martedì 28 aprile 2015

IL TERREMOTO E I MISTICI




Uno starnuto, un piccolo colpo di tosse e muoiono cinque, sei, diecimila persone, se a starnutire è il pianeta terra. Così vanno le cose. I continenti “galleggiano” su un mare di magma, le placche di cui sono composti si muovono ed ogni tanto si “incastrano” una sotto l'altra. Robetta da poco, movimenti quasi impercettibili, per il pianeta, meno di un niente se il pianeta lo guardiamo dagli spazi cosmici. Ma eventi terrificanti per noi che sul pianeta ci viviamo.
E' così la natura: affascinante, bellissima ma estranea a tutto ciò che per noi ha valore.
Stelle e pianeti nascono e collassano. Fra un po' collasserà il sole, si , proprio lui, quello che i mistici dell'ecologia amano sopra ogni cosa, e raffigurano con un faccino luminoso e sorridente. Fra quattro, cinque miliardi di anni, una inezia, quel bel faccino collasserà ed allora per il nostro pianeta, e per i suoi eventuali abitanti, le cose si metteranno davvero male. Un dramma, una immane tragedia? SI, per noi, per i nostri lontani posteri, NON per “la natura”. Per l'universo, che su un piccolo pianeta ci sia vita o morte, che una stella od un pianeta collassino o no, non fa differenza alcuna. Lo avevano capito alla perfezione Leopardi e Schopenhauer, quali che siano le critiche che è possibile muovere al loro pensiero: cercare una finalità nella natura, raffigurarla come “buona” o “cattiva” è privo di senso. Se esistono una finalità o una bontà nella natura queste restano misteriose per noi umani; solo la fede, la fiducia negli imperscrutabili disegni divini, può garantirle. Per ciò che noi possiamo capire la natura non è né buona né cattiva, semplicemente è indifferente.

Ma tutto questo non piace ai mistici dell'ecologia. Per questi la natura è “buona” ed “armoniosa”. La terra, loro la chiamano Gaia, è un organismo vivente che mira alla conservazione ed alla vita di tutte le sue parti. E quando accade qualcosa che non quadra con questa visione da mito, o da cartone animato, si cerca subito un colpevole, ed il colpevole non può che essere l'uomo.
Le catastrofi naturali non esistono, siamo “noi” a provocarle. I terremoti sono causati, dicono i paranoici del complotto, da bombe atomiche che i “signori della terra” piazzano nei fondi degli oceani per perseguire i loro scopi malvagi. E una vegana estremista, ma coerente, ci assicura che il terremoto in Nepal è una giusta punizione per i nepalesi che, dice lei, sono un po' troppo carnivori, quindi violentano madre natura. Si potrebbe obbiettare che il terremoto ha ucciso anche capre e cavalli, o che non sono solo i nepalesi, né solo gli umani, a mangiare carne, o ancora che nulla è più naturale dei processi metabolici che trasformano carne e tessuti delle prede in carne e tessuti dei predatori, umani o non umani che siano. E si potrebbe anche rispondere ai complottisti paranoici ricordando loro che nel 1755 un terremoto provocò a Lisbona tra i 60.000 e i 90.000 morti, e nel 1755 non esistevano le bombe atomiche; i paranoici però non prestano troppa attenzione a simili inezie di carattere storico.  Infine si potrebbe ricordare a tutti i mistici di "Gaia" che l'uomo fa parte della natura, è uno dei risultati, forse transitorio, di un processo di selezione naturale durato milioni di anni. Quindi, se siamo solo esseri naturali, è “naturale”, quindi da accettare, tutto, ma proprio tutto, ciò che facciamo, dalle sinfonie ai genocidi.
Ma sarebbe inutile. Il relativismo postmoderno che affligge l'occidente sta distruggendo tutto ciò che vagamente può essere considerato cultura unitaria. La nostra civiltà appare tragicamente priva di valori condivisi, di visioni del mondo che avvicinino in qualche modo, al di la di tutte le inevitabili, e positive, differenze, gli esseri umani, diano loro la consapevolezza di far parte di una comunità di libere persone.
E questa debolezza culturale, questo intreccio perverso di finta bontà e malvagità autentica, finto spirito critico ed autentica stupidità complottista emerge anche in occasione di catastrofi immani che dovrebbero, una volta tanto, vederci tutti uniti.
Forse non è un caso che l'occidente, con tutta la sua forza economica e militare, appaia, e sia, tragicamente debole di fronte alla sfida del fondamentalismo islamista.

venerdì 24 aprile 2015

VENTICINQUE APRILE




Il venticinque Aprile 1945 è una data importante, da ricordare. Quella data ci ricorda la fine di una dittatura che aveva precipitato il paese ad una guerra disastrosa e segna il crollo del nazismo, una delle due grandi tirannidi totalitarie del secolo scorso. E quella data ha rappresentato, è bene non scordarlo mai, la fine di un incubo orrendo per gli ebrei d'Europa, quelli scampati alla “soluzione finale” sognata e messa in atto con feroce determinazione, dai nazisti e dai loro scherani.
Giusto quindi festeggiare il venticinque Aprile. Giusto farlo a condizione di non scambiare la storia con la sua rappresentazione ideologica.
In effetti la storia della resistenza e, più in generale, del nazismo e del secondo conflitto mondiale, è carica di silenzi, reticenze se non addirittura di autentiche menzogne. Enumerarli tutti, o parlare anche solo dei più importanti con un minimo si approfondimento, è impossibile, mi limiterò quindi a qualche telegrafico esempio.
Per decenni sono state attentamente occultate le enormi responsabilità dell'URSS nello scoppio del secondo conflitto mondiale. Col patto Molotov Ribbentrop Stalin non solo fornì alla Germania nazista l'assicurazione che invadendo la Polonia non si sarebbe esposta ad una guerra su due fronti, ma si divise la stessa Polonia con Hitler. Se si vuole essere rigorosi si deve riconoscere che Francia ed Inghilterra avrebbero dovuto dichiarare, nel settembre del 1939, guerra sia alla Germania che all'URSS, visto che le due democrazie occidentali si erano impegnate a difendere la Polonia e che questa subì due invasioni: una, ad occidente, da parte della Germania nazista e un'altra, quando era ormai già piegata dai tedeschi, ad oriente, da parte dell'URSS.
E tante altre cose sono state per decenni occultate sul conflitto più sanguinoso della storia. Le menzogne decennali sulle fosse di Katyn, le violenze gratuite che seguirono la liberazione in Italia e in altri paesi, il dramma delle Foibe, i bombardamenti anglo americani delle città tedesche, che causarono un numero mostruoso di vittime civili senza avere importanti conseguenze strategico militari. Certo, la ferocia dei crimini nazisti è inarrivabile, ma sarebbe bene che, a settanta anni di distanza dalla sua conclusione, la storia del secondo conflitto mondiale fosse studiata senza pregiudiziali ideologiche, col coraggio di chiamare col loro nome i crimini, da chiunque commessi.

Soprattutto, sarebbe ora di liberarsi del mito della resistenza.
Quando parlo di mito della resistenza non mi riferisco tanto alle sciocchezze di chi afferma che “l'Italia è stata liberata dai partigiani”. Una simile affermazione fa semplicemente sorridere: l'Italia, piaccia o non piaccia la cosa, è stata liberata dagli anglo americani ed il ruolo militare della resistenza partigiana è stato secondario. No, il mito vero della resistenza è un altro ed ha segnato in profondità la storia della nostra repubblica. Secondo tale mito la resistenza è stata condotta da uomini che, al di la delle differenze che pure li caratterizzavano, erano tutti profondamente legati agli ideali di democrazia, libertà, progresso sociale. Fra i resistenti c'erano comunisti e socialisti, democratici cattolici e liberali, uomini con idee, valori e visioni del mondo assai diverse. Tutti però volevano la democrazia, la giustizia, l'indipendenza nazionale. Ciò che li divideva era di gran lunga meno importante di ciò che li univa. Conseguenza di questa concezione è l'idea che l'antifascismo sia stato un valore in se. Non una alleanza temporanea dettata dalla necessità di far fronte ad un nemico potente, ma una visione del mondo davvero unitaria, un coerente sistema di valori.
Tutto questo altro non è che un mito, anche se, come tutti i miti, contiene un frammento di verità. E' vero, i partigiani hanno condotto una lotta comune contro nazismo e fascismo, ma non è vero che avessero fini comuni; i loro fini erano profondamente diversi, anzi, radicalmente opposti. I partigiani comunisti (la maggioranza, va ammesso) volevano trasformare l'Italia in una democrazia popolare del tipo di quelle che furono imposte si popoli dell'est Europa dalla armata rossa. Il loro leader autentico era Giuseppe Stalin e combatterono al fianco degli anglo americani solo perché Stalin in quel momento era loro alleato. Altre formazioni partigiane volevano una repubblica democratica, più o meno “socialmente avanzata”, ma completamente diversa dal tipo di “repubblica democratica” che i “liberatori” sovietici avevano imposto a Cecoslovacchia o Romania, Bulgaria o Germania orientale.
Questa differenza interna alla resistenza ne marca sanguinosamente la storia. La resistenza non è stata lotta unitaria di uomini diversi ma affratellati dalla comune fede antifascista. No, la storia della resistenza è anche storia di crudeli lotte intestine risolte molto spesso a suon di plotoni d'esecuzione. Lotte intestine non solo fra partigiani comunisti e non, lotte intestine, ed autentiche purghe, anche all'interno della resistenza comunista. Ne è prova la vicenda di Pietro Tresso.
Pietro Tresso aveva aderito al Partito comunista d'Italia sin dal 1921 ed era diventato in seguito membro del comitato centrale dello stesso. Espulso dal partito nel 1930 per la sua vicinanza alle tesi di Trotzky, Tresso aderì all'opposizione di sinistra ed in seguito alla quarta internazionale. Partecipò alla resistenza francese e nel 1944 venne fucilato. Non dai nazisti, ma da un gruppo di partigiani stalinisti. Non è un caso isolato. La guerra civile spagnola è stata caratterizzata da purghe sanguinose interne al movimento comunista. Il leader del POUM, una formazione di sinistra filo trotzkista, Andres Nin, venne rapito ed ucciso dagli staliniani. A chi chiedeva loro dove fosse Nin questi usavano rispondere, per dispregio: “A Paris o a Berlin”. Indicativo...

Non è il caso di dilungarsi sui casi particolari. Se davvero la resistenza fosse stata quel grande movimento unitario democratico che si dice non si capisce perché mai il fronte antifascista si sia frantumato dopo la fine della seconda guerra mondiale. L'antifascismo come fenomeno unitario non sopravvisse alla rottura fra i vincitori del nazismo. Eventi drammatici come l'imposizione ai paesi dell'est Europa di ferree dittature comuniste, con la conseguente spaccatura fra USA e URSS, provocarono in Italia la rottura fra comunisti e democristiani e questa trascinò il paese sull'orlo della guerra civile. La melensa retorica sugli “uomini della resistenza uniti dagli ideali dell'antifascismo” non può cancellare il fatto che per alcuni anni quegli uomini furono, letteralmente, sul punto di spararsi addosso. E la stessa retorica sui “padri della repubblica”, tutti considerati autentici democratici, non può cancellare il fatto che uno di quei padri, Palmiro Togliatti, non solo ha responsabilità gravissime, al limite della complicità, nei crimini dello stalinismo, ma rinunciò alla prospettiva insurrezionale solo perché era troppo intelligente da non capire che questa non aveva possibilità di vittoria, vista la presenza, per lui inquietante, in Italia dei marines made in USA.
La cosa più grave è che la nostra costituzione è figlia di questa disomogeneità fra coloro che la hanno scritta. E' vero: la costituzione della repubblica italiana è nata dalla resistenza, ma proprio per questo è una costituzione - compromesso. Intendiamoci, tutte le costituzioni contengono dei compromessi, se non altro per l'ovvio motivo che alla redazione di tutte le costituzioni hanno contribuito forze sociali, politiche, culturali diverse. Ma raramente il compromesso riguarda i valori fondanti dello stato. Questa invece è la caratteristica della nostra costituzione. I padri costituenti erano in parte fedeli seguaci dell'URSS staliniana, in parte democratici cattolici o liberali che guardavano quanto meno con simpatia agli USA. Il documento che è venuto fuori dal loro lavoro è, appunto, un compromesso sui valori. Ne è prova il dibattito che accompagnò in sede di assemblea costituente la redazione del primo articolo della nostra carta costituzionale. I costituenti liberali e democristiani volevano che questo dicesse che l'Italia è una repubblica democratica, quelli comunisti e socialisti (il PSI era allora fedele alleato del PCI) pretendevano che la dicitura fosse: “l'Italia è una repubblica democratica di lavoratori”, qualcosa di simile insomma alla famigerata RDT. Alla fine un democristiano, Fanfani, proporrà la dicitura di compromesso: “l'Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro” che non significa nulla. Il resto della costituzione è fedele a questa linea, con articoli che nella prima parte enunciano principi liberal democratici e nella seconda li attenuano, quando non li contraddicono. Non è un caso che la costituzione repubblicana sia stata “tirata per la giacca” da una parte e dall'altra per cercare di interpretarla in modi spesso diametralmente opposti. La cosa può non piacere ma va riconosciuta, una volta per tutte: la nostra repubblica è nata senza avere a fondamento idee e valori davvero condivisi. Tutta la nostra storia successiva ne è stata condizionata.

Le parole cambiano spesso significato, nel corso della storia. La parola “resistenza” è una di queste. Col termine “resistenza”, inteso in senso storico, si intendeva un tempo la resistenza contro i fascisti ed i nazisti nel corso della seconda guerra mondiale. Poi, lentamente, il termine ha cambiato significato. Questo si è ampliato, fino a comprendere qualsiasi tipo di resistenza contro tutto ciò che una certa parte politica giudica odioso. La “resistenza” contro il nazismo ed il fascismo è diventata di volta in volta “resistenza” contro i padroni sfruttatori, la finanza internazionale, la scuola di classe, gli inquinatori del mondo, o contro partiti antifascisti come la DC o il partito socialista di Craxi, o contro questo o quel governo. Ed oggi è di gran moda la “resistenza” contro il sionismo e chi il sionismo lo difende, o comunque non lo condanna, cioè la stragrande maggioranza degli ebrei.
L'antisemitismo è stata la caratteristica principale della ideologia hitleriana. Un antisemitismo assoluto, paranoico, omicida. Se le cose avessero un senso i primi a sfilare nei cortei che commemorano il 25 aprile dovrebbero essere gli ebrei, e la stella di Davide, quella con cui gli ebrei venivano identificati per essere condotti al macello, dovrebbe aprire tutti i cortei che commemorano la liberazione. Invece no. Nei cortei che commemorano la fine del nazismo la stella di Davide non può essere esposta, al suo posto sventolano le bandiere palestinesi! E poco conta, per i settari che le innalzano al cielo, che i “palestinesi” abbiano collaborato con Hitler nel corso del secondo conflitto mondiale, i settari se ne fregano della storia, di quella vera, la hanno sostituita con la sua immagine ideologica.
La brigata ebraica ha combattuto contro le SS più o meno nello stesso periodo in cui il gran Mufti di Gerusalemme organizzava squadre militari che con le SS collaboravano, ma i nipotini dei collaboratori di Hitler sono oggi fra i protagonisti dei cortei “resistenziali” da cui è esclusa la brigata ebraica. Bisogna avere il coraggio di dire la verità: le celebrazioni del venticinque aprile, o almeno la loro maggioranza, non hanno ormai più nulla a che vedere con lo spirito più positivo della resistenza. Sono o retoriche rimembranze di un tempo ormai lontano o esibizioni di intollerabile settarismo, caratterizzate spesso da un antisemitismo appena mascherato da antisionismo. Se qualcuno avesse detto, 70 anni fa, che un giorno il ricordo della liberazione sarebbe stato caratterizzato dall'antisemitismo tutti si sarebbero messi a ridere. Invece è così che vanno, oggi, le cose. Meglio allora lasciare che i settari manifestino da soli, mischiarsi a loro non ha alcun senso, né alcuna utilità.

martedì 21 aprile 2015

FRA GEOGRAFIA E PALLE, AMENITA' ED IPOCRISIA





Un po' di geografia.

L'Africa ha una superficie di 30.221.532 chilometri quadrati, una popolazione di un miliardo e cento milioni di abitanti con una densità di 33,76 abitanti per chilometro quadrato.
Il medio oriente ha una superficie totale di 7.293.609 chilometri quadrati, una popolazione di 395.677.756 abitanti con una densità di 54 abitanti per chilometro quadrato.
L'Unione europea ha una superficie di 4.326.253 chilometri quadrati, una popolazione di 503.679.730 con una densità di 116,6 abitanti per chilometro quadrato.
L'Italia ha una superficie di 301.430 chilometri quadrati e una popolazione di 60.788.845 abitanti con una densità 201,73 abitanti per chilometro quadrato.
Per farla breve, la popolazione globale di Africa e medio oriente, cioè i paesi da cui provengono in questo periodo il grosso dei flussi migratori, è di circa un miliardo e mezzo di esseri umani, che occupano un territorio di quasi 38 milioni di chilometri quadrati. Cosa succederebbe se anche solo un decimo di questa popolazione, cioè circa 150 milioni di esseri umani, si trasferisse nei paesi dell'unione europea, oltre otto volte meno estesa e con una densità di popolazione già più che doppia rispetto ad Africa e medio oriente? E quali sarebbero per noi italiani le conseguenze se anche solo un decimo di quel decimo, cioè circa 15 milioni di esseri umani, si trasferisse qui da noi? Quali sarebbero per italiani ed europei le conseguenze economiche, politiche, sociali di un simile esodo di massa? Quali le conseguenze culturali, tenuto anche conto che già ora in Europa vivono un gran numero di africani e medio orientali? E perché poi gli immigrati dovrebbero ammontare a solo un decimo degli abitanti dell'Africa e del medio oriente? Perché non dovrebbero trasferirsi da noi due decimi o un terzo di quegli abitanti? I buoni non fanno che ripeterlo, con incredibile monotonia: “dobbiamo accogliere i nostri fratelli, non possiamo respingerli”. Benissimo, se dobbiamo accoglierli non si capisce perché non li si debba accogliere tutti.
E quali sarebbero le conseguenze di un simile esodo di massa per loro, per i medio orientali e gli africani? L'emigrazione ha avuto spesso effetti positivi sull'economia ma si è sempre trattato di una emigrazione controllata. In ogni caso, al di la degli effetti positivi, nessun paese ha mai imboccato la via della crescita grazie alla emigrazione, non parliamo poi degli esodi incontrollati. O un paese è in grado di innescare in loco un processo di sviluppo economico o gli esodi non fanno altro che impoverirlo ulteriormente. Non sono stati gli esodi a permettere al Giappone ed alla Cina, per fare solo due esempi, di diventare potenze economiche mondiali.
I “buoni” non si pongono simili problemi, sono buoni, loro. Si limitano a sommergere tutto e tutti di melassa, lasciando ai comuni mortali l'ingrato compito di fare i conti con la realtà.

Ipocrisia, palle e amenità, un piccolo ed incompleto elenco.
Tutti i media grondano ipocrisia in questi giorni. Ipocrisia e palle, palle grandi come grattacieli.
Guerra agli scafisti” strillano tutti con aria bellicosa. “Gli scafisti sono i nuovi schiavisti” aggiungono altri. Nessuno detesta quanto me gli scafisti e tutti coloro che si arricchiscono grazie alla emigrazione clandestina; personalmente aggiungerei agli scafisti le cooperative che sono ben liete di sfruttare, con tanta bontà ovviamente, gli sventurati che arrivano dal nord Africa; io però sono un cattivo e il mio parere non conta. Dicevo, detesto gli scafisti, ma non posso non rilevare la intollerabile ipocrisia di tutti coloro che vogliono la politica delle porte aperte alla immigrazione clandestina e nel contempo sparano a zero contro gli scafisti. Gli scafisti offrono ai “migranti” il servizio che questi richiedono. Se non ci fossero gli scafisti non ci sarebbero i “migranti”, a meno che non si voglia organizzare un servizio di traghetto che vada a prenderli direttamente a casa loro, i migranti, cosa che per ora nessuno propone, almeno, nessuno propone chiaramente. Comunque, fino a quando il servizio “traghetto per migranti” non sarà attivo gli scafisti saranno un tassello essenziale delle “migrazioni”. Volere le seconde senza volere i primi non è solo contraddittorio, è intollerabilmente ipocrita.
Siamo di fronte ad una emergenza, legata alla guerra” non si stancano di ripetere i giornalisti, televisivi e non. Ma è una palla. La guerra ha aggravato le cose ma le “migrazioni” durano ormai da oltre venti anni. E' da oltre venti anni che si parla di “emergenza legata alla guerra”, ed anche ora fra i “migranti” ce ne sono moltissimi che vengono da paesi non in guerra. Piccolo inciso: uno dei sopravvissuti all'ultimo naufragio viene dal Bangladesh, mi piacerebbe sapere cosa ci faceva un cittadino del Bangladesh su un barcone che è partito dalla Libia, che dal Bangladesh dista, direi, migliaia di chilometri...
L'Europa ci lascia soli” strillano quasi tutti gli italici politici. Giusto cercare di coinvolgere la famosa “Europa”, ma, coinvolgere in cosa? L'Italia deve accogliere tutti e poi smistare un bel po' di migranti in altri paesi europei? Beh, gli altri paesi europei di migranti ne hanno già un sacco ed una sporta, li capisco se una simile prospettiva non li esalta. O l'Europa deve essere coinvolta in una attività di blocco della immigrazione clandestina? Questo nessuno lo dice.
Non si può fare un blocco navale” tuonano, meno che mai è possibile un intervento militare in Libia. Distruggere i barconi? Neppure se ne parla, sarebbe un atto di guerra, ma la Libia E' in guerra e noi ne paghiamo parte delle conseguenze. Che fare allora? Elementare Watson: occorre puntare alla pace in Libia garantita da un governo di unità nazionale. Geniale!!! Che scemi a non pensarci prima!!! Però, in Libia agisce anche l'Isis, siamo certi che i tagliagole vorranno entrare nel “governo di unità nazionale”? E una volta entrati siamo certi che si metteranno pacificamente a discutere con noi sul controllo dei flussi migratori? Inezie, particolari senza importanza. Renzi lo ha detto forte e chiaro: “ci sarà la pace in Libia quando tutte le tribù coinvolte nel conflitto avranno accettato la normalizzazione del paese”, il che equivale a dire che “ci sarà la pace in Libia quando tutte le tribù coinvolte nel conflitto avranno accettato la pace”, il che ancora equivale a dire “ci sarà la pace in Libia quando ci sarà la pace in Libia”. Assolutamente geniale.
Accennavo all'Isis. Molti temono che fra i “migranti” ci possa essere qualche terrorista, o che i migranti possano costituire l'area di reclutamento della manovalanza terrorista. Ma non c'è da preoccuparsi. In questi giorni compaiono in continuazione in TV esperti di anti terrorismo che, ci assicurano, stanno “indagando” e non hanno scoperto alcun indizio che fra i disperati che affollano i barconi ci siano terroristi. Sono davvero bravi questi esperti. Sanno alla perfezione cosa sentono e pensano persone di cui neppure si conosce il nome! E i cristiani gettati a mare dai loro compagni di viaggio? Non esiste la vaga possibilità che chi li ha dati in pasto ai pesci sia un fanatico religioso? Neppure per sogno! Un alto prelato ha escluso questa possibilità. Si è trattato di un atto conseguenza di contrasti personali.
Basta, metto il punto. Non si sa se ridere o se piangere.

martedì 7 aprile 2015

I LEONI SONO ERBIVORI


















“Tutti i leoni sono erbivori” dice Tizio a Caio mentre guida un potente fuoristrada nella savana africana.
“Non mi sembra” ribatte Caio, “ho sempre letto che i leoni sono carnivori”
“Sui libri scrivono ciò che vogliono” replica polemico Tizio, “te lo ripeto, i leoni sono erbivori”
“Guarda” esclama Caio, “là c'è un leone che sta divorando una zebra. Quel leone è di certo carnivoro, non puoi negarlo”
“Si lo vedo, sta divorando una zebra” risponde Tizio “ma non è un vero leone”.

I leoni sono erbivori, se un leone divora una zebra non è un vero leone. Interessante vero, come ragionamento? Interessante e molto comodo. Si, molto comodo perché ragionando in questo modo si ha il grosso vantaggio di avere sempre ragione. Né la logica né l'esperienza sensibile potranno mai smentire chi fa ragionamenti come quello sui leoni erbivori.
L'esperienza sensibile ci dice che i leoni sono carnivori. Per questo il predicato “carnivoro” entra nella definizione di leone, e vi entra in maniera tanto essenziale che dire “leone erbivoro” è una autentica contraddizione logica, come dire scapolo sposato. Tutto questo però non fa cambiare opinione a coloro che sostengono che i leoni sono erbivori. Basta dire che i grossi animali di color arancio e dalla folta criniera che si nutrono di carne non sono veri leoni, ed il gioco è fatto: si può tranquillamente sostenere che i leoni sono erbivori senza cadere in contraddizione alcuna. Quelli che lo dicono non si riferiscono ai bestioni africani che si cibano di carne, ma ad altri animali, i leoni veri che di certo sono erbivori. E nulla si può ribattere alle loro fantasiose affermazioni. Al massimo si possono far loro alcune innocenti domandine, accompagnate da un minuscolo ragionamento: “scusate, potete farci vedere un vero leone? Ci potete dire dove vive, che dimensioni, forma, colore ha il leone vero? Ci dite perché lo chiamate leone e non agnello, zebra o antilope? Se infatti fosse solo una questione di nomi si potrebbe anche chiamare leone la zebra e viceversa e non cambierebbe nulla se non i nomi con cui indicare il predatore carnivoro e la preda erbivora”.
Queste domande e questo piccolo ragionamento non metterebbero però in difficoltà i sostenitori della natura erbivora dei leoni. Risponderebbero che siamo dei volgari empiristi mentre loro veleggiano nel cielo terso delle idee pure. E si allontanerebbero con l'aria leggermente offesa.

A prima vista può sembrare incredibile ma il mondo è pieno di gente che sostiene che i leoni sono erbivori, soprattutto ne è pieno l'occidente politicamente corretto.
Qualcuno si ricorda dell'URSS? Era il “paese del socialismo”, il paese in cui i lavoratori “avevano il potere” perché si erano liberati dallo “sfruttamento capitalistico”. Per decenni i vari partiti comunisti hanno esaltato quel paese e condannato “l'imperialismo americano” che cospirava per distruggerlo. Poi all'URSS si sono aggiunti, o si sono sostituiti, altri paesi in cui i lavoratori “avevano il potere”: la Cina, Cuba, la Corea del nord, la Cambogia.
Oggi quasi nessuno parla più di questi paesi e della loro tragica esperienza storica. Ormai sono in molti a sapere che il “potere dei lavoratori” altro non era che lavoro forzato, e la “democrazia proletaria” la più totalitaria e pervasiva delle tirannidi. Tutto questo però non ha indotto molti comunisti ad abbandonare la loro idea. Posti di fronte alla tragica realtà dei gulag e dei laogai, si sono limitati a dire che quello dei laogai e dei gulag non era il vero comunismo. Dopo di che hanno ricominciato a strillare contro il “capitalismo”, la falsa democrazia borghese eccetera eccetera. Facile no?
Qualcosa di simile avviene con l'Islam. In tutto l'Islam le adultere vengono lapidate e/o frustate, gli apostati ed i bestemmiatori condannati a morte, gli omosessuali imprigionati o addirittura impiccati. E in tutto l'Islam non esiste separazione fra potere politico e potere religioso, i diritti individuali sono spesso una barzelletta, la democrazia pure. Soprattutto in tutto l'Islam è diffusa, a livello di massa, la mala pianta del fondamentalismo terrorista ed assassino. Tutto questo però non turba i sonni degli occidentali “dialoganti”. L'Islam che teorizza, e spesso pratica, la guerra santa, l'Islam delle lapidazioni e delle condanne a morte per apostati, bestemmiatori ed omosessuali non è il vero Islam. Il vero islam è una “religione di pace” aperta, comprensiva, tollerante, punto e basta.

Coloro che contrappongono il vero comunismo o il vero Islam al comunismo e all'Islam reali non hanno, a dire il vero, molti esempi pratici da mostrare al popolo bue.
Non c'è traccia del vero comunismo nella storia e nel mondo reali. Non c'è n'è, a dire il vero, neppure nei testi sacri del comunismo. Marx considerava garantismo e diritti personali, pluralismo e parlamentarismo come espressioni dell'umana alienazione, risultati e simboli nel contempo della lacerazione interiore dell'uomo. Quanto agli altri comunisti, quelli che il comunismo lo hanno messo in pratica... beh, Lenin teorizzava apertamente il terrore di massa, Trotzkij pure. E non parliamo di Stalin! Ciò che il dittatore georgiano ha fatto conta molto più di ciò che ha teorizzato.
Discorso analogo si può fare per l'Islam. Nel Corano abbondano le affermazioni truculente contro gli infedeli, lo sanno tutti. E, per lasciare i libri e guardare, una volta tanto, al mondo, di un Islam tollerante, pluralista, laico non pare essercene traccia, nel mondo.
Ma chi contrappone il vero al reale non si lascia impressionare da questi insignificanti particolari. Il suo è un “vero” di un tipo molto particolare. Per le persone normali X è vero se nel mondo si può trovare X. La proposizione “i leoni sono erbivori” è vera se nel mondo si incontrano dei bestioni con la criniera che mangiano erba, altrimenti è falsa, punto. Per molti occidentali invece è “vero” ciò che corrisponde alle loro speranze ideologiche.
Amo la pianificazione ma non amo troppo i gulag, quindi mi invento un comunismo pluralista e democratico, e non perdo troppo tempo a pensare se sia possibile.
Voglio dialogare con l'Islam, quindi mi invento un Islam tollerante e laico.
Mi piace l'idea di una natura tutta pace e non violenza, quindi decido che i leoni sono erbivori, e non dedico troppo tempo a compatire la povera erbetta ridotta a cibo per leoni.
Il mondo reale è dichiarato non vero, solo ciò che concorda con i nostri sogni è vero.
Molta gente vive in un sogno perenne. Desidera solo continuare a sognare, non vuole essere svegliata. Il miserabile mondo reale è un incubo per questa gente. Peccato lo sia anche per tanti esseri umani che non possono permettersi di sognare!

mercoledì 1 aprile 2015

LA SESSUALIZZAZIONE DEL LINGUAGGIO



Guido ed ascolto distrattamente il giornale radio. “La ministra Boschi” dice l'annunciatore...
La ministra! Una nuova vittoria per la signora Boldrini. Avviene così ormai. Nessuno ha mai usato la parola “ministra” e nessuna persona normale la usa, nella lingua di tutti i giorni. Ma un personaggio “importante”, che è diventato tale in seguito a strani equilibrismi politico parlamentari, decide che chi usa il termine “ministro” è un maschilista sessista, fallocratico e omofobo. Quindi, dall'oggi al domani, i media smettono di usare il termine “ministro” e parlano di “ministra” e da quel momento chi non usa questa parola è poco meno che un mostro.
Succede con “ministra” come è successo con “femminicidio”, “genitori uno e due” e tante altre parole che si riferiscono al sesso degli esseri umani. Una delle caratteristiche più importanti della neolingua politicamente corretta è la sessualizzazione del linguaggio. Non la tradizionale divisione di molti termini in “maschile e femminile”, come, da un altro punto di vista, “in singolare e plurale”. No, alla sessualizzazione del linguaggio non interessa organizzare razionalmente la lingua, interessa trasformarla in strumento di propaganda ideologica. Nelle parole deve riflettersi una certa concezione del mondo. Dire “dottoressa” significa riferirsi ad un dottore di cui si mette in rilievo il sesso femminile. Dire “dottora” significa che il termine neutro “dottore” smette di essere neutro, acquisisce un sesso che varia a seconda di chi svolge le mansioni del dottore. Dire: “c'è stato un omicidio”significa che un essere umano, uomo o donna che sia, è stato ucciso. Dire : “c'è stato un femminicidio” sottolinea non tanto l'uccisione di un essere umano quanto il sesso della vittima.
E' da tempo in atto in occidente un precesso di rimozione della differenza sessuale. Non esiste nessuna differenza sostanziale fra l'essere maschi e l'essere femmine, viviamo nella società unisex. Il linguaggio sessualizzato è l'altra faccia della medaglia di questa realtà. Eliminata la differenza sessuale in ciò che questa ha di davvero importante la si fa risorgere nel ridicolo tentativo di sessualizzare le parole. Il sesso non conta nella riproduzione della specie, conta però quando si parla di ministra invece che di ministro. Distrutta la differenza sessuale in ciò che questa ha di profondo e socialmente rilevante la si valorizza nell'aria rareffatta del radicalismo chic. Orribile radicalismo, che alla banale leggerezza delle sue argomentazioni unisce una aggressività totalitaria che fa letteralmente paura.

Poco importa, naturalmente, che il totalitarismo linguistico faccia a pezzi, con la libertà di pensiero, la bellezza, l'armonia e la comprensibilità del linguaggio. Chi lo ha detto che un linguaggio deve essere bello e comprensibile? Il linguaggio della propaganda ideologica a volte è rozzo e semplicistico, altre volte astruso, allusivo, inutilmente oscuro. Malgrado le apparenze non è davvero comprensibile: mira a celare o a mascherare, non a rendere chiara, la realtà. E non è, MAI, bello.
Però, la neolingua sessualizzata del politicamente corretto ha ancora di fronte a se grandi compiti.
Se il termine “ministro” non deve più essere usato quando ad essere ministro è una donna, perché mai dovremmo continuare ad usare termini come “umanità”, “genere umano”, “umanesimo”, “diritti umani”, “scienze umane”? Non ci macchiamo, usando simili termini, di una forma intollerabile di maschilismo? E che dire del termine “antropologia”? Come possiamo parlare di “antropocentrismo” o di “scimmie antropomorfe” senza cadere nel sessismo più spregevole?
E, per toccare cose assai più elevate, come la metteranno i teologi con Dio padre? Lo sanno tutti che il termine "padre" riferito a Dio non ha alcuna attinenza col sesso, ma allora perché usarlo? Non sarebbe meglio parlare di Dio madre o, meglio ancora, DIA madre? Forse in questo modo qualcuno scambierebbe nostro Signore con la direzione nazionale antimafia e questo sarebbe un po' blasfemo. Si potrebbe rimediare sostituendo Dio padre con Dio/a genitore uno, per la felicità dei gay.
Anche il mistero della santissima trinità prima o poi sarà investito dalla sessualizzazione del linguaggio: invece di avere Padre, Figlio e spirito santo avremo genitore uno (o due, a scelta) figlia/o e spirita santa.
Esagero? Forse, però, chi avrebbe mai pensato un po' di tempo fa di trasformare chi è di bassa statura in un “verticalmente svantaggiato”?

La neolingua politicamente corretta, di cui la sessualizzazione del linguaggio è parte essenziale, renderà prima o poi impossibile la letteratura. Qualcuno immagina il Manzoni che definisce Don Abbondio "diversamente coraggioso"? E quale poeta potrebbe scrivere una poesia sull'amore materno sostituendo al termine “madre” quello di “genitore due” (o uno)?
Facciamo un piccolo esperimento. Prendiamo un brano di qualche poesia e proviamo in questo a sostituire ai termini usati dal poeta quelli politicamente corretti.

“Non sempre il tempo la beltà cancella
O la sfioran le lacrime e gli affanni;
Mia madre ha sessant’anni,
E più la guardo e più mi sembra bella.”

Qualcuno ricorda questa poesia di De Amicis? Proviamo a trasformarla in questo modo

“Non sempre il tempo la beltà cancella
O la sfioran le lacrime e gli affanni;
Mio genitore due ha sessant’anni,
E più lo/la guardo e più mi sembra bello/a.

Carino vero?
Si, lo ammetto, De Amicis non è un grande poeta. Allora citiamo un grandissimo:

Sonavan le quiete
stanze, e le vie d'intorno,
al tuo perpetuo canto,
allor che all'opre femminili intenta
sedevi, assai contenta
di quel vago avvenir che in mente avevi...


O quanto era maschilista quel Leopardi! Parla di Silvia, una donna, anzi, una adolescente, e la immagina intenta alle “opre femminili”, cioè a tessere la tela: “ed alla man veloce che ce percorrea la faticosa tela”...
Qui non si possono neppure sostituire le parole. Forse potremmo immaginare Silvia intenta a martellare un ferro rovente, o a preparare un discorso alla camera dei deputati, ma come fare ad inserire queste belle cose nella poesia di quel sessista di Leopardi? No, è impossibile! Che “A Silvia” sia messa al bando! Basta studiare poesie sessiste che rovinano l'animo dei giovani e delle giovani!
Però... senza Silvia intenta alle sue “opre femminili” saremmo tutti, ma proprio tutti, molto, molto più poveri.