sabato 23 gennaio 2016

GLI EBREI

Il 27 gennaio sarà la giornata della memoria, e molto probabilmente assisteremo alla solita orgia di retorica ipocrisia.
Ci sarà, è facile prevederlo, qualche ebreo che si vergogna di essere tale che farà paragoni indecenti. Vogliamo scommettere che qualcuno dirà che gli ebrei di oggi sono i palestinesi, o che lo sono i “migranti”? E che qualcuno sussurrerà che i nazisti di oggi sono... gli israeliani? Non si rischia molto a fare simili scommesse.

Solo per mettere qualche puntino sulle “i”, val la pena di fare qualche precisazione.
Gli ebrei non sono stati perseguitati per ciò che hanno fatto. Non voglio fare stupide apologie, sono convinto che nessun popolo sia del tutto “innocente”, ma mi sembra fin troppo evidente che se c'è un popolo che non ha troppe cose da farsi perdonare, questo è il popolo ebraico. Si guardi la storia di tutti i paesi, si veda come si sono formati, si scavi nel loro passato e si scopriranno fiumi di sangue. Poi, si guardi alla storia degli ebrei e si scoprirà che gran parte del sangue che la caratterizza è sangue ebraico.
Gli ebrei non sono stati perseguitati per la arretratezza della loro cultura. Parlare di “arretratezza culturale” riferendosi agli ebrei può solo far sorridere. Semmai ci sono ottimi motivi per ritenere che siano stati gli incredibili successi ottenuti dagli ebrei in tutti i campi uno dei motivi delle fortissime ostilità che li hanno circondati. Né gli ebrei sono stati perseguitati in occidente perché estranei alla nostra civiltà. Mosè Maimonide, Spinoza, Marx, Freud, Einstein, Wittgenstein, Isaih Berlin, David Oistrakh... Il contributo che gli ebrei hanno dato, nel bene ed ovviamente anche nel male, allo sviluppo della nostra civiltà può difficilmente essere sopravalutato.
Queste telegrafiche precisazioni bastano ad evidenziare la differenza fra l'antisemitismo ed i sentimenti di ostilità nei confronti di altre etnie, ad esempio, rom o musulmani. Nessuno accusa i rom di aver provocato la crisi finanziaria e nessuno si sogna di dire che la rivoluzione d'ottobre è stata il frutto di una cospirazione islamica. Gli ebrei invece sono stati accusati, insieme, di provocare disastri economici e rivoluzioni comuniste. L'odio nei loro confronti prescinde da qualsiasi considerazione dei fatti. Si eliminino lapidazioni e guerre sante, furti e bambini costretti a mendicare e l'ostilità nei confronti di islamici e rom si attenua fin quasi a scomparire. I risultati eccelsi raggiunti in moltissimi campi della umana creatività da pensatori ed artisti ebrei sembra invece alimentare l'odio antiebraico.

Gli ebrei hanno conservato nel corso di tutta la loro storia la propria identità culturale. La hanno conservata anche se costretti a vivere in ambienti molto spesso loro ostili. Hanno dato contributi di altissimo valore ai paesi che li ospitavano, riuscendo a volte  a conquistare in questi posizioni sociali molto elevate, senza mai perdere del tutto le proprie caratteristiche identitarie. Minoranza perseguitata, o comunque discriminata, ma culturalmente vivacissima sono stati visti spesso e volentieri dagli “altri” come i responsabili di tutto ciò che di negativo esisteva nelle loro vite. Gli ebrei sono stati vittime di quella tendenza perversa, presente in ogni essere umano, che consiste nel voler cercare sempre un responsabile di tutto ciò che non va. Un responsabile in senso stretto: una persona o un gruppo, qualcuno che appare “estraneo”, anche se spesso non lo è, a cui addebitare la colpa di tutto ciò che ci spaventa e ci opprime. Gli ebrei erano un “gruppo” fortemente minoritario, relativamente coeso, socialmente e politicamente debole anche se forte culturalmente e a volte anche economicamente, e su cui pesava inoltre la orribile accusa di “deicidio”. Gli ebrei potevano essere odiati dai comunisti in quanto "capitalisti" e dai capitalisti in quanto "comunisti". Potevano essere detestati dai laici in quanto religiosi e dai religiosi in quanto campioni di libero pensiero. Potevano apparire, insieme, sradicati e culturalmente coesi. Chi meglio di loro si prestava, e si presta, ad assumere il ruolo di capro espiatorio?
Crisi economiche, guerre, fanatismo, disordini sociali, la colpa di tutto è in quel gruppo di persone “strane”. Certo, a prima vista sono persone assolutamente normali. Lavorano, non violano alcuna legge, rispettano gli altri, non chiedono privilegi di sorta, sono intelligenti, hanno scritto cose importanti, ma, sotto sotto, tramano per distruggerci. Vedete? Alcuni di loro sono comunisti, altri liberali, altri ancora sono grandi imprenditori, o poeti, o musicisti, o filosofi e scienziati... li ammirate per questo? O siete d'accordo con alcuni di loro e in disaccordo con altri? Ad esempio, coi liberali e non coi comunisti? Sbagliate. Liberali o comunisti, rivoluzionari, filosofi o imprenditori gli ebrei hanno un solo obiettivo: la nostra distruzione, il dominio del mondo!

Non a caso oggi l'antisemitismo assume le sembianze dell'odio anti israeliano. Uno stato delle dimensioni della Lombardia, con sei, sette milioni di abitanti, che sorge in un terreno desertico, praticamente privo di risorse naturali, viene additato da molti, compresi molti “intellettuali”, come la causa di tutti o quasi i mali del mondo.
Gli Israeliani sono i responsabili di tutto: dalle crisi finanziare, al crollo delle torri gemelle, ai comportamenti poco civili di certi “migranti”; sono responsabili anche dei crimini di chi mira solo a massacrarli. I veri amici degli ebrei sono coloro che simpatizzano con chi vuole distruggere il loro stato.
Ci sono oggi “intellettuali” che affermano seriamente che un fenomeno planetario come il fondamentalismo islamico scomparirebbe se solo i “palestinesi” avessero il loro stato, cioè se Israele cessasse di esistere. E c'è più di un politico che prende sul serio simili stronzate! Neppure gli passa per la testa che la fine di Israele significherebbe il crollo della civiltà europea! Le assurdità vanno di moda oggi nell'occidente politicamente corretto!
Israele oggi è per gli anti semiti “l'ebreo collettivo”, lo stato paria a cui addossare le colpe di tutto. Altro che fare sottili distinzioni fra antisemitismo e anti sionismo! Certo, si può non essere sionisti senza per questo essere anti semiti, ma chi nega, in nome della ostilità culturale al sionismo, diritto di esistenza ad uno stato che esiste da circa 70 anni, è un po' sullo stesso livello di chi, culturalmente ostile al nazionalismo, negasse il diritto alla esistenza dell'Italia come stato nazionale. Una palese assurdità.

Nella primavera del 1945, chiuso nel bunker della cancelleria, con i russi ormai a Berlino, Adolf Hitler rimuginava sul suo passato. Si attribuiva un solo errore: aver sottovalutato la potenza degli ebrei. Gli ebrei con le loro diaboliche cospirazioni lo avevano battuto, non gli americani, i russi e gli inglesi. La colpa del disastro suo e della Germania non andava cercata nella follia che lo aveva spinto a combattere, insieme, USA, URSS e Gran Bretagna. No, la colpa era dell'ebreo, dell'eterno, diabolico, potentissimo ebreo. L'irrazionalità di simili farneticazioni lascia di stucco, ma sono molto diverse da altre farneticazioni oggi assai diffuse? Non sono altrettanto folli le farneticazioni delle femministe occidentali che oggi solidarizzano con chi lapida le adultere? O degli omosessuali occidentali che amano chi getta i gay dalle torri? E c'è una qualsiasi razionalità nei discorsi di chi, di fronte alle decapitazioni, ai roghi, alle donne vendute come schiave sessuali, ai cristiani impalati e crocifissi non trova nulla di meglio che prendersela con Israele?
C'è nell'antisemitismo e nell'odio per Israele una fortissima componente irrazionale. Si tratta della manifestazione spaventosa dell'odio dell'occidente verso se stesso, un sentimento perverso, distruttivo ed autodistruttivo. Molti occidentali odiano Israele perché odiano la loro civiltà, sono oppressi dai sensi di colpa, non si perdonano di essere civili, relativamente colti e benestanti. Attribuiscono a se ed alla loro civiltà tutti i mali che del mondo e scaricano questi mali sullo stato degli ebrei, esattamente come il piccolo caporale austriaco scaricava sulle vittime dei campi di sterminio i risultati disastrosi della sua folle politica.
Per questo sarebbe bene che nella giornata della memoria si parlasse un po' meno di ciò che è avvenuto 70 anni fa ed un po' di più di ciò che avviene oggi. Ma si tratta di una speranza vana. Non è improbabile che anche la giornata della memoria diventi una passerella di odio anti israeliano. Al peggio non c'è mai fine, e nulla è tanto folle quanto negare la follia.

martedì 19 gennaio 2016

I "MIGRANTI" E LE NOSTRE PENSIONI

I migranti ci pagheranno la pensione. Lo si dice sempre più spesso e lo ripete con grande insistenza la signora presidente della camera.
Il ragionamento è più o meno questo: “Il sistema pensionistico prevalente in Europa è a ripartizione. I contributi versati da coloro che lavorano non vengono accumulati per pagare le loro pensioni, servono invece a pagare quelle di chi è già pensionato. La popolazione europea però è sempre più vecchia; a fronte di un numero sempre minore di giovani che lavorano sta un numero sempre crescente di pensionati. Se non si immettono forze nuove, giovani, sul mercato del lavoro alla lunga diventerà impossibile pagare le pensioni a tutti gli anziani. Da qui la necessità di aprire le porte dei nostri paesi ai giovani migranti. Loro ci salveranno”
Regge un simile discorso? Vediamo.

In primo luogo si tratta di un discorso fortemente estrapolazionista. Si esaminano certe tendenze in atto oggi e le si proietta in un futuro indeterminato. “Visto che oggi i tassi di natalità e di mortalità sono del tot per cento”, si dice, “nel 2050 il rapporto fra giovani ed anziani in Europa sarà di tot”. Però, chi dice che il tasso di natalità di oggi resterà invariato per oltre 30 anni? Nessuno può dirlo. Facendo ardite estrapolazioni gli “esperti” del club di Roma pronosticarono, negli anni 70 dello scorso secolo, l'esaurimento di quasi tutte le principali materie prime e fonti di energia entro il 2000. Si è visto come sono andate le cose. Ragionando in maniera estrapolazionista si dovrebbe concludere che l'età della pietra è finita quando si sono esaurite le pietre, un po' semplicistico vero?
Inoltre, per seguire gli estrapolazionisti sul loro terreno, in base ai loro discorsi dovremmo concludere che l'immissione dei migranti può solo ritardare il tracollo. Una tendenza di lungo periodo, questa si abbastanza confermata dai fatti, mostra che col crescere del benessere si riduce il tasso di natalità. Se questo provoca gli effetti devastanti di cui si parla, l'arrivo dei giovani migranti, può solo posticipare la fine di venti o trenta anni. In ogni caso c'è poco da stare allegri, almeno per i prossimi secoli!
Lasciamo perdere le previsioni secolari! La riduzione del tasso di natalità è in realtà una buona notizia. E' incredibile che i tanti che piangono per la “sorte del pianeta” non si pongano neppure il problema se questo può reggere una popolazione indefinitamente crescente. Certo, in occidente la contrazione della natalità è stata eccessiva, ma pensare che il rimedio consista nell'immettere masse sterminate di migranti nei nostri sistemi economici e sociali è leggermente folle.

Veniamo al punto centrale. E' vero che l'immissione di quote sempre crescenti di giovani migranti nelle nostre società salverà il sistema pensionistico? La risposta è NO. Per poterci pagare domani la pensione i giovani “migranti” che arrivano oggi sui barconi devono trovare un lavoro, produrre, guadagnare, pagare i contributi pensionistici. Ad essere decisiva non è la mera presenza nel nostro paese di tanti giovani, ma la capacità del sistema economico di assorbirli, farli diventare produttori efficienti. Ora, non occorre un dottorato in economia per rendersi conto che nessun sistema economico è in grado di assorbire una massa indefinitamente crescente di forza lavoro. A maggior ragione non è in grado di assorbire masse crescenti di giovani del tutto privi di specializzazione, dequalificati, che ignorano la lingua del paese in cui vivono. Il nostro sistema economico è già caratterizzato da una elevatissima disoccupazione giovanile, ci vuole proprio un ottimismo esagerato per pensare che possa dare lavoro ad un numero imprecisato di nuovi giovani venuti.
Ragionando come fanno alcuni si potrebbe ipotizzare che se arrivassero in Italia dieci milioni di giovani “migranti” le casse dell'INPS si riempirebbero di soldi dall'oggi al domani! Le cose stanno invece in maniera diametralmente opposta. I nuovi venuti non trovano, in gran maggioranza, lavoro o trovano al massimo lavori dequalificati, scarsamente produttivi quando non collegati ad attività criminali. Si forma così una gran massa di persone che non producano ma consumano, ovviamente. Chi paga i consumi di queste persone? Semplice, il sistema dello stato sociale, spesso proprio l'INPS. I pochi italiani che lavorano devono  mantenere non solo i pensionati ed i giovani italiani senza lavoro, ma anche i giovani migranti, anche loro senza lavoro. Tutto questo blocca lo sviluppo ed impedisce l'assorbimento nel mercato del lavoro delle nuove generazioni, in un pericolosissimo circolo vizioso. Altro che “migranti” che ci pagheranno le pensioni! Sono i lavoratori italiani che pagano, spesso, vitto ed alloggio ai “migranti”!
Tutto questo senza contare le difficoltà inevitabilmente destinate a caratterizzare la convivenza fra persone di culture diverse, portatrici di valori, modi di vivere, usi ed abitudini spesso incompatibili fra loro e destinati a pesare, e molto, negli stessi rapporti di lavoro.

A suo tempo la tanto contestata legge Bossi Fini prevedeva che potessero entrare in Italia solo quelle persone che avevano un contratto di lavoro. Si cercava di stabilire un equilibrio fra nuovi venuti e possibilità di assorbimento da parte del sistema produttivo. In una simile impostazione del problema aveva senso parlare di futuro contributo dei migranti al mantenimento del sistema pensionistico. Ma la Bossi Fini è stata massacrata e sostituita dalla attuale politica delle porte aperte a tutti, senza limiti né filtri. E gli stessi che la hanno massacrata cianciano di “migranti che ci pagheranno le pensioni”! Ridicolo!
Ultima considerazione. Chi ha detto che il sistema pensionistico debba per sempre essere a ripartizione? Un sistema a ripartizione può reggere solo se si conserva indefinitamente un certo rapporto fra popolazione attiva e popolazione in pensione. Ma è proprio la invariabilità di un simile rapporto ad essere quanto mai improbabile. Invece di invocare l'arrivo dei migranti per salvare la baracca del sistema a ripartizione varrebbe la pena di fare un pensierino sul sistema a capitalizzazione. O no?

venerdì 15 gennaio 2016

INDIVIDUALE, PARTICOLARE, UNIVERSALE

L'uomo è solo individuo? O è solo un universale astratto? Esiste solo Tizio, quel certo uomo, unico, isolato, una sorta di monade senza finestre sul mondo? O esiste solo l'uomo in generale, la idea dell'uomo platonica o la aristotelica “forma sostanziale” umana?
C'è da chiederselo leggendo certi commenti agli ormai notissimi, malgrado i tentativi di censura, fatti di Colonia. Da un lato c'è chi dice che si tratta solo di una somma di fatti individuali, che riguardano solo chi li ha commessi. Dall'altro ci sono gli svolazzi di chi parla della natura umana in generale, meglio della natura di quella metà dell'umanità che è formata da chi è di sesso maschile. Tutto è individuale, quindi, oppure tutto è universale. Cosa manca in questi quadretti? Semplice, manca il particolare. Manca ogni riferimento al quadro sociale, alla cultura, alla civiltà. Da un lato la natura umana, dall'altro Tizio, Caio e Sempronio, in mezzo nulla.
Eppure proprio la sinistra ha fatto a suo tempo del particolare la chiave che apre ogni porta. L'uomo in generale non esiste, hanno ripetuto sino alla noia i cultori del materialismo storico, si tratta di una cattiva astrazione. Ed astrazione ancora peggiore è quella dell'individuo, del singolo considerato a prescindere dal gruppo sociale di appartenenza. L'uomo va considerato sempre e solo quale membro di un collettivo, di un gruppo sociale. Non esistono individui o uomini astrattamente intesi, esistono borghesi e proletari, signori feudali e servi della gleba; il quadro sociale determina il modo di pensare ed agire degli esseri umani, per intero, senza residui . Quando erano marxisti gli uomini di sinistra ripetevano fino alla noia simili concetti. Ora li hanno non corretti, rivisti o esplicitamente abbandonati. Semplicemente rimossi. O almeno, li rimuovono quando c'è di mezzo una certa cultura, una certa civiltà, l'oggetto del nuovo loro amore: l'Islam.

In realtà l'uomo non è solo individualità, universalità o particolarità. Parafrasando Aristotele possiamo dire che l'uomo è sinolo di i individualità, particolarità ed universalità. Tizio è un individuo, è quel certo uomo, diverso da tutti gli altri e si sviluppa come individuo nell'ambiente socio economico e culturale di cui è membro. Ma può avere un tale sviluppo perché è genericamente essere umano, partecipe di una natura umana che lo rende in qualche modo simile a tutti gli altri uomini.
Chi riduce l'uomo al gruppo sociale di appartenenza dimentica l'elementare verità che la capacità di relazionarsi socialmente è parte della natura umana. I gruppi sociali esistono perché esistono esseri umani ed individui capaci di reciproche relazioni, non viceversa. I lombrichi non creano gruppi sociali, e le società animali sono radicalmente diverse da quelle umane. D'altra parte chi sottovaluta il momento della particolarità non tiene conto del fatto che qualsiasi individuo appartiene sempre ad un gruppo sociale e culturale e che molto nel suo comportamento è influenzato da questa appartenenza. Certo, non esistono catene socio culturali che rendano impossibile ad un individuo abbandonare idee, usi e costumi, abitudini, ereditate dal gruppo di appartenenza, ma il fatto stesso che si possano abbandonare, e con difficoltà, queste idee, abitudini, usi e costumi ereditati dimostra insieme la loro esistenza e la loro importanza. Chi è nato e vissuto in una società schiavista può interrogarsi sulla liceità dello schiavismo e contestare le idee di chi invece considera del tutto “naturale” questa istituzione, ma questo dimostra solo che l'uomo non è un prodotto automatico dell'ambiente sociale e culturale non che questo non esista o non conti.

Proprio questo fanno invece gli esponenti della sinistra italiana, e non solo, ogni volta che che i nostri fratelli islamici ne combinano qualcuna delle loro, cioè, quasi tutti i giorni, ormai.
“Bisogna arrestare i colpevoli” strillano. “Non generalizziamo”, aggiungono. “Non si tratta di islamici ma di criminali” concludono con piglio severo. La giusta, sacrosanta, esigenza di punire i colpevoli, i singoli colpevoli, di attentati e massacri viene usata per far passare in secondo o terzo piano il problema del rapporto politico con una cultura che produce di continuo il terrore. Un po' come se i crimini di Stalin avessero riguardato solo Ivan, Fedor ed Igor e lo sterminio degli ebrei potesse essere considerato, prima che la caratteristica criminale di un movimento politico, un crimine da perseguire solo giudiziariamente.
Poi arrivano i dotti filosofi e completano l'opera. “La violenza è connaturata all'uomo” affermano con aria triste. “Il maschilismo esiste ovunque”, aggiungono quasi singhiozzando. E la civiltà, la cultura, il famoso “quadro socio economico” su cui i politici di sinistra hanno scritto centinaia di pagine, facendo scorrere autentici fiumi di inchiostro? Scomparso, volatilizzato! Culture, civiltà, classi sociali, ambiente socio economico non esistono più, si sono dissolte in un batter d'occhio.
Qualche ingenuo forse potrebbe gioire di tutto questo. I marxisti sono diventati liberali potrebbe pensare, hanno riscoperto l'uomo e l'individuo! Ma, chi la pensasse in questo modo sarebbe uno stupido prima che un ingenuo, uno stupido che non ha capito assolutamente nulla del liberalismo.

Il liberalismo è universalista e pone al centro dei suoi interessi l'individuo ma non sottovaluta il ruolo della società né delle culture.
Qualcosa ha valore universale non perché nasca e si sviluppi al di fuori di un certo contesto culturale ma perché, pur facendone parte, lo travalica. Lo stesso universalismo liberale e democratico è il prodotto storico di una certa civiltà. Le filosofie di Aristotele e Confucio, la musica di Beethoven, la pittura di Raffaello e Leonardo, la scienza di Newton, la prosa di Dostoevskij nascono tutte in precisi contesti culturali, ma hanno un valore che va ben al di la di questi. Tutti questi prodotti della umana creatività non sono qualcosa di disincarnato, vuote astrazioni prive di riferimenti storici e culturali. Sono, nel contempo, qualcosa di individuale, particolare ed universale. Prodotti di certi individui, inseriti in certe civiltà che vanno oltre i loro confini e riguardano tutti gli esseri umani, per il solo fatto che sono esseri umani.

E ciò che vale in positivo vale, a maggior ragione, in negativo. Si considerano universali valori che molti non accettano e si considerano degni di universale esecrazione disvalori in cui molti al contrario si riconoscono. In questo non c'è nulla di paradossale a meno di non voler considerare un paradosso il mancato adeguamento della realtà al valore. L'universalismo liberale e democratico ritiene che ogni essere umano, quale che sia il suo gruppo sociale, la sua nazionalità o la sua cultura, sia meritevole di rispetto, ma non illude nessuno sulla reale portata della adesione a tale principio. Per l'universalista liberale tutti, e tutte, possono essere interessati alla libertà personale, alla partecipazione democratica alla vita pubblica, alla parità di diritti e doveri fra i sessi, ma questo non esclude che in importanti zone del mondo questi valori siano rifiutati. Credere nella portata universale di certi valori, non equivale a tapparsi gli occhi per non vedere che intere civiltà li rifiutano.
I democratici liberali non hanno mai creduto che il nazismo o il comunismo fossero una somma di crimini individuali o la generica manifestazione della “umana cattiveria”. Si trattava di movimenti politici che erano la negazione dell'universalismo liberale e democratico e come tali andavano affrontati e combattuti, a tutti i livelli.
Considerazioni analoghe si possono fare per l'Islam fondamentalista di oggi. Il fondamentalismo islamico non è una serie di abominevoli crimini individuali o di gruppo, né la generica manifestazione della malvagità umana. E' una ideologia religioso politica con le sue caratteristiche sociali, la sua storia, i suoi contesti. Si tratta di un insieme articolato di idee, usi e costumi, modi di vedere il mondo, l'uomo ed i rapporti fra gli esseri umani. Ridurlo a mero fatto criminale, o follia, o a generica “umana malvagità” significa non capirlo, quindi non poterlo combattere. E questo vale, è bene sottolinearlo, indipendentemente da qualsiasi cosa si pensi sulle strategie, i mezzi specifici, concreti, con cui lo si può e lo si deve combattere. Chi sottovaluta la portata culturale di un fenomeno come il fondamentalismo islamico non è un liberale che pone al centro di tutto l'individuo genericamente umano, è, nella migliore delle ipotesi, un cretino che non capisce né il liberalismo né, cosa ancora più grave, l'Islam. Nella peggiore un furbetto disonesto che bara.

Furbetto disonesto che bara. Il sospetto è fondato, bisogna ammetterlo. Si, perché i famosi contesti, che scompaiono quando ci sono di mezzo gli attentati dei terroristi islamici, ricompaiono quando si tratta di garantire, sempre agli islamici, determinati diritti.
In occidente, è notorio, il contratto sociale è scritto in forma individualistica. Lo stato riconosce a tutti certi diritti ed impone a tutti certi doveri, indipendentemente dalla classe sociale, dal credo religioso, dalla militanza politica. Si riconoscono anche certi diritti di gruppo, ma questi affondano le loro radici nei diritti delle persone, delle singole persone, e non possono comunque contrastare con tali diritti. Lo stato ad esempio riconosce la libertà di culto, ma così facendo tutela e garantisce il diritto di ogni singolo alla libertà religiosa e non garantisce comunque quelle pratiche che siano, o possano essere, contrastanti coi diritti delle persone: se un certo culto prescrivesse, ad esempio, sacrifici umani questi non sarebbero consentiti, almeno, si spera.
Con l'Islam però le cose spesso cambiano. Vengono riconosciuti, quanto meno di fatto, agli islamici diritti che appaiono in contrasto coi fondamentali diritti individuali. Di fatto la poligamia è ammessa oggi in occidente, per chi viene dai paesi islamici e l'infibulazione, per quanto formalmente proibita, è di fatto tollerata. Intere zone delle città occidentali sono in realtà sottratte alla legislazione ufficiale ed affidate alla sharia. Al di la degli esempi concreti, l'occidente assomiglia sempre più ad una sorta di mosaico: certe aree sono ancora, formalmente occidentali ed in queste valgono le nostre leggi, altre sono di fatto stati negli stati in cui le nostre leggi cessano di valere. La società perde il suo cemento unificante e si trasforma in una accozzaglia di gruppi non tenuti insieme da nulla. E quello che vale per aree geografiche vale ancora di più in aree, diciamo così, sociali. Nei supermercati inglesi gli addetti alle casse musulmani si rifiutano di battere il prezzo di salumi ed alcoolici. Nei posti di lavoro un impiegato musulmano spesso e volentieri si rifiuta di obbedire ad un suo superiore se questo è donna, quanto accade sui treni riguarda la cronaca nera prima che il costume. Tutte queste belle cose trovano spesso qualche giustificazione da parte degli occidentali “buoni” e la trovano sempre con lo stesso argomento: bisogna rispettare la loro cultura. La cultura, la loro cultura, scomparsa dopo attentati e massacri, torna in campo quando si tratta di riconoscere a chi è venuto, non invitato, a casa nostra, diritti di gruppo che contrastano con valori che consideriamo universali e comunque con la nostra cultura, le nostre leggi, in nostri usi e costumi.
Si, il presunto neo liberale di sinistra è un baro, non un cretino, o forse è tutte e due le cose insieme.


sabato 9 gennaio 2016

IMMIGRAZIONE CLANDESTINA

Nel momento stesso in cui in Europa anche le teste più dure sembrano rendersi conto che c'è qualcosa che non va nella politica delle porte aperte ad una immigrazione senza alcun limite e controllo, i nostri impagabili governanti decidono che occorre abolire del tutto il reato di immigrazione clandestina. Già lo avevano di fatto abolito, punendolo con una semplice ammenda, ora vogliono completare l'opera. Da ora in poi si potrà entrare in Italia senza alcun documento, fregandosene delle norme e delle procedure che ovunque nel mondo chi entra in in paese straniero è obbligato a seguire. Chi vuole entrare in Italia potrà farlo, come vuole, non infrangerà nessuna legge, nessun regolamento. E' dubbio che, se una simile situazione dovesse verificarsi, avrebbe ancora un senso parlare, solo parlare, di clandestinità. Esiste la clandestinità se esistono leggi e sanzioni che regolano i flussi immigratori. Se queste leggi non esistono, o se esistono ma la loro violazione non è punita da alcuna sanzione, la stessa clandestinità non esiste. Eliminiamo del tutto il reato di immigrazione clandestina ed avremo eliminato la clandestinità. Bello vero? Con un simile modo di “ragionare” (si fa per dire) depenalizzando lo stupro avremo risolto il problema della violenza sulle donne. Più facile di così...

Gli argomenti (si fa sempre per dire) con cui certi politici dalla faccia di bronzo (per non dire altro) difendono questa misura sono emblematici. Val la pena di commentarne brevemente qualcuno.

1) Il reato di immigrazione clandestina è esistito per anni, Questo non ha frenato i flussi dei clandestini.
Fantastico argomento. Un po' come dire: esiste il reato di omicidio ma, malgrado questo, ci sono comunque molti omicidi, quindi, rendiamo legale l'omicidio, oppure: esistono le medicine, malgrado ciò molta gente si ammala, quindi aboliamo le medicine. Simile “sillogismi” avrebbero fatto fremere di indignazione Aristotele, ma, lasciamo perdere: la logica, aristotelica non è il forte dei politici. A parte la logica comunque, chi usa un simile “argomento” dimentica almeno una cosetta: il reato di immigrazione clandestina è servito a poco, è vero, soprattutto perché non è stato di fatto mai applicato. Non piaceva ad una parte consistente dell'italica magistratura, politicamente schierata a sinistra, ed è stato di fatto eluso per anni. Ora i nostri governanti risolvono tutto. Se una legge non piace alla magistratura questa non la applica, e i politici aboliscono la legge. Di nuovo, più facile di così...

2) Il reato di immigrazione clandestina rende più difficili le indagini contro gli scafisti.
Se il reato esiste, così si “argomenta”, i “migranti” tenderanno a non dare informazioni che aiuterebbero gli inquirenti a scoprire gli scafisti. Se invece il reato non esiste i “migranti” potranno collaborare senza timore di sanzioni.
Di nuovo, un capolavoro di logica. Come spingere un terrorista a collaborare con la polizia? Semplicissimo, abolendo il reato di terrorismo. E come far si che uno stupratore denunci i suoi complici? Ma è lapalissiano: abolendo il reato di stupro! Solo, c'è una piccola difficoltà. Se terrorismo e stupro non sono reati che senso ha indagare per scoprire i complici di un terrorista o di uno stupratore? Se la clandestinità cessa di essere un reato che senso ha punire gli scafisti? Se non è un reato fumare ha senso mandare in galera i tabaccai?
Di nuovo, lasciamo perdere la logica. Chi vuole abolire del tutto il reato di clandestinità dimentica, ancora una volta, una cosetta. Non è vero che abolire questo reato favorirà le indagini. I “migranti” giunti a destinazione  non hanno comunque alcun interesse a denunciare gli scafisti. Il “migrante” che arriva in Italia non cessa per questo di averne bisogno. Forse dovrà imbarcarsi di nuovo, forse attende l'arrivo di figli, parenti ed amici. “Migrante” e scafista sono due facce di quella stessa medaglia che si chiama immigrazione clandestina.

3) Bisogna colpire i comportamenti criminosi non le “situazioni”.
Tradotto: lasciamo che entrino tutti, se qualcuno si comporterà male lo puniremo. Chi “ragiona” (sic) in questo modo non si pone un piccolo, insignificante problemino. Permettere una immigrazione sempre più massiccia, sempre più incontrollata, crea o non crea “situazioni” in cui i "comportamenti criminosi" sono destinati a crescere in maniera esponenziale?
Basta guardarsi intorno: aree sempre più vaste delle nostre città diventano terre di nessuno in cui non vige legge alcuna, in altre vige di fatto la sharia. Abolire del tutto il reato di clandestinità che conseguenza avrà? Fare crescere o contrarre le dimensioni di simili aree? Basta porsi la domanda giusta per avere la risposta.

4) I migranti non hanno soldi, che senso ha condannarli a pagare una ammenda?
Ragionando in questo modo non si dovrebbe condannare nessuno a pagare ammende troppo grosse, eppure il fisco non scherza quando si tratta di multare chi ha pagato anche un solo centesimo di tasse in meno del dovuto! Comunque, ci sarebbe un ottimo modo per mettere le cose a posto: il clandestino che non paga l'ammenda viene espulso, e tutto si risolve. Ma una cosa simile non è politicamente corretta, quindi, guai solo a pensarla!

5) Ci vuole ben altro che una legge per controllare i flussi di clandestini.
Ma guarda un po'! Certo, una legge non basta, ma questo non è un buon motivo per abolirla, semmai per migliorarla, renderla più efficace e severa, farla rispettare sul serio. Ma i “progressisti” nostrani sono fatti così. Se una legge non basta si abolisce la legge, c'est plus facile! Mettere in galera un terrorista non elimina il terrorismo? Lasciamo libero il terrorista. Considerare reato la clandestinità non blocca i flussi di clandestini? Allora lasciamo entrare tutti, ma proprio tutti!

Basta, rischio di ripetermi. Di fronte a simili “argomentazioni” (mi ripeto, si fa per dire) c'è solo da chiedersi: sono solo imbecilli, pardon, diversamente intelligenti? O sono anche ipocriti, in malafede, arroganti, conniventi? Preferisco non rispondere...

giovedì 7 gennaio 2016

COLONIA

La notte di San Silvestro a Colonia decine di nord africani hanno pesantemente molestato, in certi casi addirittura violentato, diverse donne. Questi i fatti. Ma, si sa, ormai in occidente i fatti contano poco. Così su questa notizia è calato un assordante silenzio. I media tedeschi hanno cercato sino all'ultimo di nascondere gli eventi o almeno la nazionalità dei molestatori. La verità è solo una convenzione, dicono tanti “intellettuali progressisti”, e nell'occidente politicamente corretto la convenzione dominante è, più o meno, la seguente: “i migranti sono tanto bravi, costituiscono una preziosa risorsa ed in ogni caso noi abbiamo il dovere di accoglierli”. Tutto ciò che non quadra con questa “convenzione” viene cancellato. Se la realtà non si adegua all'ideologia, tanto peggio per la realtà.
Perché rivelare la nazionalità dei molestatori, in fondo? Basta dire: "degni uomini hanno molestato delle donne". Dire di più alimenta il razzismo. Con un simile modo di ragionare non bisognava rivelare, a suo tempo,che nel paradiso dei lavoratori centinaia di miglia di lavoratori erano ridotto in una situazione di schiavitù, nei gulag. Dirlo avrebbe alimentato “l'anticomunismo viscerale”. Ed in effetti personaggi come Palmiro Togliatti, considerato da qualcuno uno dei padri della repubblica italiana, per anni ed anni negarono l'esistenza dei campi di lavoro forzato in URSS. La verità è solo una questione di convenzione...
No, rivelare la nazionalità dei molestatori non serve ad alimentare il razzismo, serve invece a verificare se sono vere o meno le rassicuranti scemenze che i media ci propinano ogni giorno sulle “migrazioni”. Ogni persona di buon senso, di fronte ad eventi come quello di Colonia dovrebbe chiedersi: “una immigrazione incontrollata è o non è destinata a moltiplicare simili brutture?”. Ma gli occidentali “buoni” non si pongono simili, fastidiose domande. Né se le pongono le femministe starnazzanti, quelle del “se non ora quando?” o del “femminicidio”, della “deputata”, della “ministra” e della “presidenta”. Quando ci sono di mezzo i migranti le oche cassano di starnazzare.

Di fronte a fatti come quello di Colonia gli occidentali politicamente corretti assumono, spesso contemporaneamente, due diversi atteggiamenti. Il primo potremmo definirlo di estrema individualizzazione. “E' da razzisti”, dicono “sottolineare nazionalità, religione o colore della pelle di stupratori e molestatori. La responsabilità è sempre individuale, quindi occorre cercare i singoli responsabili di questi atti deplorevoli, giudicarli e, se colpevoli, condannarli, punto e basta”. Certo, giuridicamente la responsabilità è sempre individuale. Quando si tratta di appurare chi sia il responsabile di un certo crimine occorre cercare il singolo individuo che lo ha commesso, bella scoperta! Ma qui non sin tratta di scoprire i singoli responsabili di atti criminosi, ma di giudicare un fenomeno sociale: una immigrazione clandestina di dimensioni sempre più enormi. Questo fenomeno ha o non ha fra le sue varie conseguenze quella di creare aree di marginalità e di violenza sempre più estese?
Lo sanno tutti, la gran maggioranza dei “migranti” viene da culture che considerano la donna un essere inferiore. Le più “evolute” donne musulmane escono di casa velate, con addosso pesanti camicioni che le coprono sino alle caviglie. Altre sono immerse in sacchi neri che lasciano liberi solo gli occhi. Per la maggioranza dei “migranti” così si devono vestire le donne “per bene”. Le ragazze in jeans o minigonna sono per loro “puttane”, ed una “puttana” ha il dovere di concedersi ai maschi, se non lo fa... la si può costringere. L'immigrazione senza limiti e controlli mette sempre più a contatto ragazze con jeans attillati o minigonna e “migranti” che le considerano “puttane” e “adescatrici”. In una simile situazione è o non è ragionevole prevedere un fortissimo incremento dei casi di molestie e di stupro? Questa domanda dovrebbero porsi i “progressisti” politicamente corretti e le femministe. Non lo fanno. Fino a ieri la sinistra si caratterizzava per dare spiegazioni sociali per ogni volo di mosca. C'è un incidente sul lavoro? La colpa è del “capitalismo”. Un marito picchia sua moglie? Colpa della cultura fallocratica dominante. C'è un incidente stradale? E' conseguenza di un “modello di sviluppo” che privilegia la motorizzazione privata... si potrebbe continuare. Per tutto ci sono spiegazioni socio economiche e culturali, anche quando queste appaiono leggermente ridicole, o diventano un alibi per non appurare le responsabilità individuali. Quando però ci sono di mezzo i “migranti” tutto si riduce al singolo. Solo di lui si deve parlare, tutto il resto è “sciovinismo” e “razzismo”. Alì, Abdul e Jasser hanno violentato delle ragazze? Guai a trarre conclusioni generali da simili fatti! Questi riguardano solo Alì, Abdul e Jasser. Un po' come se dopo la notte dei cristalli del novembre 1938 qualcuno avesse detto che il nazismo non c'entrava,: quello che era successo riguardava solo Franz, Helmut e Friedrich...

Accanto alla estrema individualizzazione gli occidentali "buoni" assumono, di fronte ad eventi come quello di Colonia, un atteggiamento che potremmo definire di estrema generalizzazione.
A Colonia gruppi di nord africani hanno molestato e violentato molte ragazze? La cosa è esecrabile, ma riguarda il maschilismo, il maschilismo in generale. Certo, esiste il maschilismo in generale, esistono, ovunque, atteggiamenti violenti e prevaricatori dei maschi nei confronti delle femmine; si tratta di qualcosa di profondo, che affonda le sue radici nello stesso mondo animale e che sarebbe sciocco negare. Ma assimilare fatti come quello di Colonia, e magari altri, come le lapidazioni delle adultere, la poligamia o l'infibulazione, ad un generico “maschilismo” è un po' come dire che la “pietà” di Michelangelo è un pezzo di marmo. La “pietà” è anche un pezzo di marmo, ma non è solo un pezzo di marmo. E' un pezzo di marmo con una sua specifica particolarità che ne fa un meraviglioso capolavoro. Le molestie di Colonia, come le lapidazioni, la poligamia e le infibulazioni, sono anche maschilismo, ma non sono solo quello. Sono una specifica forma di maschilismo egemone in una determinata cultura, con caratteristiche diverse dal maschilismo presente in altre culture. Da noi uno stupratore è considerato una canaglia anche dalla gran maggioranza degli uomini, nelle culture islamiche invece è la gran maggioranza delle donne ad approvare o giustificare chi violenta una ragazza in minigonna. Da noi nessuno pensa che una adultera debba essere punita, neppure con una multa, altrove molti, e molte, applaudono alla sua lapidazione. Non si tratta di differenze secondarie. Sono differenze essenziali. Nasconderle sotto la generica categoria del “maschilismo” significa non voler condannare stupratori e molestatori, non voler giudicare le società e le culture che li producono. E significa, soprattutto, non voler far nulla per difendere la nostra società e la nostra cultura dal degrado e dalla violenza di cui stupratori e molestatori sono espressione.
Così vanno le cose qui da noi, Purtroppo.

martedì 5 gennaio 2016

I NUOVI ISLAMOFOBI



Cosa dicono gli occidentali buoni e dialoganti dopo ogni attentato islamico? Più o meno:
“Si tratta di atti che non hanno nulla a che vedere con l'Islam”. Oppure
“I terroristi non sono musulmani, sono criminali”. Oppure
“I terroristi sono finti, sedicenti islamici”. Oppure
“Si tratta di casi individuali, azioni folli di uomini dalla mente malata”. Oppure
“E' tutto un complotto della CIA e del Mossad”. Eccetera eccetera eccetera...
Bene, adesso le due principali potenze islamiche del mondo, l'Iran sciita e l'Arabia saudita sunnita, si accusano a vicenda di essere stati canaglia che fomentano ovunque il terrorismo.
“L'Arabia saudita è come l'Isis”. Chi lo dice, Matteo Salvini? No, lo dice l'Ayattollah Ali Kamenei, guida spirituale dell'Iran.
“L'Iran fomenta terrorismo in tutto il mondo” Chi lo dice? Magdi Cristiano Hallam? No, lo dicono i principi ed i ministri dell'Arabia saudita, il più importante, ed il più sacro di tutti gli stati islamici.
Intanto, fuori dai palazzi del potere, folle furiose, a Teheran e a Riad, bruciano moschee sunnite e sciite, danno alle fiamme bandiere iraniane e saudite, bruciano ritratti di principi e ayattolah.

Qui da noi, nell'occidente politicamente corretto, se un giornalista si azzarda a scrivere che forse l'Islam non è proprio una religione di pace rischia di trovarsi davanti ai giudici con l'accusa di “islamofobia”. Bisogna dire che l'Islamofobia dilaga anche nei paesi islamici...
Ma forse siamo noi a sbagliare. Pensavamo che Arabia saudita ed Iran fossero paesi islamici. Invece sono governati da finti islamici. L'Ayattollah Kamenei ed i principi sauditi sono agenti del Mossad travestiti. E le folle che a Teheran e Riad distruggono le moschee rivali? Tutti agenti della Cia, ovviamente!

Qualche occidentale buono e tanto erudito a questo punto farà un sorrisino, si aggiusterà il cravattino buono e cinguetterà: “sciocco, dietro a tutto c'è il petrolio...”.
Certo, lo scontro è anche sul petrolio, ed allora? Questo vuol dire solo che anche i buoni fedeli musulmani amano il denaro, chi lo ha mai negato?
E, visto che si parla di petrolio, siamo certi che sia il petrolio il fine unico ed ultimo del conflitto? Per essere chiari: Iran ed Arabia mascherano con la religione i lori fini petroliferi o usano il petrolio come strumento per affermare la loro supremazia, anche e soprattutto religiosa, su tutto il medio oriente ? I soldi servono a tutti, anche agli idealisti fanatici; servivano anche a Lenin, per finanziare il suo partito. Ma qualcuno pensa davvero che Lenin abbia costruito il partito bolscevico ed organizzato la rivoluzione d'Ottobre perché voleva arricchirsi?
Nell'occidente il capitalista l'imprenditore che ama il denaro compete coi concorrenti cercando di immettere sul mercato merci di buona qualità a prezzi convenienti, nel mondo islamico invece si assaltano e si bruciano le moschee e si decapita la gente dopo processi farsa. Qualcuno pensa davvero che le decapitazioni sommarie e le folle urlanti a Teheran e Riad siano il simbolo e la sostanza della libera concorrenza?
Su, anche alla imbecillità dovrebbero esserci dei limiti...