogna senza fine.