domenica 29 novembre 2015

IN DIFESA DEL NATALE




Il Natale è sotto attacco. Il preside che aveva rinviato a Gennaio inoltrato la festa di Natale per “non turbare i sentimenti degli studenti di altre religioni” (chissà quali) si è dimesso. I genitori di alcuni studenti musulmani avevano fatto sapere di non avere nulla contro le celebrazioni del Natale. Una notizia consolante che dimostra, tra l'altro, che a volte gli occidentali politicamente corretti sono più realisti del re. Ma la nostra più importante festività resta comunque nel mirino. Si cerca di sminuirne al massimo il significato, qualcuno verrebbe celebrarla in maniera “laica”, altri, eruditissimi, “scoprono” che il Natale non è sempre esistito. Un tempo, più o meno nello stesso periodo, si celebrava la festa del Sol invictus. Non potremmo ripristinarla?
Il motivo vero di questo attacco alla più importante festa dell'occidente è evidentissimo: si vuole evitare ogni attrito, reale o potenziale, vero o presunto, con i musulmani. Di solito però questa motivazione viene celata, nascosta da considerazioni di tipo “laico”. Il nostro è uno stato laico, si dice, e lo stato laico considera la fede alla stregua di un fatto privato. Ognuno celebri quindi il Natale in casa sua, privatamente, ma non pretenda che ci siano celebrazioni pubbliche di una festa cristiana. Quindi basta coi canti, le poesie, le feste scolastiche dedicate al Natale.
Tutto chiaro no? Beh... veramente non troppo. Perché, se le cose stanno così, non si vede perché mai il giorno di Natale non si debba andare regolarmente a lavorare. In nome del laicismo dovremmo tutti recarci ai posti di lavoro il 25 Dicembre, e se qualcuno proprio volesse festeggiare il “compleanno di Gesù” potrebbe sempre chiedere un giorno di ferie, che il suo capo gli concederebbe “compatibilmente con le esigenze di servizio”.
Tutti, ovviamente, si guardano bene dal fare simili proposte. Eliminiamo pure canti, inni e poesie natalizie, ma se diciamo alla gente di andare a lavorare il 25 Dicembre, scoppia un casino infernale. E così qualcuno inventa la festa dell'Inverno, o della neve, o del del Dio sole ed altre simili amenità. La laicità è salva e non si rinuncia ad un giorno, magari più di uno, di meritato riposo. Però, se il problema è quello di assicurare un giorno di riposo ai lavoratori italiani non si vede perché questo debba essere il 25 Dicembre. L'inverno, la neve ed il Dio sole si possono festeggiare anche il sei gennaio, in fondo. I tentativi di conservare le festività natalizie stravolgendone il senso dimostrano solo una spaventosa dose di ipocrisia.

Chi attacca il Natale dice di farlo in nome della laicità dello stato, ma si tratta di una evidente mistificazione. Laicità dello stato significa che non esiste una religione di stato, che lo stato riconosce a tutti la libertà religiosa e di culto, fatte salve le esigenze dell'ordine pubblico e la tutela delle libertà di tutti. Significa ancora che lo stato non discrimina i cittadini in base alla loro fede, che tutti, quale che sia il credo in cui si riconoscono, possono partecipare ai pubblici concorsi, votare o essere votati. Per non dilungarsi troppo, lo stato laico è, nella sostanza, lo stato liberal democratico, quello che riconosce e tutela tutte le libertà della persona, compresa la essenziale libertà religiosa.
Lo stato laico, lo si evince da quanto appena detto, non è uno stato neutrale rispetto ai valori, al contrario, si basa su alcuni valori forti: libertà individuale, sacralità della vita umana, democrazia, tutela del dissenso. Il pluralismo dei valori non riduce la società libera ed il suo stato a scatole vuote, ma si fonda su alcuni, pochi ma importantissimi, valori. In tutto questo non c'è nulla di paradossale, a meno di non voler definire “paradosso” le condizioni stesse di esistenza di ogni democrazia liberale.
Allo stesso modo lo stato laico non è uno stato che disconosce il valore della tradizione o che assume di fronte a questa una posizione "neutrale". Qualsiasi stato, tutte le società, si basano su qualche tradizione, sono il risultato di una storia, il punto di approdo, sempre mobile e transitorio, di movimenti sociali profondi. La nostra storia e le nostre tradizioni fanno di noi ciò che siamo, plasmano la nostra identità. Tutto questo non è per nulla sciovinistico, non rimanda ad alcuna gretta chiusura in se stessi, al contrario, fonda la possibilità stessa del confronto con gli altri. Senza il riconoscimento della propria identità il dialogo con chi ha identità diverse risulta impossibile. Un uomo privo di identità, un essere umano ridotto a contenitore vuoto, mera virtualità, non può dialogare, discutere o confrontarsi con nessuno. Allo stesso modo, una società priva di memoria storica, valori condivisi, tradizioni  pubblicamente riconosciute non ha nulla da offrire alle altre; dialogare, confrontarsi con una simile società è privo di interesse. Si dialoga e ci si confronta col diverso, ma il diverso, per essere tale, deve prima di tutto essere se stesso, avere una storia, delle tradizioni, una identità. 

Lo confesso francamente: non sono credente. In materia di fede penso di potermi definire agnostico. Questo però non mi impedisce di riconoscere l'enorme valore della religione nella nostra storia e nelle nostre tradizioni. Noi siamo ciò che siamo anche grazie alla religione cristiana. Negare un fatto tanto evidente è impossibile. Basta passeggiare per il centro di una qualsiasi città italiana od europea, visitare un museo, leggere un manuale di storia per capire fino a che punto la religione sia parte di noi. Un non credente che neghi il valore e l'importanza della religione nel forgiare la nostra identità è un po' come un non aristotelico che neghi l'importanza dell'aristotelismo nella formazione della cultura occidentale. Non occorre condividere la “metafisica” di Aristotele per vedere nello stagirita uno dei padri dell'occidente, esattamente come non occorre credere nel dogma della trinità per sentire proprie la “pietà” di Michelangelo, “l'ultima cena” di Leonardo o la “passione secondo Matteo” di Bach.
Il Natale è la festa più importante dell'occidente cristiano, è parte ineliminabile della nostra storia, delle nostre tradizioni e della nostra identità. Ed è parte della storia privata di ognuno di noi. Ricordo con commozione e nostalgia l'ansia con cui tanti anni fa, la notte della vigilia, aspettavo i doni che mi avrebbe portato Gesù bambino. Quella mia lontana ansia è diventata l'ansia dei miei figli prima, di mio nipotino poi. Per me e per moltissimi come me, credenti o non credenti, il Natale è, è sempre stato, qualcosa di totalmente diverso da un giorno di riposo o anche da una festa solo privata. E', è sempre stato, una
festa pubblica, pubblicamente riconosciuta, che si trascorre con i propri cari, un momento in cui si rinsaldano i sentimenti di amore, affetto ed amicizia con chi ci è più vicino e si rinnovano i legami di comune appartenenza che ci uniscono a tutti gli altri. Si eliminino o si annacquino tradizioni come quella del Natale e questi legami pubblici e privati inevitabilmente si allentano. Ci si ritrova, tutti, ad essere più soli, più estranei l'un l'altro; nella sostanza, più poveri, interiormente poveri.
Se fosse vero che festeggiare pubblicamente il Natale ed altre ricorrenze religiose distrugge la laicità dello stato dovremmo concludere che al mondo non esiste un solo stato laico. Se davvero la sanzione statale di alcune festività e tradizioni religiose contrastasse con la libertà individuale un paese come gli Stati Uniti d'America diverrebbe per noi un mistero. Le banconote statunitensi portano sul retro la scritta: “in god we trust”: noi confidiamo in Dio. Il presidente degli Stati Uniti giura sulla Bibbia all'inizio del suo mandato. A qualcuno tutto questo appare, forse non del tutto a torto, eccessivo. Di certo però non ha impedito agli stati Uniti di essere il paese forse più individualista dell'occidente ed al governo americano di tutelare in maniera rigorosa le libertà individuali. Semmai il riconoscersi in una comune storia, in tradizioni, anche religiose, comuni impedisce all'individualismo di degenerare in diffidenza ed estraneità generalizzate, fa si che si possa essere “rudi individualisti” e sentire nel contempo l'importanza del legame con gli altri.

Va detto chiaro e tondo: rinunciare al pubblico riconoscimento di alcune, fondamentali, tradizioni religiose è impossibile se non si vuole cadere in un assoluto nichilismo. Gli estremisti di un male interpretato laicismo lo dicano: intendono cambiare il nome di innumerevoli vie e piazze? Forse in Italia di chiese ce ne sono un po' troppe, lo ammetto. Che vogliono fare gli estremisti del laicismo? Distruggerne un po'? E vogliono cambiare il calendario? Pretendono che nei libri di storia le date non si dividano più in avanti e dopo Cristo?
E da quale evento vorrebbero, di grazia, che si iniziassero a conteggiare gli anni? Dovremmo dire che siamo nell'anno 226 perché conteggiamo gli anni a partire dal 1789, data dello scoppio della rivoluzione francese? Forse però un comunista non accetterebbe un tale punto di partenza. Per lui oggi saremmo nel 98, visto che gli anni si dovrebbero conteggiare a partire dal 1917. E, solo per capire, che dovremmo fare della Domenica, che significa Dies domini? Coloro che si impegnano in ricorrenti crociate (azz... crociate, sa molto di religione... che guaio) contro i canti di Natale ed i crocifissi nelle aule scolastiche si decidano, avanzino proposte complessive e coerenti, per favore.
In realtà, val la pena di ripeterlo, l'attacco al Natale, e non solo a quello, non ha nulla a che vedere con il laicismo e la difesa delle libertà personali. Si attacca il Natale per non urtare la suscettibilità dei numerosi musulmani che vivono nel nostro paese, tutte le altre giustificazioni sono solo ridicoli tentativi di mascheramento di questa palese verità. L'attacco al Natale, ben lungi dall'essere una difesa della laicità e delle libertà personali è, al contrario, un cedimento alle pretese, a volte reali, altre immaginarie, di chi la laicità e la libertà personale molto semplicemente le odia. Prova ne sia che gli stessi che strillano spesso e volentieri a favore della laicità si prosternano letteralmente di fronte alle più intollerabili manifestazioni di integralismo religioso.

Il più delle volte l'attacco al Natale non è diretto. Lo si è già detto: nessuno proporrebbe di andare a lavorare il 25 Dicembre. E così si cerca non di distruggere il Natale ma di snaturarlo. Il Natale va festeggiato in maniere “laica” ha detto il preside di un istituto scolastico. Incredibile! Festeggiare il Natale in maniera “laica” è come festeggiare una vittoria militare in maniera antimilitarista o una vittoria della propria squadra di calcio in maniera non calcistica. Si festeggia la vittoria nella prima guerra mondiale organizzando un dibattito sul tema: “le guerre si vincono solo non facendole”. L'Inter vince lo scudetto e questo viene festeggiato con una fiaccolata in memoria delle vittime della strada . Arriva il Natale e lo si “festeggia” cantando le canzoni di Endrigo e De Andrè e recitando le poesie di Rodari. Le canzoni di De Andrè ed Endrigo possono piacere o non piacere, ognuno le può ascoltare quando vuole a casa sua o in un teatro, quanto alle poesie di Rodari, tutti, se vogliono, sono liberi di leggersele per conto proprio. Ma anche se si trattasse delle poesie e delle canzoni più belle del mondo non hanno nulla a che vedere col Natale. Come non ha nulla a che vedere col Natale la festa di papà inverno o del Dio sole che qualcuno cerca di sostituire, più o meno surrettiziamente, alla festività cristiana. Il Natale è quella cosa lì, quella cosa inserita nella nostra storia, nelle nostre tradizioni, nella nostra vita. E' quella cosa che ci emoziona e ci coinvolge, ci fa sentire in qualche modo uniti, e per tutto questo va pubblicamente riconosciuta. Le feste sono parte di noi, non è possibile sostituirle con cose nuove, inventate o riesumate ad hoc. Forse un tempo la festa del Dio Sole coinvolgeva la plebe romana, oggi non fa pulsare d'emozione il cuore di nessuno. Personalmente non ho alcun interesse ad una simile festività e penso che nessun altro lo abbia. Gli occidentali eruditi possono fornire a tutti ponderosi volumi di coltissime dissertazioni: “sapete, un tempo si festeggiava la tal festa... solo dopo è arrivato il Natale... ”
Si può solo rispondere loro: “E allora? A noi non frega assolutamente nulla che un tempo ci sia stata, al posto del Natale, questa o quella festa. Da un sacco di secoli c'è una festa che chiama
NATALE, è parte di noi, e noi vogliamo festeggiare questa. E la vogliamo festeggiare pubblicamente per quella che è, con le sue immagini, i suoi canti, le sue cerimonie, le sue poesie. Voi non volete festeggiarla? Fate pure, nessuno vi obbliga, ma non ci rompete le palle, per favore!!!”
Ecco. Signori occidentali “buoni”, “dialoganti”, politicamente corretti, almeno a Natale fateci la grazia:
non ci rompete le palle!!!

martedì 24 novembre 2015

DUBBI SULLA "INTEGRAZIONE"

Perché si fanno esplodere in mezzo alla folla i terroristi islamici? Ma è semplice! Perché NOI non siamo riusciti ad integrarli. Li trattiamo tanto male, li guardiamo con sospetto, non diamo loro un lavoro ed una casa, un cospicuo stipendio. Loro si sentono tanto male e così si fanno esplodere in mezzo alla folla. O acquistano (con quali soldi se sono tanto poveri?) un bel mitra e sparano all'impazzata sulla gente. La religione non c'entra nulla in tutto questo. Si assicuri loro un buon tenore di vita e diventeranno nostri amati fratelli!
Che scemo, la risposta ad ogni dubbio era lì, sotto al mio naso ed io stoltamente non la vedevo. Ed accusavo ingiustamente la religione della pace per atti che hanno a che fare solo con la nostra, e la mia, incapacità di essere generosi! Chiedo umilmente perdono.
Però, un attimo, a pensarci bene, qualche dubbio mi assale. Vediamo un po'.

Noi dobbiamo garantire ai “migranti” un buon tenore di vita, se non lo facciamo non stupiamoci se quelli poi ci sparano addosso. Ma... da vecchio liberale ho sempre pensato che ognuno in quanto individuo abbia il diritto ed il dovere di cerare di costruirsi con le sue mani, un decente tenore di vita. Certo, è doveroso aiutare che è in difficoltà, ma l'aiuto non può, ne deve sostituire la responsabilità che ognuno ha verso se stesso e gli altri. Se così non fosse, beh... allora ogni giovane italiano che ha difficoltà a trovare lavoro potrebbe diffondere in rete un messaggio che suoni più o meno così.: “Se non riesco a trovare un lavoro ben retribuito, non troppo faticoso, adatto alle mie attitudini in località non distante da casa mia mi vedrò costretto a farmi esplodere in un ristorante del centro o a sparare sulla folla in uno stadio. La colpa per questo discutibile atto sarà degli egoisti che non hanno voluto aiutarmi”. Bello no?
Non troppo bello, mi pare. Anche perché non sono solo i giovani i italiani a non lanciare simili messaggi: non lo fanno neppure altri immigrati: i cinesi, ad esempio, o gli ucraini o i polacchi o i rumeni. Solo gli islamici hanno la cattiva abitudine di farsi esplodere se hanno difficoltà a trovare lavoro. Strano,molto, molto strano.

Se un cagnolino fa la cacca sul tappeto buono di casa la colpa non è del cagnolino, ma del padrone che non lo ha saputo “educare”. Ecco, così, a naso, mi sembra che per qualcuno i musulmani siano molto simili a questo cagnolino. Si tratterebbe di persone incapaci di fare delle scelte, prive di identità, idee, storia personale, valori o disvalori; insomma, pura potenzialità, creta nelle nostre mani. Noi, gli educatori, possiamo far di loro ciò che vogliamo. Diamogli da mangiare e loro diventeranno tanto bravi. Neppure ci passa per la testa che l'uomo NON E' ciò che mangia e che non basta riempire la pancia della gente per farle adottare un certo sistema di valori!
Non hanno colpe, i nostri fratelli musulmani, i colpevoli siamo sempre noi che non li sappiamo integrare, ma solo chi non è capace di intendere e di volere non ha colpe!
Un tempo l'occidente era considerato l'artefice di tutto il bene del mondo, oggi molti lo considerano il responsabile di tutto il suo male. In ogni caso siamo sempre noi ad agire ed a pensare. Gli altri possono solo reagire senza pensare. Beh... a me questo sembra razzismo, e del peggior tipo.

Ma l'integrazione culturale va almeno tentata, occorre cercare di far capire agli altri la bontà di certi nostri valori. Verissimo, però, per cercare di trasmettere dei valori bisogna crederci in questi valori. E per cercare di integrare qualcuno in una società bisogna considerarla positivamente, pur con tutte le critiche che è possibile rivolgerle.
Nelle principali città europee ci sono quartieri in cui di fatto vige, col pieno consenso della autorità occidentali, la legge islamica. Questa sarebbe integrazione?
Si guardi un libro di storia delle scuole medie, un libro rivolto a bambini e ragazzini, le persone più facili da integrare. Si leggeranno pagine su pagine di denunce contro l'occidente ed i suoi crimini. E di esaltazione della bontà e della mitezza delle altre civiltà. Perché mai dovrebbero volersi “integrare”, i nuovi venuti, in una società tanto perversa e crudele?
E in cosa dovrebbero “integrarsi” se giorno dopo giorno rinunciamo a pezzi fondamentali delle nostre tradizioni e della nostra storia? Il Natale trasformato in festa dell'Inverno, l'eliminazione di simboli religiosi che sono tutt'uno con la nostra storia, per non “offendere” i nostri fratelli musulmani, addirittura la censura dei cartoni animati. La nostra società si sta trasformando in una sorta di scatola vuota, un puro contenitore privo di ogni identità. E non ci si integra con i contenitori, né con le scatole vuote.

Basta, ho troppi dubbi. Devo ascoltare un discorso di Renzi o una omelia di papa Francesco, Mi faranno bene.

sabato 21 novembre 2015

NUOVE IDIOZIE

Le idiozie hanno una impressionante capacità di moltiplicarsi. Se ne sentono di continuo, ed hanno la caratteristica di essere sempre nuove e sempre vecchie. Sempre vecchie perché tutte altro non fanno che riproporre vecchi luoghi comuni del politicamente corretto. Sempre nuove perché questi luoghi comuni si adattano alle nuove situazioni, mutano colore, come i camaleonti, restando sempre, nella sostanza, uguali a se stessi.
Ne propongo un nuovo elenco. Di certo è ben lungi dall'essere definitivo.

1) I terroristi che uccidono sono solo una parte minima degli islamici. Quindi l'Islam non ha nulla a che vedere con loro.
I nazisti che gasavano gli ebrei erano solo una minima parte dei tedeschi che applaudivano Hitler, i comunisti che deportavano i kulaki erano solo una minima parte di coloro che deliravano per Stalin. I militanti ed i combattenti sono SEMPRE, OVUNQUE minoranze. Dietro a loro stanno le maggioranze che li appoggiano, li sostengono o quanto meno tacciono. Se l'Islam non ha nulla a che vedere col terrorismo allora le folle che deliravano per Hitler non avevano nulla a che vedere col nazismo.

2) I terroristi reagiscono ad emarginazione e disoccupazione.
Un italiano, un inglese, un francese reagiscono alla disoccupazione, ed alla conseguente emarginazione, cercando lavoro, o chiedendo riforme che aumentino le possibilità di trovarlo. Non si fanno esplodere in ristoranti o discoteche. Se chi è disoccupato reagisse facendosi esplodere Napoli sarebbe un grande cimitero.

3) Molti giovani diventano terroristi perché l'occidente non riesce ad integrarli.
Molti giovani diventano terroristi perché non hanno nessuna voglia di farsi integrare.

4) I terroristi di Parigi erano francesi. Cosa c'entrano i migranti?
I terroristi di Parigi NON erano francesi. Erano migranti di ieri che non si sono voluti integrare nella società francese, ne hanno respinto i valori, rifiutato le leggi, esattamente come la gran maggioranza dei migranti di oggi respingono i valori della nostra civiltà.

5) I terroristi uccidono anche molti musulmani, quindi sono nemici dell'Islam.
Hitler ha fatto uccidere fior di nazisti, Stalin fior di comunisti, ciò non trasforma Hitler in un anti nazista o Stalin in un anti comunista. Le tirannidi totalitarie sono sempre state caratterizzate da lotte intestine che hanno travolto molti loro sostenitori. L'Islam è oggi l'unica religione al mondo scossa da continue, e sanguinosissime guerre fratricide.

6) I terroristi sono criminali che mirano al “Dio denaro”. L'Isis mira ai pozzi di petrolio.
L'Isis combatte una guerra santa per avere il petrolio o vuole il petrolio per finanziare, e meglio combattere, la guerra santa? Basta porre la domanda giusta per avere la risposta.
Un grande imprenditore mira a vendere i suoi prodotti, non a massacrare i loro potenziali acquirenti

7) Il terrorismo esiste perché esistono i mercanti di armi
Dire che il terrorismo esiste perché c'è chi vende armi ai terroristi è un po' come dire che la fame esiste perché ci sono i negozi di generi alimentari. Esistono i mercati delle armi, sia legali che clandestini, questo non mi induce a comprare mitraglietta, bombe e corpetto di esplosivo per massacrare innocenti.

8) Gli occidentali sono ipocriti: fanno minuti di silenzio solo per le loro vittime,non ne fanno per vittime islamiche.
Quali sono le vittime islamiche? Anche gli uomini bomba che si fanno esplodere nei metrò sono vittime islamiche. E lo sono anche i musulmani ammazzati da altri musulmani in interminabili guerre civili. Comunque, OK, noi occidentali siamo sporchi, brutti e cattivi perché non commemoriamo le vittime islamiche. Loro, gli islamici, invece FESTEGGIANO quando qualche terrorista fa strage di occidentali.

9) Molti musulmani hanno manifestato contro il terrorismo, dopo gli attentati di Parigi. Cosa volete di più?
Ben venga il dissenso col terrore da parte dei musulmani. Però, quando anni fa papa Benedetto avanzò alcune pacatissime critiche teologiche al concetto di guerra santa milioni di musulmani invasero immediatamente le piazze di mezzo mondo. La reazione islamica ai massacri di Parigi sembra leggermente più “tiepida”...

10) Pensate di voler fare la guerra ad un miliardo e mezzo di musulmani?
Il numero in quanto tale non ha importanza decisiva nelle guerre. Se il numero fosse determinante Israele non esisterebbe più, gli ebrei avrebbero subito un nuovo olocausto e coloro che oggi parlano del famoso miliardo e mezzo di musulmani avrebbero acceso qualche lumino. In realtà nessuno dice di dichiarare guerra a tutti gli stati musulmani; alcuni di loro, come l'Egitto, possono al contrario essere alleati nella lotta contro il fondamentalismo terrorista. Si deve far la guerra a coloro che usano le armi contro di noi, dialogare con i pochi con cui è sensato farlo  e condurre contro gli altri una durissima lotta sul piano politico, economico e culturale. Esattamente ciò che gli occidentali “dialoganti” non vogliono fare.


11) Cosa dovrebbero fare per essere convincenti, i musulmani? Convertirsi al cristianesimo?
Nessuno vuole imporre ai musulmani di abbandonare la loro fede, gli si chiede solo di non ammazzare la gente a caso, e magari di non lapidare le adultere, non impiccare gli apostati, non imporre il velo alle donne, possibilmente non infibularle e cosette di questo tipo. Se abbandonare queste pratiche equivale ad abbandonare l'Islam questo è un problema degli islamici, non nostro.

12) l'infibulazione non è una pratica islamica, è anteriore all'Islam e vecchia di millenni. Il fatto che abbia poi preso piede in stati musulmani non è dovuto alla fede islamica per cui il corpo è sacro come un tempio, ma all'ignoranza, alla violenza. e alla mania di controllo.
Per alcuni filo islamici occidentali tutto ciò che è caratteristico dell'Islam, e che i musulmani difendono con le unghie e con i denti, non ha nulla a che vedere con l'Islam.
Ragionando come loro si potrebbe dire che l'antisemitismo non è tipico del nazismo, perché è nato ben prima di questo e si è affermato nella Germania di Hitler solo grazie “all'ignoranza, alla violenza ed alla mania di controllo”. Ma il punto è tutto lì: nel fatto innegabile che una certa religione, o una certa ideologia, fanno propri i frutti dell'ignoranza, le pratiche violente e la mania di controllo. Questo fatto viene semplicemente rimosso, si sostituisce alla realtà la propria immagine ideologica della realtà.   
Per l'Islam il corpo è sacro, ma lo è anche per la religione cattolica, il che non ha impedito a suo tempo i roghi per streghe ed eretici: il peccato faceva perdere a questi e a quelle ogni sacralità. L'Islam considererà il corpo come un tempio, ma è anche piuttosto sessuofobico ed ostile alle donne, quindi condanna con la  lapidazione quella orribile peccatrice che è l'adultera ed impone alle donne l'infibulazione che, rendendo poco piacevole l'atto sessuale, difende la “sacralità” del loro, e solo del loro, corpo. Quando queste pratiche verranno messe al bando nelle varie repubbliche islamiche chi sostiene la loro estraneità all'Islam potrà parlare senza essere scambiato per un marziano. 

giovedì 19 novembre 2015

IL CIALTRONE

Dopo l'assassinio dei vignettisti di Charlie Hebdo il capo della cristianità condanna gli assassini, ma aggiunge che se qualcuno prende in giro una religione quanto meno un pugno se lo deve aspettare.

In Italia la terza carica dello stato, la presidente della camera, signora Laura Boldrini, afferma che lo stile di vita dei “migranti” è destinato a diventare il nostro. Poiché la gran maggioranza dei migranti sono musulmani ci aspettano infibulazioni, lapidazioni delle adultere, pena di morte per apostati e bestemmiatori, fine della libertà di pensiero. La signora presidente della camera non sembra preoccupata da una simile prospettiva, ne sembra anzi rallegrata, malgrado il suo femminismo radicale.

Un parlamentare italiano, membro autorevole del movimento 5 stelle, afferma che “occorre promuovere i militanti dell'ISIS dal rango di terroristi a quello di interlocutori”.

A Parigi un branco di terroristi islamici sparge il terrore, massacra gente a caso, uccide uno per uno dei giovani ostaggi rei solo di essersi trovati nel posto sbagliato nel momento sbagliato. In rete branchi di imbecilli non trovano nulla di meglio che parlare di “complotti”, condannano non gli assassini ma i “mercanti di armi”, sparano cazzate mascherandole da profonde riflessioni geopolitiche sulle responsabilità dell'occidente. Condannano tutto e tutti tranne il fondamentalismo islamico.

Alla vigilia degli attentati di Parigi, mentre l'Europa già vive quasi in stato di assedio e dopo che i tagliagole dell'ISIS hanno detto chiaro e tondo: "ci serviremo dei barconi dei migranti per invadervi", cosa fanno i burocrati della UE? Discutono su come aprire ancora di più le porte ai "migranti".

Mentre in Europa cresce ovunque un vergognoso antisemitismo la UE non trova nulla di meglio da fare che marchiare i prodotti israeliani.

Nel mondo ci sono stati in cui le donne vengono infibulate, le adultere lapidate, gli apostati ed i bestemmiatori impiccati, i gay gettati dalle torri, i cristiani impalati, crocifissi, cotti nei formi. Ma cosa fa l'ONU, la organizzazione a cui molti pretendono di affidare le sorti della pace nel mondo? Emette un giorno si e l'altro pure risoluzioni di condanna contro...ISRAELE!!!

Come mai l'ISIS è tanto forte? Si chiede sgomento l'intellettuale politicamente corretto. E si, lui proprio non se la riesce a spiegare la forza del califfato. Quando, anni fa, si è cominciato a parlare di ISIS lui, l'intellettuale politicamente corretto, si è affannato a rassicurare tutti: “si tratta di un pugno di criminali comuni che nulla hanno a che vedere con l'Islam” ha spiegato con aria professorale.
Ora è smarrito, poverino, e cerca spiegazioni nei “complotti”, nell'azione delle “multinazionali”, nell'”umana cupidigia”, negli interessi dei “mercanti di morte”.
Si guardi attorno, guardi dentro se stesso, e capirà perché mai l'ISIS oggi è tanto forte.
Non lo farà, non ha la necessaria modestia, né la necessaria onestà intellettuale. E' un CIALTRONE, come tanti,.

martedì 17 novembre 2015

CATTIVA FANTASCIENZA

Gennaio 1941, la Germania è padrona d'Europa. Ha sconfitto Polonia, Danimarca, Francia. Stalin è ancora in ottimi rapporti con Hitler e si guarda bene dal disturbarlo. Gli Stati Uniti non vogliono saperne di entrare in guerra, solo la Gran Bretagna resiste ancora.
Dalle spiagge della Normandia iniziano a partire grandi barconi diretti verso la Gran Bretagna. Gli inglesi sono perplessi, ma generosi. Si tratta di profughi in fuga dal nazismo dicono molti di loro, dobbiamo accoglierli.
Però c'è qualcosa di poco chiaro. Le autorità tedesche in Francia non fanno nulla per frenare l'esodo verso la Gran Bretagna, al contrario, sembrano agevolarlo. I barconi pieni di profughi partono sotto lo sguardo benevolo di alti ufficiali delle SS. Fra i fuggiaschi ci sono alcuni ebrei, qualche intellettuale, militanti di partiti democratici, ma ci sono anche moltissimi tedeschi che sbarcano in Inghilterra gridando: “Heil Hitler” e salutando col braccio teso gli stupefatti agenti di polizia britannici.
A Londra e nelle principali città del Regno Unito la popolazione degli immigrati aumenta a vista d'occhio. Non si accontentano di essere stati accolti, vogliono che vengano rispettate le loro peculiarità culturali. Criticano gli Inglesi, li trovano terribilmente arroganti ed anti tedeschi. Nei centri di accoglienza si lamentano per il vitto. “Continuate a farci mangiare pesce fritto con contorno di patatine fritte” dicono, “ma noi non siamo abituati a mangiare roba simile. Vogliamo crauti e salsicce”. Alcuni britannici reagiscono con veemenza a tali pretese. Ci sono momenti di tensione, qua e la nascono tafferugli.
Ma i britannici non dimenticano la loro storia fatta di tolleranza. Le autorità vogliono frenare l'esplosione di sentimenti ostili ai profughi, e lo fanno, senza esitazione alcuna.
Nel codice penale britannico viene inserito un nuovo reato: “incitamento all'odio anti tedesco” ed una nuova parola sorge come per incanto. La radio britannica non fa che ripeterla: “germanofobia”.
Chi accusa gli immigrati, che ora vengono definiti “migranti”, di essere complici dei nazisti fa il gioco di Hitler, si sente ripetere fino alla noia nelle trasmissioni radio britanniche. “I migranti sono nostri amici, arricchiscono la nostra cultura. I veri nemici della Gran Bretagna sono quelli che vorrebbero bloccare il flusso di ingressi nel paese”.

In realtà il flusso non si blocca per niente, al contrario, diventa tutti i giorni più massiccio. Malgrado attraversi uno dei momenti peggiori della sua storia la Gran Bretagna trova le risorse per dare ai profughi una accoglienza dignitosa. E sorgono nuovi problemi. In una scuola alla periferia di Londra si volevano accompagnare i bambini ad assistere alla rappresentazione di una tragedia di Shakespeare. I genitori di alcuni studenti tedeschi si sono ribellati. “Ci volete imporre i vostri modelli culturali” hanno gridato, “noi non vogliamo che i nostri figli assistano alle rappresentazioni di un super nazionalista britannico”. E in una università un gruppo di studenti di origine tedesca contesta le lezioni dedicate a Spinoza. “Si tratta di un filosofo ebreo, nemico della nostra cultura” dicono indignati.
Intanto la guerra continua. Aerei inglesi bombardano alcune città tedesche, causando numerose vittime, anche fra i civili. Gli immigrati reagiscono con rabbia, ci sono manifestazioni, proteste, scontri con la polizia. Un brutto giorno accade un fatto tragico. In una strada di Londra un giovane di origini tedesche si mette a sparare all'impazzata sulla folla, uccide 18 persone prima di essere ucciso a sua volta. La popolazione britannica reagisce con rabbia. “mandiamo a casa loro queste canaglie” urlano i più nel corso di manifestazioni spontanee. “Blocchiamo gli sbarchi dei clandestini”, aggiungono altri.
Ma le autorità britanniche non intendono cedere ad alcuna deriva sciovinista. “Quel giovane assassino non rappresenta i migranti” dicono, “il suo è stato un atto criminale isolato”.

Un atto criminale isolato che però ha scosso il mondo intellettuale inglese. Qualche acutissima mente inizia a porsi domande fondamentali, che mettono in discussione nella sua globalità la politica britannica. “Noi continuiamo a dire di voler distruggere il nazismo, lo definiamo una dottrina aberrante, ma è proprio così che stanno le cose? In fondo il nazismo ha radici nella storia tedesca, criminalizzarlo non equivale e criminalizzare i profughi che abbiamo accolto?”
Quando queste parole di Daniel Fa, noto drammaturgo, vengono pubblicate da una prestigiosa rivista britannica si apre un dibattito che coinvolge le migliori teste del Regno Unito. Molti le criticano, altri le sostengono ed accusano i critici di essere affetti da “sciovinismo e xenofobia”. La magistratura inglese intanto apre un fascicolo a carico di una nota intellettuale di Cambridge, Orienne Fallaci, di origine francese; è sospettata di “germanofobia”.
Poi, dagli stati Uniti un eminente filosofo inglese, profondo conoscitore di Heidegger, John Vahttim, rompe gli indugi: “dobbiamo dirlo una volta per tutte” scrive su una famosa rivista di filosofia, “non si può considerare il nazismo come una filosofia criminale, così facendo rendiamo impossibile, tra le altre cose, une effettiva integrazione dei migranti nella società britannica. Certo, esistono nel nazismo aspetti aberranti, ma aspetti aberranti esistono in tutte le filosofie politiche. Correttamente interpretato il nazismo è una filosofia di pace”.
L'esempio di Vatthim è seguito da altri. “Stiamo combattendo da anni”, dice un noto pacifista, “con che risultati?” Un altro aggiunge: “che senso ha fare la guerra a cento milioni di tedeschi? Combattere la prima potenza economica e militare del mondo? Dobbiamo trasformare il nemico in interlocutore”. La pubblica opinione britannica è confusa.
Infine un eminente giornalista italiano emigrato in Gran Bretagna nel 1940, Giuliano Chiesetta, pubblica sul “Time” un articolo bomba. “Abbiamo sempre dato per scontato che le responsabilità della guerra siano tedesche”, afferma, “le cose stanno ben diversamente. Non è vero che è stata la Germania ad invadere la Polonia, la Germania si è limitata a reagire ad un tentativo di aggressione da parte della Polonia. La guerra che stiamo combattendo è stata originata da un diabolico complotto".
Lo scandalo è enorme, i dibattiti infuocati, lo sconcerto fra la pubblica opinione al massimo. Dagli Stati Uniti John Vahttim rincara la dose: “i danni che i nostri bombardamenti causano alla Germania sono molto più alti che quelli che i bombardamenti tedeschi causano a noi. I caduti tedeschi sono più numerosi di quelli inglesi. Basta col terrorismo psicologico, con le demonizzazioni dei nostri fratelli tedeschi. Le bombe di Hitler sono poco più che armi giocattolo”.

Intanto Hitler decide di rompere gli indugi. Una grande flotta tedesca si appresta ad invadere la Gran Bretagna. L'isola è scossa da grandi manifestazioni pacifiste. I migranti tedeschi marciano per le vie di Londra in prima fila, a braccetto dei pacifisti inglesi. La pubblica opinione preme sul governo affinché cessi l'inutile massacro.
Alla fine del 1941 si aprono in gran segreto le trattative fra il governo tedesco e quello britannico. Nel marzo del 1942 la Gran Bretagna dichiara la resa. La pace ha vinto!

Fantascienza vero? Si, cattiva fantascienza. Ma ricorda, mutatis mutandis, quanto avviene in Europa, da un giorno lontano: l'undici settembre 2001.

sabato 14 novembre 2015

ELENCO DEI CIALTRONI



La follia degli occidentali “buoni” è senza limiti. Anche di fronte alla tragedia immane di Parigi non la smettono di costruire giustificazioni, distinguo, per essere sintetici, di sparare STRONZATE.
Possiamo distinguere questi CIALTRONI in diverse categorie, proviamo ad esaminarle.

I FILOSOFI.
L'ISIS semina morte a Parigi e loro cosa fanno? Si esibiscono in profondissime dissertazioni pseudo filosofiche sulla “intrinseca malvagità dell'uomo”. “Il male è dentro di noi” affermano con aria contrita, “la natura umana è corrotta” aggiungono singhiozzando.
Come si dovrebbe giudicare uno stupratore assassino che dicesse ai suoi giudici: “è l'uomo in quanto tale ad essere malvagio”?
E' molto facile nascondere le aberrazioni di una ideologia religiosa dietro a considerazioni generalissime sulla “umana malvagità”. Tutti siamo colpevoli, quindi nessuno è colpevole...

I LEGALITARI.
“Non dobbiamo generalizzare”, dicono, “dobbiamo scoprire i colpevoli, far loro un rapido processo e, se la loro colpevolezza verrà provata, condannarli”. Un evento politico-sociale, l'esplosione di un selvaggio fondamentalismo religioso diventa un normale caso di cronaca nera. L'ISIS è solo una organizzazione criminale, possiamo combatterla a suon di avvisi di garanzia.

I TEOLOGI
“Il vero Islam è diverso”, dicono. “Correttamente interpretato il Corano è un libro di pace”. Si tratta di teologi un po' rachitici. Neppure sanno, i poverini, che l'Islam ritiene BLASFEMO ogni tentativo di interpretazione del Corano, ma questo è solo un dettaglio. Personalmente mi interessa molto poco stabilire se chi lapida le adultere, decapita gli apostati, infibula le donne e le ficca nei burka, spara, in tutto il mondo, a casaccio sulla folla, sia o non sia un vero islamico. Non so se esista o possa esistere un Islam laico, tollerante, liberale, democratico. Quello che so è che questo presunto Islam oggi NON esiste, o se esiste conta poco o nulla. Se un Islam diverso esiste si faccia vivo. I “veri islamici” scendano in piazza a centinaia di migliaia, urlino la loro rabbia contro i criminali, dicano no al terrore ed anche alle lapidazioni, alla pena di morte per apostati e bestemmiatori, alla repressione del libero pensiero. Per ora di cose simili non sembra esserci traccia.

GLI STORICI
“L'occidente ha tanto da farsi perdonare” dicono queste menti deboli, “pensiamo alle crociate”.
Veramente anche l'Islam ha qualcosa da farsi perdonare, ma anche questo è un dettaglio. Gli ebrei hanno subito per quasi due millenni orribili persecuzioni, soprattutto hanno buoni motivi per non amare troppo i tedeschi, ma non mi sembra che ci siano, o ci siano stati, ebrei che sparano, o abbiano sparato, a casaccio sulla folla a Berlino. Il comunismo ha provocato decine e decine di milioni di morti, ma il crollo del comunismo non è stato seguito, mi pare, da alcun eccidio di massa. Si potrebbe continuare.

I GEOPOLITICI
La colpa di tutto sta negli errori dell'occidente, noi abbiamo creato l'ISIS”.
Gli stati occidentali hanno, come tutti, la loro realpolitik e spesso commettono, nel portarla avanti, errori imperdonabili. Questo però non riduce di una virgola le colpe del fondamentalismo islamico né fa di questo una
creatura dell'occidente.
E' stato un errore imperdonabile far cadere Gheddafi, ma i tribalismi ed i fondamentalismi che si sono scatenati dopo la sua morte hanno radici profonde nella cultura islamica, non è stato di certo l'occidente a crearli.
L'occidente ha sbagliato quando ha creduto che la caduta di Mubarak in Egitto favorisse forze laiche e democratiche invece dei “fratelli musulmani”, questo non trasforma i fratelli musulmani in fantocci nelle mani degli occidentali.
Tra l'altro, molti di coloro che oggi accusano l'occidente di aver creato l'ISIS hanno applaudito, ieri, alle primavere arabe, alla caduta di Mubarak ed alla fine di Gheddafi. Ma questo è, di nuovo, un dettaglio.

I COMPLOTTISTI

“Ingenui, è tutto un complotto della CIA e del Mossad”. Non esistono prove di questi misteriosi complotti, ma, cosa volete che contino le prove? La mancanza di prove dimostra la diabolica abilità dei cospiratori.

GLI ECONOMISTI
“Seguite la pista del petrolio... tutto gira intorno all'oro nero, e al Dio denaro...”.
L'occidente per molti decenni si è procurato, ed ancora si procura, il petrolio pagandolo a prezzi spesso altissimi. Solo delle menti malate possono davvero credere che eventi come quelli di Parigi possano in qualche modo rendere più agevoli gli affari e le transazioni commerciali. Il fatto è che noi occidentali non riusciamo più a distinguere il diverso da noi. Poiché non siamo più afflitti dal fanatismo religioso pensiamo, o vogliamo pensare, che questo non esista. E cerchiamo la spiegazione di tutto in cose che a noi appaiono più plausibili. Ma nulla è tanto folle quanto negare che la follia esista.

GLI ANTISEMITI
“La colpa di tutto ha un nome, e si chiama Israele. Si dia una patria ai Palestinesi ed il problema del terrorismo sarà automaticamente risolto”. Veramente Hammas non vuole una patria per i Palestinesi ma la distruzione di Israele, basta leggere il suo programma per verificarlo, ma anche questo in fondo è un dettaglio. I terroristi islamici uccidono A New York come a Londra, a Madrid come a Parigi, in Tunisia come in India, in Russia come in Canada. Non solo. L'Islam è tormentato da guerre civili sanguinosissime. Sunniti contro sciiti, partiti teocratici contro tiranni psdeudo laici, Al Qaeda contro ISIS, Iran contro Iraq. Pensare che causa di tutto questo macello sia l'esistenza di una stato grande come la Lombardia, con una popolazione di cinque, sei milioni di abitanti, che sorge su un terreno desertico e del tutto privo di ricchezze naturali, è pura idiozia. Nella loro infinita stupidità gli occidentali “buoni” confondono il fondamentalismo religioso con un normale nazionalismo. Di nuovo, non riescono a riconoscere chi è diverso da loro. Pensano follemente che la follia non esista.

GLI INCREDULI

“Non capisco, fatti come quelli di Parigi sono
incomprensibili”.
Fatti come quelli di Parigi sono incomprensibili solo per chi non vuole comprendere. In realtà non c'è nulla da comprendere, la verità è sotto i nostri occhi, chiarissima. L'Islam fondamentalista ha dichiarato guerra all'occidente, punto e basta. C'è solo da prenderne atto.

Probabilmente l'elenco è incompleto, ma può bastare.

venerdì 13 novembre 2015

PARIGI




Ho dormito poco e male stanotte. Un pensiero soprattutto mi assillava: un anno fa, più o meno in questo periodo, mio nipotino era a Parigi, in gita scolastica.

L'undici settembre 2001 è scoppiata la terza guerra mondiale. Una guerra planetaria fra l'Islam fondamentalista e l'occidente. Ma gli occidentali, gli europei soprattutto, hanno fatto finta di non rendersene conto. Hanno negato che la guerra esistesse, non hanno voluto vedere ciò che era, ed è, sotto gli occhi di tutti, con palmare, innegabile evidenza. Ad ogni attentato hanno ripetuto le stesse insopportabili litanie. Qualcuno ha cercato, e cerca, di ridurre i vari massacri a normali episodi di cronaca nera, altri hanno parlato, e parlano, genericamente di “terrore”, “barbarie”, senza specificare il colore politico, sociale, religioso di quella barbarie e di quel terrore. Un po' come se Hitler fosse stato definito un “criminale”, senza aggiungere alla parola “criminale” la specificazione “nazista”. Altri ancora si sono inventati, e si inventano, complotti, o straparlano dei terroristi come di “falsi islamici”; e non ci spiegano come mai gli islamici veri, gli stessi che riempiono le piazze per protestare contro una vignetta, non si mobilitano in maniera massiccia contro dei criminali che snaturano la loro religione. Qualche cretino ha detto, e dice: “questi atti danneggiano anche l'Islam estremista, lo isolano agli occhi del mondo”, come se ai fondamentalisti islamici interessasse farsi accettare dalla pubblica opinione liberale e democratica.

Mentre l'Europa era sotto attacco gli europei hanno aperto le porte ad una immigrazione incontrollata, priva di filtri, limiti e controlli.
“I migranti non hanno niente a che vedere col terrorismo” hanno ripetuto sino alla noia i “buoni” di mezza Europa. Come se spalancare le porte ad enormi masse umane provenienti da paesi ammalati di fondamentalismo religioso non avesse conseguenza alcuna per la nostra sicurezza, come se lo stesso ISIS non avesse comunicato, con l'arroganza che gli è propria, che intendeva, ed intende, servirsi dei “migranti” per riempire le nostre città di terroristi pronti a tutto.
Ma la cosa forse più grave è un'altra. Gli occidentali, gli europei soprattutto, non hanno minimamente cercato, e non cercano, di integrare davvero i nuovi venuti, non hanno cercato, e non cercano, di far loro accettare i valori su cui, qui da noi, si basa la civile convivenza. Mentre il terrorismo islamico ci costringe a vivere sotto assedio gli europei “buoni” continuano a far atto di contrizione, a strapparsi le vesti, a chieder perdono per i crimini, veri o presunti, dei loro padri. “Noi siamo sporchi, brutti e cattivi”, dicono di continuo, "la nostra storia è solo un lungo elenco di crimini, i nostri valori falsi valori". E si guardano bene dal ricordare che anche la loro, dei nuovi venuti, storia non è proprio esente da fatterelli poco edificanti.

Invece di combattere senza tregua il terrorismo i leader politici della cosiddetta “Europa” si sono inventati l'islamofobia ed hanno creato il reato di “oltraggio alla religione islamica”.
Invece di mostrare ai figli degli immigrati le bellezze della nostra arte si vietano le visite ai musei dove sono esposte opere a sfondo religioso, e quante sono queste opere!
Invece di fare della scuola un momento di vera integrazione si sono trasformati i programmi scolastici in corsi di “politicamente corretto” della peggior specie.
E, nel momento stesso in cui l'antisemitismo risorge ovunque, i leader di quel mostro burocratico che è la UE non trovano nulla di meglio da fare che di marchiare i prodotti israeliani e si apprestano a riconoscere la cosiddetta Palestina, uno stato di cui non si conoscono i confini, la capitale, il governo; soprattutto, uno stato di cui non sin sa se vuole vivere accanto o al posto di Israele.

Mi spiace dirlo, ma questa Europa non ha futuro. O c'è un cambio radicale di rotta o siamo perduti.

lunedì 9 novembre 2015

SPORTIVI IPOCRITI



“La commissione indipendente istituita dalla Wada (l'agenzia mondiale antidoping) ha chiesto alla Iaaf (la federazione mondiale dell'atletica) che la Russia sia bandita dalle competizioni internazionali fino a quando Mosca non farà chiarezza sulle reiterate vicende doping che hanno negli ultimi tempi riguardato atleti russi.”
Questa la notizia, presa da “repubblica on line”. Che dire? C'è da gioire perché finalmente lo sport diventa “pulito”? No. A parte il fatto che, nello sport, come in ogni campo, le accuse vanno provate, c' solo da constatare la miserevole ipocrisia che pervade di se tutte le organizzazioni internazionali, comprese, e non ultime, quelle sportive.
Ai tempi della vecchia URSS il doping di stato era un autentico segreto di pulcinella. Che molti atleti, e soprattutto atlete, sovietiche fossero super dopate lo sapevano tutti. La DDR è stata per molto tempo una potenza sportiva di prim'ordine, in occasione di una olimpiade giunse addirittura a classificarsi prima nel medagliere, fra gli applausi di tutti coloro che vedevano nell'URSS e nei suoi alleati – satelliti un modello a cui ispirarsi. Lo dicevano in tanti che le atlete della DDR, e non solo, erano stracariche di ormoni maschili, ma nessuno prendeva provvedimento alcuno: lo vietava la retorica coesistenziale. Poi, col crollo del comunismo, della DDR e dell'URSS la verità è venuta a galla. Però nessuno, mi sembra, ha privato retroattivamente atleti ed atlete dopate delle loro medaglie, come invece è stato fatto in altri casi. Piccole ipocrisie dello sport.
Ed era un segreto di pulcinella, in quei tempi lontani, il famoso dilettantismo di stato. Per molto tempo le olimpiadi hanno preteso di essere riservate ai soli dilettanti. Molti atleti si sono visti privare retroattivamente di medaglie conquistate sul campo perché riconosciuti “colpevoli” di professionismo. Ai tempi del comunismo i formidabili atleti sovietici erano tutto tranne che dilettanti. Lo stato li pagava profumatamente perché si allenassero e conquistassero il maggior numero possibile di medaglie, in onore della patria, o delle patrie, del socialismo. Se qualcuno denunciava questo stato di cose era accusato di “anticomunismo viscerale”.

L'ipocrisia delle istituzioni sportive internazionali tuttavia non riguarda solo il passato. Accade spesso, oggi, che un atleta di qualche paese islamico rifiuti di gareggiare con un atleta israeliano. In questo caso l'atleta del paese islamico viene squalificato, e la cosa finisce lì. Però, lo sanno tutti che il rifiuto di gareggiare NON è una scelta del singolo, si tratta di una scelta di squadra. Le varie repubbliche islamiche non riconoscono Israele, neppure lo chiamano col suo nome, lo definiscono “entità sionista”. E' fin troppo evidente che nessun atleta, ad esempio, iraniano può gareggiare con un israeliano. Quando ci si trova di fronte a simili rifiuti andrebbe squalificata la squadra non il singolo, ma se le istituzioni sportive facessero una cosa simile subito scatterebbe l'accusa di “islamofobia”...
Né le cose si fermano qui. Le istituzioni sportive internazionali predicano ad ogni piè sospinto la parità di diritti fra i sessi, tuonano contro ogni forma di razzismo e di maschilismo. Però, fingono di non vedere che alle donne musulmane è proibita la partecipazione a moltissime gare, non si accorgono che queste donne non possono indossare vesti compatibili con la pratica sportiva, partecipano,
se partecipano, ai giochi solo se accompagnate e sorvegliate da maschi e cosette simili. Un atleta che si lasci scappare una parola interpretabile come “razzista” si becca fior di squalifiche, la segregazione delle donne musulmane invece si fa alla luce del sole, ed i santoni dello sport non hanno nulla da dire. Inezie...

E ora questi sepolcri imbiancati scoprono un presunto “doping di stato” riguardante la Russia. E strillano, e tuonano, e minacciano di squalificare lo squadrone russo, con tutte le conseguenze che una simile decisione comporterebbe, anche sul piano tecnico sportivo.
E' davvero molto, molto difficile prenderli sul serio.

domenica 8 novembre 2015

"SULLA DISUGUAGLIANZA" di Harry G. Frankfurt

Sulla disuguaglianza

“L'uguaglianza economica non è di per se moralmente importante e, allo stesso modo, la disuguaglianza economica non è in se moralmente riprovevole” (1) Questa la tesi di fondo sostenuta dal filosofo americano Harry G. Frankfurt ne “Sulla disuguaglianza”, Ugo Guanda editore.
Ciò che è importante non è che tutti abbiano la stessa quantità di denaro ma che ciascuno ne abbia abbastanza per condurre una buona vita: “non è importante che tutti abbiano lo stesso ma che ciascuno abbia abbastanza” (2), prosegue Frankfurt. Questa concezione, alternativa all'egualitarismo è chiamata da Frankfurt “dottrina della sufficienza”.

Con un argomentare sorretto da una logica tagliente e rigorosa Frankfurt confuta tutti gli argomenti a favore dell'egualitarismo mostrando che si basano, nella migliore delle ipotesi, su banali equivoci.
Sembra ad esempio che l'uguaglianza sia intuitivamente cosa buona. Ogni persona dotata di normali sentimenti umanitari non può che sentirsi profondamente a disagio di fronte allo spettacolo della estrema povertà in cui versano tanti esseri umani. Ma, siamo sicuri che sia proprio la disuguaglianza ciò che ci turba in casi simili? Frankfurt lo nega. Ciò che turba intuitivamente nello spettacolo della miseria non è tanto la disuguaglianza quanto la miseria stessa. E' il fatto che ci siano persone che muoiono di fame ad apparirci intollerabile, non il fatto che i loro redditi non siano uguali a quelli di chi è più fortunato di loro. L'uguaglianza in fondo potrebbe essere assicurata “stabilendo che tutti i redditi devono essere ugualmente al di sotto della soglia di povertà.” (3). Una simile situazione apparirebbe intuitivamente alla gran maggioranza egli esseri umani come deplorevole, anche se fondata sul più rigoroso ugualitarismo. Ad essere inaccettabile nello spettacolo della povertà non è tanto la violazione del principio egualitario quanto quella del principio di sufficienza. Ma il principio egualitario e quello di sufficienza sono logicamente indipendenti. Ciò che può essere sostenuto a sostegno di uno non può nel contempo esser sostenuto a sostegno dell'altro.”Eppure i sostenitori dell'ugualitarismo suppongono spesso di aver fornito prove a favore della loro posizione quando invece ciò che producono corrobora soltanto la dottrina della sufficienza” (4).

Qualcuno, anche fra gli egualitaristi, ritiene davvero che sia cosa buona cosa mettere al centro della propria vita l'obiettivo di avere lo stesso livello di ricchezza di una certa persona? Poniamo che Tizio sia molto portato per la matematica o che abbia del talento musicale. Potrebbe dedicarsi a studi scientifici o cercare di diventare un buon compositore, ma non lo fa. A Tizio interessa soprattutto riuscire ad avere lo stesso reddito di Caio. Valuta che solo se intraprende la carriera imprenditoriale può sperare di eguagliare le ricchezze di Caio, perciò non si occupa né di scienze né di musica ma cerca di diventare imprenditore. Giudicheremmo razionale il comportamento di Tizio? Vorremmo che un nostro figlio si comportasse come lui? Basta porsi la domanda per avere la risposta: un NO secco.
A volte si rinuncia, è vero, a sviluppare le proprie potenzialità e si accetta, per motivi economici, di fare lavori che non piacciono troppo. Ma in questi casi si mira alla sufficienza delle condizioni economiche, non alla loro uguaglianza con quelle di di qualcun altro. Una cosa è dire: “faccio questo lavoro che non mi piace troppo perché ho bisogno di un reddito”, cosa del tutto diversa dire: “faccio questo lavoro perché solo facendolo ho la possibilità di guadagnare quanto Tizio”. Chi mette al primo posto l'uguaglianza economica è portato inevitabilmente a trascurare quelli che sono i suoi interessi più particolari e peculiari. Ciò che conta per lui è solo uguagliare il livello di benessere di altri. In questo senso “sopravalutare l'importanza morale della uguaglianza economica (…) è dannoso perché alienante. Ci separa dalla nostra realtà individuale e ci porta a concentrare l'attenzione su desideri e bisogni che non sono nel modo più autentico i nostri” (5)

Frankfurt non affronta nel suo saggio, e si tratta di un limite, a modesto parere di chi scrive, il problema del rapporto fra uguaglianza e libertà. Non centra le sue critiche all'ugualitarismo sul noto argomento liberale secondo cui l'uguaglianza è, al di sopra di certi livelli, nemica della libertà; si limita a citare, mostrando di condividerla, tale argomentazione. Oggetto della sua vis polemica è la convinzione, purtroppo abbastanza diffusa, secondo cui l'uguaglianza sarebbe, in quanto tale, un valore moralmente positivo. Il filosofo americano capovolge il discorso: anche nei casi in cui è bene fare scelte egualitarie queste non si fondano sull'eccellenza morale dell'uguaglianza in quanto tale. Bellissima è a questo proposito la confutazione della tesi del filosofo liberale Isaiah Berlin secondo cui l'uguaglianza non richiede particolari ragioni mentre la disuguaglianza le richiede. Se devo dividere una torta fra dieci persone e non ho su queste nessuna informazione dividerò la torta in parti uguali, afferma Berlin. Solo se ho qualche informazione sulle persone fra cui la torta dovrà essere divisa farò parti diseguali. Potrei venire a sapere che Tizio soffre di diabete, quindi è bene che non mangi torte, o che Caio è particolarmente affamato. Potrei anche venire a sapere che Sempronio è il pasticcere che ha fatto la torta e decidere di conseguenza che questa spetta tutta a lui. Far parti diseguali richiede ragioni e conoscenze, farle uguali no. Quella egualitaria è la prima scelta che si compie, quella più “naturale”. Stavolta però Berlin, pensatore di grande acutezza, sbaglia. Se chi deve dividere la torta non ha nessuna informazione particolare sulle dieci persone fra cui questa deve essere divisa, argomenta Frankfurt, “ciò significa che le informazioni rilevanti di cui dispone (…) sono esattamente le stesse. Ma se le informazioni rilevanti (…) sono identiche (…) sarebbe arbitrario e non rispettoso trattare le persone in modo diverso”. (6)
Se l'unica cosa che so di due persone è che si tratta di due esseri umani, devo considerarle uguali fra loro: questo sono, in base alle informazioni in mio possesso. E se devo considerarle uguali devo trattarle in maniera uguale. Ciò che ci spinge a dividere in dieci parti uguali la famosa torta non è il valore morale dell'uguaglianza in quanto tale, ma il principio, di origine aristotelica, secondo cui bisogna trattare in maniera uguale gli uguali ed in maniera diseguale i diseguali. La stessa uguaglianza liberale dei diritti fondamentali si basa, o si basa anche, a ben vedere le cose, su qualcosa di simile. Tutte le persone sono profondamente diverse fra loro, ma sono anche tutte uguali, se considerate come genericamente appartenenti alla specie umana. In quanto esseri genericamente umani Tizio, Caio e Sempronio, Anna, Laura e Maria sono uguali fra loro, al di là di tutto ciò che li differenzia. Tutti, e tutte, devono perciò godere degli stessi diritti fondamentali. L'ugualitarismo filosofico non è il principio base neppure laddove sembra, a prima vista, inattaccabile.

Non è possibile esporre qui tutte le argomentazioni, sempre stringenti, di Frankfurt. Personalmente ho trovato particolarmente godibili le pagine dedicate a coloro che fondano la richiesta di uguaglianza sulla decrescita della utilità marginale. Più cresce la quantità di un certo bene minore diventa la sua utilità marginale. Se sto attraversando il deserto l'acqua avrà per me un enorme valore. In situazioni normali però l'acqua è piuttosto abbondante ed il suo valore marginale, il valore cioè di una unità di acqua in più che si aggiunge alla quantità di acqua già in mio possesso, sarà piuttosto basso. Togliere beni a chi ne ha già in abbondanza per darli a chi ne ha pochi massimizzerebbe l'utilità marginale aggregata: chi più ha vedrebbe ridurre di poco la propria utilità e chi ha poco la vedrebbe accrescere invece in misura considerevole. Questa teoria si basa però, argomenta Frankfurt, su due premesse entrambe false: primo, che tutte le persone abbiano la stessa scala di utilità e, secondo, che l'utilità marginale del denaro sia sempre decrescente. In particolare non è vero che l'utilità marginale del denaro decresca sempre, né che decresca in maniera uguale per tutti. Se è generalmente vero che, per una certa persona, l'utilità di un certo bene decresce al crescere della sua quantità, questo non è vero per il denaro. Il denaro infatti consente di passare da un bene all'altro, di sostituire un bene la cui utilità si rivela decrescente con un altro la cui utilità è invece crescente. La gran quantità di acqua che ho a disposizione fa si che per me l'acqua abbia una utilità marginale bassa, ma il denaro mi consente di sostituire parte dell'acqua con vino o birra che in un certo momento hanno una utilità marginale più alta. Anche prescindendo dalle difficoltà di ogni concezione che fondi la morale su considerazioni utilitaristiche, la posizione di chi difende l'uguaglianza con la massimizzazione della utilità aggregata risulta insostenibile.

Come si è visto Frankfurt oppone all'ugualitarismo il principio di sufficienza: non è importante che tutti abbiano lo stesso livello di ricchezza, è invece importante che tutti abbiano abbastanza. Frankfurt non sostiene che col suo principio intende garantire a tutti un livello minimo di sussistenza: non è bello per nessuno vivere sull'orlo del baratro. Sostiene al contrario che sarebbe moralmente accettabile che ognuno avesse il necessario per vivere una buona vita. Il concetto è, come si vede, abbastanza indeterminato. Quando si vive una buona vita? E, vivere una buona vita significa non essere interessati ad eventuali miglioramenti della propria esistenza? E, visto che si parla per lo più di uguaglianza economica, il denaro basta forse a garantirci una vita buona?
A queste domande non ci sono risposte precise. Non occorre essere critici del “Dio denaro” per sapere che questo non basta affatto a garantirci una esistenza degna di essere vissuta, tuttavia è molto difficile immaginare una esistenza buona, o anche solo decente, in condizioni di grande povertà. Quanto al resto, vivere una buona vita non significa non essere interessati ad ulteriori miglioramenti delle proprie condizioni, significa solo che questo interesse non diventa per noi un assillo. Sarei contento se avessi una maggior quantità di denaro, ma il non averla non mi rende infelice, esattamente come sarei contento di essere più alto di una decina di centimetri, ma non vivo nella depressione per il fatto di non esserlo. Non esiste un confine netto che separi la vita buona dalla vita che buona non è, e che ci dica, con matematica precisione, quando la vita è buona. Esistono però dei criteri che ci permettono di distinguere con sufficiente approssimazione la vita buona dalla vita cattiva, e tanto può bastare. L'etica non è una scienza esatta.
Val la pena di sottolineare la radicale differenza fra il principio di sufficienza e l'ugualitarismo. Poniamo che Tizio guadagni 30.000 euro al mese, Caio 3.000 e Sempronio 500. Tizio guadagna 27.000 euro e dieci volte più di Caio. Caio a sua volta guadagna 2.500 euro e sei volte più di Sempronio. Dal punto di vista del principio egualitario sarebbe più importante eguagliare la posizione di Caio a quella di Tizio, che non quella di Sempronio a quella di Caio. Invece è vero il contrario. Il compito davvero importante è avvicinare le posizioni di Caio e Sempronio, non quelle di Tizio e Caio. E le posizioni di Caio e Sempronio vanno avvicinate non per amore dell'uguaglianza, ma perché un reddito di 500 euro mensili non consente una vita buona, e neppure decente.
Frankfurt non indica quali politiche andrebbero perseguite al fine di realizzare il suo principio di sufficienza e questo è, probabilmente, un altro limite del suo saggio, tuttavia non credo che il filosofo americano sia favorevole a politiche troppo redistributive. Il principio di sufficienza richiede, per essere posto in essere, politiche di stimolo agli investimenti, all'innovazione tecnologica, all'impresa ben più che velleità alla Robin Hood.

Harry Frankfurt aveva pubblicato qualche anno fa un bellissimo libretto dal titolo assai intrigante: “Stronzate”. In questo breve saggio il filosofo americano attaccava quella nefasta categoria di persone che sparano continuamente stronzate, cioè enunciati che non hanno relazione alcuna con un qualsivoglia valore di verità. Con questo “Sulla diseguaglianza” Frankfurt forse supera, a mio modesto parere, la sua stessa, gustosissima, opera precedente.
Sulla disuguaglianza” si compone di 93 paginette, tutte da leggere, e da gustare, con la massima attenzione, perché in tutte è scritto qualcosa di importante. Poche paginette prive di inutili tecnicismi ed artificiosi ermetismi, scritte in stile chiaro e sorrette da una logica rigorosissima. L'esatto contrario delle opere di certi presunti maestri del pensiero che si dilungano per centinaia di spesso incomprensibili pagine, cadendo in continue contraddizioni, senza dire assolutamente nulla. Ciò che è veramente profondo può essere quasi sempre espresso in maniera chiara, sono le banalità pseudo filosofiche che si ammantano di oscurità. “Ho letto il libro del tale... era tanto difficile, non ci ho capito nulla”, si sente dire a volte. Chi fa simili affermazioni confonde spesso la difficoltà di un'opera con l'oscurità del suo linguaggio. Spesso la difficoltà è inevitabile, ma l'oscurità ermetica serve sempre a nascondere la banalità del nulla. O emerite stronzate.
Per fortuna c'è ancora qualcuno che scrive cose che meritano di essere lette! Il professor Frankfurt è una di queste poche, preziose persone.








NOTE
1) Harry G, Frankfurt: Sulla disuguaglianza, Ugo Guanda editore 2015. pag. 20
2) Ibidem pag. 20 21.
3) Ibidem pag. 17
4) Ibidem pag. 51
5) Ibidem pag. 25
6) Ibidem pag. 85






venerdì 6 novembre 2015

IL PROFESSOR BOERI E LE PENSIONI

Il presidente dell'INPS, professor Tito Boeri è un implacabile nemico di quelle che per lui sono “pensioni d'oro”.
Pensioni d'oro, un'altra espressione linguistica creata al puro scopo di ingannare la gente. Sarebbero infatti “d'oro” le pensioni al di sopra dei 3.500 euro mensili lordi, insomma, le pensioni che assicurano al pensionato un livello di vita decente. Ma, a parte ogni considerazioni sul livello di vita di chi percepisce pensioni oltre questa soglia, è fin troppo chiaro ciò che persegue chi le definisce “d'oro”. Il pensionato che gode di una pensione decente è un privilegiato che dovrebbe costantemente scusarsi per il solo fatto di non essere alla fame e che è doveroso taglieggiare quando si va a caccia di soldi, per i più svariati motivi.
Poco tempo fa il professor Boeri aveva proposto di tagliare le pensioni di chi decide di andare a vivere all'estero, ma le sue parole erano state accolte da un imbarazzato silenzio. Ora tira fuori dal cappello un'altra brillantissima idea. Occorre, dice il professore, garantire un reddito di almeno 500 euro mensili agli “over 55”  che abbiano perso il lavoro. Come finanziare questo reddito? Elementare, tagliando le “pensioni d'oro”. Chi supera i 5.000 euro mensili lordi dovrà versare un contributo si solidarietà, alle pensioni fra i 3.500 ed i 5.000 euro mensili lordi sarà eliminata la indicizzazione. Non si tratta di una manovra per far cassa, ha detto il professor Boeri ma di una proposta che mira alla equità. Commoventi parole.
Il professor Boeri ha, come tutti, il diritto di avere le sue idee su cosa sia o cosa non sia equo. Ma il professore va ben oltre. Lui ha una sua idea di equità ed intende realizzarla. Come? Mettendo le manine nelle tasche della gente. Per lui è “iniquo” che qualcuno goda di una pensione superiore ai 3500 euro mensili lordi e cosa fa? Gli porta via una parte dei suoi soldi. Un po' come se io avessi una certa idea di cosa sia la carità, poi andassi da Tizio, e gli dicessi, pistola in pugno: “dammi i soldi che hai in tasca, io li distribuirò ai poveri perché si tratta di un atto molto caritatevole”. Tutti sono bravi ad essere pieni si caritatevole amore per il prossimo. Con i soldi degli altri.

Qualcuno potrebbe obiettare che la proposta del professore non fa altro che ricondurre al sistema contributivo pensioni calcolate invece secondo il sistema retributivo. Però è notorio che dietro a pensioni di 3.500 euro mensili lordi ci sono, nella stragrande maggioranza dei casi, decenni di contribuzioni. Il professore chiede di toccare proprio quelle pensioni che più di tutte si avvicinano al sistema contributivo. Personalmente penso che le pensioni dovrebbero essere calcolate in base ai contributi versati, ma questo dovrebbe valere per tutti, con esclusione delle pensioni minime. Negli stati di diritto le leggi hanno la pessima abitudine di essere uguali per tutti. Non si fa una legge per Tizio, un'altra per Caio ed un'altra ancora per Sempronio. Non si distribuisce denaro a certe categorie, di cui magari si aspira al voto, togliendolo ad altre, che pure quel denaro se lo sono onestamente guadagnato lavorando. Se passa un simile andazzo si apre la porta ad ogni abuso. Chiunque può finanziare le proprie clientele semplicemente colpendo strati sociali che hanno la sfortuna di essere poco numerosi e quindi scarsamente rilevanti ai fini elettorali.
Soprattutto, è intollerabile che politici ed alti burocrati considerino “cosa loro” le pensioni degli italiani. Le pensioni sono salario differito, risparmio dei lavoratori, denaro di cui questi si privano oggi per avere un reddito domani. Qualcuno finge di non capire questa verità elementare e pensa di finanziare con i soldi dei pensionati ogni idea stramba che gli viene in mente.

Ma, si potrebbe obiettare, e i disoccupati? Non è equo, non è umano dare la mano a chi ha perso il lavoro, specie se ha una età che rende difficile il suo reinserimento sul mercato?
Chi perde il lavoro non va lasciato solo, questo è ovvio, appunto per questo esistono gli ammortizzatori sociali, la cassa integrazione. Ma è fin troppo chiaro che non sarà un reddito garantito di 500 euro mensili a risolvere i problemi: non si vive con 500 euro mensili. Il problema di chi perde il posto di lavoro si risolve non elargendo elemosine sine die ma creando posti di lavoro. Gli ammortizzatori sociali, la cassa integrazione vanno bene come misure temporanee che permettano a chi ha perso il lavoro di tirare avanti nell'attesa di essere reinserito, ma non possono in alcun modo sostituire il lavoro. Il dramma della disoccupazione può essere risolto, o reso meno grave, solo se l'economia riparte, e a questo fine non servono interventi demagogici, ma riduzione della pressione fiscale, snellimento della burocrazia, eliminazione di molte delle regole e divieti che, letteralmente, impediscono alla gente di lavorare. Pensare che proposte come quella del professor Boeri, di fatto una legalizzazione del furto ai danni di chi ha lavorato, possano indurre la gente a lavorare ed a investire è semplicemente folle.

Il professor Boeri non è parlamentare, nessuno lo ha votato. Non è ministro, non fa parte di un governo che abbia ottenuto la fiducia del parlamento. E' un alto burocrate che dirige un grosso ente pubblico. Suo compito dovrebbe essere quello di gestire l'ente di cui è presidente, punto e basta.
Invece non si stanca di fare autentiche proposte di legge, cosa che non ha nulla a che vedere con la carica che ricopre.
E' questo l'italico andazzo. Negli stati di diritto le leggi le fa il parlamento e solo il parlamento. In paesi giuridicamente civili sindacati ed associazioni di categoria, magistrati ed alti burocrati neppure si sognano di proporre al governo questa o quella legge. In questi paesi un alto burocrate può al massimo, come privato cittadino, avere certe idee su questa o quella legge, e votare di conseguenza. In Italia invece sindacati e magistrati, alti burocrati ed associazioni di categoria si sentono investiti del compito di “contribuire” alla formazione delle leggi e premono spesso e volentieri sul parlamento a questo fine. Una situazione al limite della costituzionalità.
In un altro paese un burocrate che, come il professor Boeri, si divertisse a sfornare progetti di legge sarebbe esonerato dal suo incarico. In Italia invece, c'è da scommetterci, nessuno manderà a casa il benemerito professore. Potrà continuare a percepire la sua retribuzione, d'oro.

domenica 1 novembre 2015

PENSIERINI SULLE DIETE

Ho già postato sul blog “secondo Giovanni” uno scritto sulla decisione della OMS di classificare come cancerogene le carni rosse e non voglio ampliare ancora il discorso, ma qualche ulteriore considerazione val la pena di farla.
C'è da scommetterci, le prossime festività natalizie vedranno una mobilitazione in grande stile degli “anti carnivori” e, c'è sempre da scommetterci, questi uniranno alle considerazioni di tipo etico religioso, rispettabili anche se teoricamente inconsistenti, altre considerazioni, di tipo salutistico scientifico. Avviene così in Italia e non solo: problematiche scientifiche vengono affrontate in maniera ideologica, si fa il tifo per questa o quella teoria esattamente come si tifa per una squadra di calcio o si vota per un partito politico. La scienza, è noto, è cosa del tutto diversa.

Che le diete vegane e vegetariane, siano “salubri” rischia di diventare un luogo comune. Ma... è fondato? Non sono uno scienziato e non ho particolari conoscenze mediche, ma qualche domanda e considerazione credo di poterle fare.
Ho subito circa dieci anni fa un intervento chirurgico piuttosto pesante, che mi ha tenuto in ospedale, a Verona, per oltre un mese e mezzo. Per molto tempo sono stato alimentato solo con le flebo. Poi, lentamente, ho iniziato a mangiare qualcosa. Avevo perso un sacco di chili ed ero molto debilitato, dovevo recuperare un po' di forze. La dieta che i medici mi hanno prescritto (e si tratta di professionisti semplicemente formidabili) comprendeva brodo di carne, prosciutto crudo e cotto, bresaola, alimenti sempre e comunque fortemente cancerogeni, per i vegani.

Quanti lattanti che la madre, per qualsiasi motivo, non può allattare al seno seguono diete vegane? A quanti di loro viene negato il latte? A quanti bambini viene imposta una dieta priva non solo di carne e pesce ma anche di uova, latte, burro, formaggi?

Una volta ero impegnato in una escursione in montagna, piuttosto dura. La meta era un lago situato ad oltre 2700 metri di quota. Ad un certo punto mi sono sentito molto stanco, vuoto dentro. Mi sono fermato, ho bevuto del succo di frutta, ho consumato del latte condensato e del cioccolato, al latte. Meno di un'ora dopo era sulla riva del lago, circondato da una natura incredibile.
Quanti alpinisti, quanti sportivi sotto allenamento seguono diete in cui non siano presenti, oltre a carne  e pesce,  alimenti come il latte, i formaggi o le uova,?

Quando si confrontano campioni di popolazione per verificare se certe diete siano o meno salubri bisognerebbe che si tenesse conto non dell'insorgere di una sola ma di numerose malattie. Se una certa dieta diminuisce la probabilità di contrarre una malattia, ma aumenta quella di contrarne altre dieci, sia pure, una per una, meno gravi, ho qualche dubbio a definirla “salubre”. Inoltre nei campioni statistici andrebbero inseriti i rappresentanti di tutte le varie classi della popolazione. Adulti e bambini, vecchi e giovani, sani e malati. A seguire diete non onnivore sono invece, di solito, persone che appartengono a certi strati della popolazione: adulti in buona salute per lo più. Questo far sorgere il rischio di scambiare le cause con gli effetti: Tizio è sano perché segue una dieta vegana o segue una dieta vegana perché è sano?
Non occorre essere un esperto di statistica per nutrire dubbi su simili campionature.

Ultima considerazione, che non c'entra nulla con le precedenti.
Nel mondo ci sono numerosi paesi e numerosi governi. Ed in ogni paese ci sono numerosi medici che seguono numerosi pazienti. I vari governi, sembra, dovrebbero essere i più informati sulla situazione sanitaria dei loro paesi, e sembra anche che i singoli medici possano ognuno proporre ai propri pazienti le diete più salubri ed adatte alle loro esigenze. La dieta migliore, lo sanno tutti, è quella personalizzata.
Ma così non è, per qualcuno. Un gruppo di burocrati si riunisce e sulla base di proprie esperienze, più spesso di proprie convinzioni ideologiche, stabilisce che questo e quello sono o non sono dannosi. Lo stabilisce in linea generale, con decreti validi per tutti. Le organizzazioni internazionali non elaborano teorie, emettono sentenze, su tutto, dal cibo al clima, dalla psicologia al sesso e sulla base delle loro inappellabili sentenze spingono i governi a regolamentare in maniera sempre più totalizzante la vita degli esseri umani.
Tutto questo non ha nulla a che vedere con la scienza. La scienza vera avanza col dibattito, la verifica, il confronto metodico dei dati. Ha invece molto a che vedere con l'ideologia totalitaria.