venerdì 26 settembre 2014

ISIS ANTI ISLAM?



Sono in tanti, fra i radical chich ad affermarlo, in coro: l'Isis uccide molti mussulmani, anzi, uccide più mussulmani che occidentali, quindi si tratta di una forza anti islamica. Se ho capito bene il senso di certe dichiarazioni pare che anche la presidente della camera, l'inarrivabile signora Boldrini, si sia unita a questo coro.
L'Isis uccide anche molti mussulmani, quindi è anti islamico. Con questo ragionamento Hitler sarebbe stato antinazista perché nella notte dei lunghi coltelli ha fatto massacrate Ernest Rohm e le camicie brune, nazisti della prima ora. E Stalin sarebbe stato anticomunista perché ha fatto fucilare un sacco di comunisti, anzi, il dittatore sovietico sarebbe stato... antistalinista visto che ha fatto fucilare fior di stalinisti, morti gridando “viva Stalin”. Mao poi sarebbe il campione degli antimaoisti, visto che, insieme a svariati milioni di cinesi, ha fatto fuori il suo più fedele e fanatico sostenitore: Lin Piao. E Torquemada, il grande inquisitore, sarebbe stato un fervente nemico del cattolicesimo, perché ha fatto ardere vivi molti cattolici in sospetto di eresia.
Le religioni fondamentaliste, comprese le grandi, intolleranti, religioni atee e mondane, sono in guerra costante non solo contro i non credenti, ma anche contro gli eretici, gli scismatici, i deviazionisti. Le guerre di religione non si combattono, di solito, fra credenti e non credenti, ma fra credenti in diversi Dei o, ancora più spesso, fra credenti nello STESSO DIO. Considerazioni simili possono farsi per le guerre ideologiche. Ogni fondamentalismo, ogni ideologia assolutista odiano il libero pensiero, ed odiano nel contempo le ideologie ed i fondamentalismi rivali.
Nel buddismo esistono diverse correnti di pensiero, ma non mi risulta che i buddisti si sgozzino fra di loro per stabilire chi ha ragione. E le guerre fra cattolici e protestanti sono, oggi, un ricordo, mi pare. L'Islam è oggi la sola religione scossa da tragiche guerre intestine. Questo la dice lunga sul suo carattere di “religione di pace”.
Certo, l'Isis è oggi il nemico principale, da abbatter ad ogni costo. Per batterlo possono andar bene, forse, anche alleanze “spregiudicate”. Ma guai a far finta di credere che tutti coloro che oggi, per i più svariati motivi, sono o si dicono contro l'Isis, possano davvero essere considerati “moderati” o “laici” o “democratici”, o, comunque, nostri ”amici”. Il nostro alleato vero, il nostro vero amico in medio oriente è LO STATO DI ISRAELE. Cerchiamo di non dimenticarlo.

lunedì 22 settembre 2014

BERSANI ED IL "CONCETTO" DI REINTEGRO




Bersani è tornato a parlare. La cosa mi fa piacere perché ciò vuol dire che le sue condizioni di salute sono buone. Però, modo peggiore per farsi sentire non poteva scegliere. Parlando dell'articolo 18 ha detto che “il concetto” il reintegro esiste in TUTTA EUROPA. Ma, cosa vuol dire che in Europa esiste ovunque il “concetto di reintegro”? Il “concetto" di reintegro esiste anche negli USA, perché anche in quel paese è possibile formulare un simile concetto. Il problema è: un simile “concetto” trova applicazione nelle leggi concretamente esistenti? La risposta è NO.

Vediamo qualche esempio.

BELGIO. non esiste per il lavoratore il diritto al reintegro, pur essendo quest'ultimo possibile, ma al risarcimento, che comprende il periodo di preavviso e un rimborso danni pari a sei mensilità.

FINLANDIA. Il reintegro sul posto di lavoro è ammesso ma NON PUO' essere imposto per legge. Nel caso in cui il lavoratore sia stato licenziato ingiustamente, è risarcito con una somma che oscilla da tre a venti mensilità. Una misura particolare poi, prevede il diritto del lavoratore alla formazione per mantenere la professionalità. Inoltre, il lavoratore licenziato ha la priorità nelle nuove assunzioni.

FRANCIA. Come in Finlandia, l'ordine di reintegro è ammesso ma NON PUO' essere imposto. La somma del risarcimento per il lavoratore va da un minimo di 6 mensilità a oltre 24.

GERMANIA. In questo Paese è previsto che il datore di lavoro reintegri il lavoratore licenziato ingiustamente. In alternativa il datore di lavoro, spiegando le ragioni che rendono impraticabile il reintegro, deve risarcire il lavoratore con un’indennità da 12 a 18 mensilità in base all'anzianità di lavoro.

OLANDA. Il datore di lavoro può scegliere se reintegrare il lavoratore o in alternativa versargli un'indennità.

REGNO UNITO. Nessun diritto di reintegro. Il risarcimento prevede: un rimborso base pari a 6600 sterline, un importo compensatorio di 12 mila sterline ed eventualmente degli importi speciali. L'unico caso in cui è ammessa il reintegro del lavoratore è quella di licenziamento per "motivo illecito", come la discriminazione per motivi politici o razziali. E' solo il caso di aggiungere che questo caso continua ad essere previsto anche nella proposta presentata in Italia.

SPAGNA. Per l'attuale legge spagnola l'ordine di reintegro è facoltativo. Il datore di lavoro può optare per il risarcimento al lavoratore tramite un'indennità pari a 33 giornate lavorative per ogni anno di anzianità.

SVEZIA. Il licenziamento può avvenire solo per grave disobbedienza o per ristrutturazione dell'azienda. Il giudice può imporre il reintegro o il risarcimento dei danni più le retribuzioni maturate dal momento del licenziamento fino al termine della sentenza. Se il datore di lavoro nega il reintegro deve corrispondere un'indennità che va da 16 a 48 mensilità. Anche in Svezia quindi NON ESISTE l'obbligo del reintegro. Da notare che il licenziamento è “lecito” in caso di ristrutturazione aziendale.

SVIZZERA. In questo Paese infine non esiste il diritto di reintegro, ma solo un risarcimento pari a un’indennità limitata al periodo di preavviso

Se Bersani, parlando di "concetto di reintegro" si riferisce al fatto che in molti paesi europei il datore di lavoro può optare per il reintegno in alternativa al pagamento di una indennità, ha ragione. Però NON è di questo che si discute in Italia. Il famoso reintegro è in Italia obbligatorio per il datore di lavoro. Il giudice da ragione al lavoratore e l'imprenditore deve reimtegrarlo. E' il lavoratore ad avere semmai il diritto di scegliere il pagamento di una indennità. Forme di reintegro simili a questa esistono solo in Austria, Grecia e Portogallo.
Se poi passassimo dalla vecchia Europa agli USA le cose cambierebero ancora, e non certo nella direzione che Bersani auspica. Ognuno ovviamente ha il diritto di dire che il reintegro è ottima cosa, che i legislatori inglesi, belgi e svizzeri hanno sbagliato e quelli italiani no. Però, visto che si equipara il non reintegro ad una sorta di crimine contro i lavoratori, e quasi si fa dipendere dal diritto al reintegro la vita della democrazia, si dovrebbe avere il coraggio di dire che paesi come gli USA, o il Regno Unito, o il Belgio sono una sorta di inferno per chi lavora e non sono vere democrazie. Vera democrazia sarebbe solo l'Italia, dominata dalla casta sindacale, e da altre non meno aggressive corporazioni. Opinioni...

mercoledì 10 settembre 2014

QUALCHE BREVISSIMA PRECISAZIONE STORICA SUI PROFUGHI

Il problema dei profughi palestinesi inizia con la guerra del 1948 49. Questa guerra, come si sa, meglio, come si DOVREBBE SAPERE, nasce dal rifiuto arabo della risoluzione dell'ONU che divideva la “Palestina”, dando vita a DUE stati, uno arabo e l'altro ebraico. Il problema si aggraverà poi con la guerra dei sei giorni, conseguenza del tentativo di una grande coalizione di stati arabi, guidata dall'Egitto di Nasser, di cancellare dalla faccia della terra lo stato di Israele. La cosa che pochi sanno è che, se c'è stata nel 1949 una fuga di molti arabi dal neonato stato di Israele, c'è stata anche una espulsione di massa di ebrei dagli stati arabi.
“Tra gli arabi palestinesi più di mezzo milione di individui avevano abbandonato le terre d'origine” ricorda Claudio Vercelli in “Breve storia dello stato di Israele” (Carocci 2010). “Impossibile stabilire con assoluta certezza il numero esatto perché gli abbandoni, motivati da più fattori, tra cui l'effetto delle opposte propagande, si succedettero nel corso del tempo, a partire dal 1947 per poi continuare fino al 1949”.
Parallelamente ebbe luogo un processo di “espulsione in massa degli ebrei dai paesi arabi. L'evento si consumò anch'esso in ondate successive. Nel 1948 vivevano nei paesi dell'area mediorientale, comprendendovi i paesi che vanno dal Marocco all'Iraq, circa 856.000 ebrei (…) da quell'anno, in uno stillicidio di espulsioni o di abbandoni, durato in maniera pressoché continua fino al 1954, il 95% emigrò forzatamente verso Israele (600.000) o le Americhe e l'Europa (200.000).”

Malgrado la propaganda ufficiale lo nasconda il problema dei profughi non riguardò solo i palestinesi, ma sia i palestinesi che gli ebrei. Ci furono insomma DUE problemi dei profughi. Con una differenza: Israele non mise mai in atto una politica di deliberata espulsione delle popolazioni arabe (anche se ci furono tentazioni simili in alcuni settori della politica israeliana). In Israele la popolazione araba vide riconosciuti i propri diritti, a partire dalla fondamentale libertà di culto. In Israele, ricorda sempre il Vercelli, esistono “corti mussulmane” che decidono su determinate questioni, nell'ambito ovviamente dell'osservanza delle leggi israeliane. Alla fine degli anni '90 esistevano in Israele, uno stato che ha, più o meno, le dimensioni della Lombardia, non meno di CENTOOTTANTA moschee.
La differenza sta tutta nel modo diverso con cui i profughi reagirono alla loro condizione. Gli ebrei costretti ad abbandonare i paesi arabi in cui vivevano da secoli si integrarono nei paesi che li avevano accolti, i palestinesi no. Dal momento della fuga iniziarono a vivere in campi profughi sognando il “ritorno” nelle loro terre d'origine. In Giordania, in Siria, in Libano, ovunque, diedero o vita ad autentici stati negli stati cercando di spingere i vari governi alla guerra contro Israele. Non a caso sorsero conflitti sanguinosi fra profughi palestinesi e chi li aveva ospitati.
E si che i profughi palestinesi si trovarono a vivere in paesi che, per cultura e tradizioni, avrebbero dovuto favorire la loro integrazione. La Giordania in particolare. Non molti lo sanno ma i territori su cui sorge la attuale Giordania facevano parte del mandato britannico sulla “Palestina”. La Giordania attuale è, se vogliamo essere rigorosi, uno stato palestinese. Eppure fra profughi palestinesi e governo Giordano sorsero, come si sa, (o si dovrebbe sapere) contrasti durissimi che portarono ai massacri del “settembre nero”.

La storia, quella vera, è sempre più complessa delle favolette della propaganda. Ma tanti conoscono, o vogliono conoscere, solo quelle favolette.


sabato 6 settembre 2014

I NUOVI TORQUEMADA



Magdi Cristiano Allam sarà “processato” dall'ordine dei giornalisti. Rischia il posto, non molto per uno come lui che è stato condannato a morte dai nostri fratelli mussulmani e per le cose che da tempo scrive e per il fatto di essersi convertito al cristianesimo, cosa che i nostri fratelli considerano degna della pena capitale.
Secondo l'ordine Allam avrebbe scritto articoli in cui “non compaiono valutazioni critiche per fatti di cronaca circostanziati ma affermazioni di carattere generale sulla religione islamica e coloro che la osservano, con una generalizzazione che colpisce anche quanti, moderati, tra i circa due milioni presenti in Italia, rispettano le leggi del Paese che li ospita”.
L'”accusa” è degna del tribunale della santa inquisizione o, a scelta, di qualche corte islamica. Allam ha fatto “affermazioni di carattere generale sulla religione islamica”. Ora, da quando in qua fare “affermazioni di carattere generale” è un reato? “Il capitalismo procura miseria e guerre”. “Il nazismo è una dottrina razzista”. “Il comunismo è incompatibile con la democrazia liberale”. Tutte queste sono affermazioni di carattere generale, ed altre, moltissime altre, se ne potrebbero aggiungere, riguardanti praticamente tutti i campi della vita, teorica e pratica, degli esseri umani. Per gli inquisitori dell'ordine dei giornalisti Allam si sarebbe dovuto limitare a commentare “fatti di cronaca circostanziati”, senza fare affermazioni di carattere generale. Insomma, se un islamista sgozza un giornalista questo dovrebbe riguardare solo quel certo tagliagole e quel certo giornalista. Ogni considerazione “generale” sulla cultura di quel tagliagole, sulla società in cui vive ed in cui si è formato, sul movimento politico a cui appartiene dovrebbe essere bandita. Gli eventi politici e sociali dovrebbero essere trasformati in fatti di cronaca nera, meri avvenimenti, privi di dimensione generale. Tizio ha sgozzato Caio, Sempronio si è fatto esplodere in una pizzeria, nella piazza di un tal paese arabo una donna è morta perché colpita da numerose pietre che Tizio, Caio e Sempronio le hanno scagliato. Fatti, eventi rigorosamente delimitati, isolati da ogni contesto economico, sociale, culturale, questo, solo questo, dovrebbe contare per i saggi dell'ordine dei giornalisti. Però, dietro a questa pretesa di estrema, asettica e falsa oggettività sta, di nuovo, una concezione ben precisa: quella secondo cui la vita degli esseri umani si riduce ad una serie di eventi scollegati fra loro, isolati da ogni contesto, e questa è, di nuovo, una affermazione di carattere generale. Gli inquisitori burocrati dell'ordine dei giornalisti sono troppo poco intelligenti per rendersene conto, ma agli esseri umani è impossibile fare affermazioni di qualsiasi tipo prive di una dimensione “generale”.

Merita un commento particolare la affermazione degli inquisitori dell'ordine secondo cui Alam nei suoi articoli avrebbe fatto generalizzazioni che colpiscono “anche quanti, moderati, tra i circa due milioni presenti in Italia, rispettano le leggi del Paese che li ospita”.
Insomma, se io affermo che la religione islamica è incompatibile con la democrazia liberale questo colpirebbe indebitamente il signor Ali', mussulmano che vive a Milano e che tutti conoscono come ottima persona. Con questo modo di ragionare io non potrei affermare, ad esempio, che il comunismo è una dottrina eversiva, perché, così facendo, colpirei il signor Rossi, metalmeccanico di Busto Arsizio, iscritto al partito comunista ma rigorosamente rispettoso di tutte leggi.
Solo persone “diversamente intelligenti” possono ragionare in questo modo. In realtà dal fatto che il comunismo sia una dottrina eversiva non deriva che tutti i comunisti si comportino da eversori, né dal fatto che l'Islam non rispetti i diritti delle donne deriva che tutti i mussulmani trattino in maniera violente le donne con cui vivono. Fra il generale ed il particolare sta tutta una serie, spesso assai tortuosa, di mediazioni che impediscono che dal primo segua meccanicamente il secondo. Il signor Rossi è comunista però ritiene (sbagliando, ma questo ha poca importanza) che il comunismo sia compatibile con la democrazia, teorizza la lotta di classe, però è amico del suo datore di lavoro, pensa che prima o poi scoppierà una rivoluzione violenta, ma è una persona di indole pacifica e mai farebbe del male ad un essere umano. Il mondo è pieno, addirittura traboccante, di felici incoerenze, per fortuna. E queste incoerenze felici sono parte essenziale delle nostre vite, del modo in cui ci rapportiamo gli uni agli altri. In occidente sono state pienamente accolte nel sistema giuridico, il loro riconoscimento è parte fondamentale dei codici civili e penali. Qui da noi, in occidente, si giudicano i fatti e non le idee, i comportamenti e non le filosofie politiche, le azioni e non le teorizzazioni. Ma tutto questo non conta per i nuovi Torquemada. Per loro chi critica l'Islam vorrebbe, o dovrebbe volere, la morte di tutti i mussulmani ed andrebbe trattato come un assassino. Con un salto che ci riporta al medio evo gli inquisitori dell'ordine dei giornalisti dimenticano principi banali, elementari che costituiscono il fondamento stesso della nostra civile
convivenza.

Per i Torquemada dell'ordine dei giornalisti Magdi Cristiano Allam sarebbe affetto da “islamofobia”. Ne sarebbero prova i suoi articoli in cui denuncia le innumerevoli aggressioni del fondamentalismo islamista all'occidente. Per l'ordine dei giornalisti non esiste alcun collegamento fra l'attentato alle torri gemelle ed una religione che predica la Jihad. Il fatto che i militanti di Hammas affermino che “una terra che è stata islamica deve tornare ad esserlo, fino al giorno del giudizio” è per loro un mero caso, privo di retroterra culturale. Chi nega un simile modo di vedere le cose è un “islamofobo”, quindi poco meno che criminale.
La cosa “divertente”, si fa per dire, è che gli stessi che parlano ad ogni piè sospinto di “islamofobia” neppure sospettano che ci possa essere, e sia diffusissima, una “americofobia” o una “israelofobia”. Eppure in certi giornali, o in certi programmi televisivi, gli Stati uniti ed Israele vengono presentati come la causa di tutti, o quasi, i mali del mondo. Israele, unico stato democratico del medio oriente, viene descritto come “stato apartheid”, razzista, violento; quanto agli Usa, beh, da quando sono nati sono i responsabili di tutti gli eventi tragici della storia, compresi gli attentati dell'undici settembre. Dietro a questo modo di “ragionare”, si fa sempre per dire, non c'è ovviamente fobia alcuna, per i Torquemada dell'ordine dei giornalisti.
Ma, ammettiamolo pure. Magdi cristiano Allam è affetto da islamofobia. E allora? Islamofobia significa, letteralmente, paura, avversione nei confronti dell'islam. Qualcuno aggiunge che si tratta di paura ed avversione dettate da preconcetti, pregiudizi. Ammettiamo anche questo. E allora? Non c'è proprio nulla da temere, non c'è niente da “avversare” in una religione i cui fedeli si fanno esplodere pur di massacrare degli “infedeli”? Non è lecito avere qualche “preconcetto” nei confronti di una fede che prevede la lapidazione delle adultere, la poligamia, l'infibulazione, la pensa di morte per apostati e bestemmiatori? Persone che accettano la laicità dello stato non hanno il diritto di avere dei “pregiudizi” nei confronti di una religione che la nega con la massima violenza? Soprattutto, è lecito trasformare questa paura e questa avversione, questi preconcetti e questi pregiudizi in un reato? Siamo tutti obbligati ad amare l'Islam? Deve essere interdetto parlare di quanto esiste di inaccettabile in questa religione? Chi sarà sfiorato dal dubbio che forse l'Islam non è, come ripetono in maniera martellante i media tutti i giorni, una “religione di pace” rischierà di perdere il posto da lavoro, magari di finire in galera? In occidente non esiste, per ora, la Sharia, ma i Torquemada dell'ordine dei giornalisti stanno preparando un suo sostituto “morbido”. I nemici, veri o presunti, dell'Islam non saranno decapitati ma perderanno il posto di lavoro, forse finiranno in galera per un po' di tempo, di certo diventeranno dei paria sociali. Esaltante prospettiva.

Basta guardarsi un po' attorno per constatare che la “islamofobia” di Allam, vera o presunta che sia, si basa su fatti incontestabili. Sono invece le tesi di chi teorizza l'islam “moderato” ad avere pochi riscontri nella realtà. Terrorismo, attentati suicidi, si dice, sono deviazioni, distorsioni dell'autentico messaggio coranico. Benissimo, può darsi che questo sia vero, personalmente ne sarei felice, penso lo sarebbe anche Magdi Cristiano Allam. Però, a chi spetta l'onere della prova? La risposta è ovvia, direi: se io sostengo X, ed X è contraddetto tutti i giorni dalla comune esperienza umana, sono io a dover dimostrare che X esiste. L'onere della prova è sempre a carico di chi difende tesi che l'esperienza sembra contraddire o quanto meno non confermare e purtroppo la tesi dell'esistenza di un Islam moderato e politicamente rilevante non sembra trovare molte conferme empiriche.
Per affrontare il problema in maniera non mistificante, bisogna inoltre porsi una ulteriore domanda:
chi possiamo definire “moderato”? Non si tratta di un quesito di poco conto. Cosa avremmo detto noi nel 'cinquecento ad un inquisitore che avesse affermato che i roghi dei liberi pensatori sono una distorsione del messaggio cristiano? Più o meno gli avremmo detto, penso, questo: “benissimo, siamo disposti a crederti, però, tu intento smettila di mandare al rogo presunte streghe e liberi pensatori”. E cosa avremmo dovuto pensare se questo inquisitore, subito dopo aver definito i roghi una “distorsione del cristianesimo”, avesse continuato a far ardere vivi filosofi scomodi e presunte streghe? O se avesse detto che i roghi sono da condannare in Italia ma non in Spagna, o che i roghi vanno si, aboliti, ma solo per essere sostituiti dalle decapitazioni o dal carcere a vita? Fermo restando che il carcere a vita è meglio del rogo, avremmo potuto definire “moderato” un simile inquisitore? Non avremmo avuto buone ragioni per provare, anche nei suoi confronti, una certa ostilità, per nutrire comunque, anche verso di lui, preconcetti e pregiudizi?
Nei confronti dell'Islam siamo oggi in una situazione simile. Alcuni stati islamici collaborano nella lotta al terrorismo, ed è giusto concludere con questi accordi diplomatici, magari anche militari; però la condizione della donna in questi stati resta inaccettabile, e le libertà civili, per uomini e donne, del tutto assenti. E' lecito avere una politica pragmatica nei confronti di questi stati, ma lo è anche dimenticare gli obbrobri che comunque li caratterizzano? E' lecito, in nome dei necessari accordi diplomatici ed economici, far finta di non vedere le adultere frustate o lapidate, o gli apostati condannati a morte, o i matrimoni combinati fra uomini sessantenni e bambine tredicenni? La capacità di far distinzioni deve tradursi nella rinuncia alla lotta ideale e politica, alle pressioni economiche nei confronti di quelle parti dell'Islam con cui non sarebbe realistica la scelta dello scontro armato?
I Torquemada dell'ordine dei giornalisti fanno proprio questo, in fondo: propongono che non si parli più del fondamentalismo assassino, nei cui confronti l'unica scelta possibile è quella militare, e che meno ancora si parli di tutto ciò che nell'Islam ripugna la nostra coscienza democratica. Al posto del rapporto, articolato quanto si vuole ma chiaro sui principi, nei confronti dell'Islam propongono una politica mielosa, cieca, assurdamente buonista. Propongono in parole povere che noi si rinunci ai nostri valori, o che per lo meno che questi valori si annacquino di molto, proprio mentre molti di loro ci sparano, e gli altri, quelli che non ci sparano, non rinunciano comunque a nulla di ciò che li caratterizza e che è per noi assolutamente inaccettabile.

Da tempo il “politicamente corretto” sta erodendo in occidente la libertà di pensiero. I teorici del politicamente corretto stanno trasformando in insulto ogni tesi che contrasti i loro paradigmi. Un cattolico che definisca “peccato” l'omosessualità, o un medico che la consideri una “malattia”, o un antropologo che consideri una certa cultura inferiore ad un'altra, sono considerati non persone che esprimono discutibili opinioni ma qualcosa di simile a criminali a cui si deve tappare la bocca. Se tu affermi X io considero X un “insulto” e mi sento “offeso”. Quindi, poiché tu non hai il diritto di offendermi, io chiedo che ti sia tolta la possibilità di dire X. Questo è, in breve, il modo politicamente corretto di affrontare qualsiasi discussione. Certo, non è lecito offendere nessuno, ma nessuno ha il diritto di dichiararsi “offeso” ogni volta che qualcuno afferma cose che non condivide e di chiedere di conseguenza che al suo interlocutore venga impedito di parlare. La libertà di pensiero, e di espressione del proprio pensiero, è per noi assolutamente fondamentale e questa libertà poggia, fra le altre cose, proprio sulla capacità di distinguere la libera espressione del pensiero dall'insulto, e sul rifiuto di ridurre la prima al secondo.
La distinzione fra insulto ed argomentazione può a volte essere difficile. In tutto tracciare dei confini netti è sempre problematico. Quando un bambino cessa di essere tale e diventa ragazzo, e quando il ragazzo uomo? Impossibile stabilirlo con scientifica precisione, però ognuno sa distinguere un bambino di quattro anni da un uomo di quaranta. Allo stesso modo, anche un bambino coglie benissimo la differenza fra il dire:”tu sei un imbecille” ed il dire: “le cose che hai detto sono sbagliate per i seguenti motivi...”. La difficoltà nel tracciare confini precisi fra argomento ed insulto non rende impossibile, e neppure troppo difficile, coglierne le differenze, al contrario. Se tutti non facessimo altro che “offenderci” per ciò che gli altri dicono non solo ogni dialogo ma ogni forma di civile convivenza fra gli esseri umani diventerebbero impossibili. Gli unici rapporti fra gli uomini sarebbe la guerra di tutti contro tutti o una universale, fredda estraneità.

All'interno del “politicamente corretto” si è sempre più consolidata una tendenza che potremmo definire l'islamicamente corretto. L'islamicamente corretto prescrive i canoni che siamo obbligati a seguire se non vogliamo che le nostre affermazioni siano considerate “insulti” dai nostri fratelli mussulmani. Gli atti di terrorismo non riguardano l'Islam ma singoli individui che, casualmente, sono di fede mussulmana. Il giudizio politico su un movimento religioso e socio politico deve essere sostituito da considerazioni di carattere giuridico riguardanti i singoli. Chi è l'individuo che si è fatto esplodere? Chi ha sgozzato il tale? Ci si deve fermare qui, senza fare “osservazioni di carattere generale”. Peccato che a volte i nostri fratelli si sentano “offesi” anche da considerazioni strettamente giuridiche, inerenti i singoli. Sono loro a fare quelle generalizzazioni che noi ci rifiutiamo di fare. La prossima tappa dell'islamicamente corretto potrebbe essere la rinuncia a cercare i colpevoli di singoli atti terroristici...
E le altre caratteristiche dell'Islam? Come la mettiamo con quelle? Molto semplice: si tratta “deviazioni” che non possono in alcun modo spingerci ad affrettate condanne. Il vero islam è una religione di pace e di tolleranza, è laico, compatibile con la democrazia, l'emancipazione femminile, la libertà di pensiero e via dicendo. Tutto il resto è “distorsione”, “deviazione” che offre una immagine falsa dell'Islam. Quindi, per evitare che questa immagine si diffonda, è bene parlare poco di lapidazioni, infibulazioni e sgozzamenti vari, meglio ancora, non parlarne affatto. E chi ne parla è un “islamofobo” che è bene ridurre al silenzio. Prima si sostituisce un islam virtuale a quello reale, poi si tappa la bocca a chi continua a parlare del reale ignorando il virtuale. Anche questa però è una tattica destinata a fallire. Perché moltissimi estremisti islamici si sentono “offesi” dalla sostituzione di un Islam posticcio all'Islam reale. Non vogliono un Islam laico, viglio l'Islam teocratico, reclamano il califfato. E si offendono con le anime belle dell'occidente che confondono il califfato con lo stato laico. E così la prossima tappa dell'islamicamente corretto potrebbe essere la accettazione di una qualche forma di califfato, in onore del “dialogo multiculturale”, ovviamente.

Magdi Cristiano Allam è stato condannato a morte dal fondamentalismo islamico, lo si è già detto. Condannato a morte per le idee che esprime e per la sua conversione al cristianesimo. Già quella fu, a suo tempo, guardata con malcelato fastidio da molti occidentali politicamente corretti. Va bene convertirsi, ma farsi battezzare dal Papa... che esagerazione. I nostri fratelli mussulmani considerano la apostasia un reato degno della morte... non diciamo che Magdi Allam non doveva convertirsi, ma, poteva farlo senza tanta pubblicità, con discrezione, di nascosto... Così ragionano i “buoni” di casa nostra. I mussulmani possono ostentare la propria fede, gli altri devono nasconderla. Fra un po' raccomanderanno a tutti di festeggiare il Natale rigorosamente in privato, magari si dovrà andare a lavorare il giorno di Natale, se no qualcuno potrebbe “offendersi”.
Il processo cui i Torquemada dell'ordine dei giornalisti intendono sottoporre Allam è tristemente emblematico. Un intellettuale condannato a morte dal fondamentalismo islamico processato per islamofobia! L'aggredito diventa aggressore, la vittima dell'odio viene presentata come un fomentatore di odio. Ma si tratta solo della punta dell'iceberg. Dietro a questo processo assurdo c'è una serie infinita di cedimenti, viltà, autocensure che giorno dopo giorno stanno distruggendo i valori su cui si fonda la nostra civiltà. Senza una scossa, uno scatto d'orgoglio, l'occidente, specie nella sua culla, l'Europa, è morto. Ecco perché difendere Magdi Cristiano Allam dall'attacco vergognoso di cui è vittima è un dovere morale per tutti coloro che amano la libertà. Lo ripeto, per tutti, indipendentemente dal fatto che si condividano o meno le idee del giornalista di origine egiziana. Perché, come ebbe a dire un certo Voltaire, se un uomo è perseguitato per le sue idee, non occorre condividere le sue idee per difenderlo dai suoi persecutori.