martedì 29 novembre 2016

L'ACCERCHIAMENTO IMPERIALISTA

E' uno degli argomenti più usati da chi difende Castro. Cuba era ed è assediata, dicono. “Come potete pretendere che una piccola isola posta a due passi dal gigante imperialista, possa vivere una normale vita democratica?”.
L'eliminazione della dissidenza, le violazioni di elementari diritti umani, le stesse misure “eccessive” di repressione sarebbero una conseguenza dell'”assedio” cui Cuba era, ed è, sottoposta. Ancora una volta la colpa di tutto è dell'imperialismo occidentale, quello americano, per essere precisi.
Non si tratta di un argomento nuovo. E' stato usato per difendere le dittature di Lenin e Stalin prima, quelle di Mao, Pol Pot e dei vari dittatori comunisti poi. Alla base di tutto c'è sempre l'”assedio” la guerra civile, reale o potenziale, che il capitalismo imperialista ha imposto ai paesi che avevano osato sfidarlo.
Il discorso però non sta in piedi, a nessun livello.

Nel 1940, dopo il crollo della Francia, la Gran Bretagna si trovò a dover combattere da sola contro la formidabile macchina da guerra nazista. Tutta l'Europa continentale, dall'Atlantico ai confini con l'URSS, era nelle mani di Hitler. La Russia sovietica, la stessa che Castro ha tanto amato, collaborava amichevolmente col dittatore nazista fornendo alla Germania numerose materie prime necessarie al suo sforzo bellico. La situazione era difficilissima, quasi disperata. Ma mai, anche in una simile situazione, la Gran Bretagna smise di essere una democrazia. Certo, furono posti limiti alla normale vita democratica, ma si trattò di limiti mille volte meno gravi di quelli che per svariati decenni sono stati imposti al popolo cubano, e a quelli sovietico, e cinese, e coreano, e polacco, e ungherese, e rumeno, e albanese, e tedesco orientale, e cambogiano...
Anche nell'ora del pericolo supremo la Gran Bretagna ha continuato ad essere una democrazia liberale.

Da quando è nato, nel 1948, lo stato di Israele è in guerra. Un paese non più grande della Lombardia, con sei – otto milioni di abitanti è circondato da centinaia di milioni di fanatici che sognano solo di cancellarlo dalla faccia della terra. Anche nei periodi formalmente di “pace” Israele è tormentato da continui attacchi terroristici che mietono di continuo vittime fra i civili. Ogni tanto gli eroici militanti di Hammas si divertono a bersagliarlo con missili che uno pseudo filosofo di casa nostra ha definito “armi giocattolo”. Eppure Israele continua ad essere una democrazia. Nel suo parlamento siedono rappresentanti della minoranza araba che spesso e volentieri simpatizza con i terroristi di Hammas. Malgrado sia nel mirino del fondamentalismo islamico in Israele sorgono oltre 200 moschee e la libertà religiosa è rigorosamente garantita. E, sia detto per inciso, gli stessi che giustificano Castro con l'argomento dell'”assedio imperialista” lanciano al cielo strilli di indignazione quando Israele, per difendersi dal terrorismo, mette in atto comprensibilissime misure difensive, come il famoso “muro”. Un embargo colabrodo giustifica oltre mezzo secolo di dittatura feroce, continui attacchi terroristici non giustificano qualche chilometro di filo spinato. Molto significativo.

Ma l'argomento dell'assedio e della guerra civile non sta in piedi, oltre che a livello storico, neppure a livello dell'analisi teorica della dottrina marxista – leninista. E questo per il banale, semplicissimo motivo che è proprio quella dottrina a prevedere, ed a perseguire, la guerra civile.
Lenin riconduce tutta la dialettica sociale alla lotta fra oppressi ed oppressori. Le varie classi sociali non proletarie sono composte da sfruttatori o loro complici, più o meno consapevoli. L'imprenditore è il nemico principale, lo sfruttatore che si nutre di plusvalore operaio. Commercianti ed artigiani, contadini autonomi, professionisti sono, anche loro, sfruttatori, parassiti improduttivi o, nella migliore delle ipotesi, rappresentanti di modi di produzione obsoleti destinati ad essere spazzati via dalla “ruota della storia”. Non si salva neppure la gran massa dei lavoratori dipendenti, degli stessi operai. La classe operaia è rivoluzionaria solo se e quando assimila la “scienza proletaria” di cui il partito è detentore. Se condividono le “illusioni riformiste e piccolo borghesi” gli stessi operai diventano “oggettivamente” complici del “nemico di classe”.
Per Lenin la formazione di classi e ceti diversi non è un fenomeno sociale fisiologico, qualcosa che il movimento molecolare della società tende di continuo a creare e che occorre governare ed inquadrare in regole valide per tutti. No, per il rivoluzionario russo, e per tutti i teorici della rivoluzione comunista, la differenziazione in ceti è classi fa parte della patologia della società. Una patologia storicamente necessaria, certo: buon hegeliano come Marx, Lenin crede nella astuzia della ragione che condurrà la storia al suo fine prestabilito. Ma una patologia che è ormai giunto il momento di estirpare. Lo scontro politico non ha il fine di ottenere il diritto a governare nel rispetto di determinate regole, ha quello ben diverso di distruggere il nemico di classe e rivoltare come un guanto, insieme, la società e la natura umana.
Tutto questo, dovrebbe essere chiaro, non ha assolutamente nulla a che vedere con il gioco democratico, il rispetto per i fondamentali diritti delle persone, il pluralismo sociale e politico. E Lenin, come prima di lui Marx, lo ammette con grande onestà intellettuale. Irride chi parla di democrazia, pluralismo, diritti delle persone. Li considera piccoli borghesi oggettivamente alleati del nemico di classe. Per il rivoluzionario russo, e per tutti i comunisti autentici, la dinamica sociale è da equiparare alla guerra di classe e la guerra di classe si conduce senza troppi scrupoli umanitari. La guerra civile non è quindi, come affermano oggi certi improvvisati difensori di Castro e Guevara, qualcosa che venga imposto ai comunisti da un nemico non democratico e particolarmente aggressivo, è da sempre il fine prestabilito della loro azione.

Nell'Ottobre del 1917 Lenin e Trotskij attuano il colpo di forza, approfittando della situazione di caos totale in cui versa la Russia post zarista. Il colpo riesce, e da subito i bolscevichi dimostrano quali sono le loro intenzioni. Scioglimento della Assemblea costituente, voluta dai bolscevichi, ma “rea” di vantare una grossa maggioranza (il 58% circa) di socialisti rivoluzionari; messa fuori legge di tutti i partiti non bolscevichi; restrizioni alla attività dei sindacati e poi loro riduzione al ruolo di cinghia di trasmissione del partito; progressiva riduzione della stessa libertà interna al partito unico al potere sono le misure che, da subito, i comunisti russi misero in atto. A queste si accompagnarono le confische delle proprietà, prima le più grandi poi anche le più modeste, le restrizioni prima e la abolizione subito dopo della libertà di stampa, la irregimentazione della cultura, le persecuzioni contro la Chiesa. Soprattutto, fu messa in atto una politica di guerra contro i contadini, coloro che, con gli operai, avrebbero dovuto essere i beneficiari privilegiati del bolscevismo. Le selvagge requisizioni della produzione agricola causarono autentiche carestie in cui morirono milioni di esseri umani. Nella patria dei lavoratori risorse il cannibalismo.
L'esperienza delle altre rivoluzioni comuniste, compresa quella cubana, è del tutto simile. Castro si presentò all'inizio come un democratico radicale, ma si guardò bene dall'indire le elezioni che aveva promesso. Si disfece rapidamente dei sui compagni di lotta non comunisti, mise in atto una ondata di nazionalizzazioni e ridusse la piccola proprietà agricola a dimensioni ridicole. Poi avrebbe imposto a tutta l'isola la follia della monocultura. In compenso ampliò rapidamente le dimensioni delle carceri e dei campi di lavoro. Nulla di nuovo sotto il sole, la stessa, tragica trafila dei precedenti esperimenti comunisti. E lo stesso tragico fallimento.

Non mi interessa discutere sulla storia dell'URSS o di Cuba. Quello che voglio sottolineare è che la politica messa in atto dai vari partiti comunisti che, in un modo o nell'altro, si sono impadroniti del potere è sempre stata una politica di guerra. Mettere fuori legge i partiti rivali, abolire la libertà di stampa, eliminare le libertà personali, confiscare senza indennizzo le proprietà grandi e piccole, requisire il raccolto ai contadini, obbligarli ad entrare in fattorie collettive o “comuni popolari” sono atti di guerra. Li si può giudicare come si vuole, ma non si può negare il loro carattere aggressivo e del tutto estraneo allo spirito ed alla lettera della democrazia pluralista. E, se si dichiara guerra a qualcuno è normale che questi combatta, e metta in atto a sua volta misure di guerra. Chi addebita alla guerra civile gli “eccessi” del comunismo dimentica, molto semplicemente che sono stati questi “eccessi” a scatenare la guerra civile. Per tornare alla prima e più importante esperienza di comunismo reale, se Lenin non avesse sciolto la assemblea costituente e non avesse messo fuori legge Cadetti, socialisti rivoluzionari e menscevichi la guerra civile non ci sarebbe stata. E non ci sarebbero stati i ventidue milioni circa di morti che baffone Stalin ha lasciato in eredità al genere umano.
Coloro che parlano delle “pressioni dell'imperialismo” come della causa di quanto anche a loro appare poco difendibile nella esperienza cubana non dicono assolutamente nulla di nuovo. Dal 1917 in poi “l'accerchiamento imperialista” è stata la scusa per mandare al plotone d'esecuzione, o in campi di lavoro non dissimili dai lager nazisti, esserei umani in quantità industriali.
La novità, parziale, è che oggi sono presunti democratici liberali a ripetere questa noiosa favoletta.
L'occidentale progressista, appena smette di dire che l'Islam è una religione di pace, si guarda intorno, gli viene in mente Cuba e cinguetta che, senza quei cattivoni di americani Castro avrebbe creato una stupenda democrazia sociale caraibica. Poi volge lo sguardo alla storia ed assolve, con argomenti simili, quei simpatici dittatori illuminati che sono stati Stalin, Mo e Pol Pot. Il poverino non vive nel mondo reale, ma in una realtà virtuale tutta sua, una specie di video gioco. Non disturbiamolo, l'impatto col mondo vero potrebbe essergli fatale.

domenica 27 novembre 2016

PENSIERINI SU CUBA


Risultati immagini per fidel castro foto
 

LA STORIA

Su Castro è iniziato il solito festival dell'ipocrisia. “Lo giudicherà la storia” ha detto il presidente Obama. Ma la storia non giudica nessuno. Sono gli uomini che devono giudicare, e già da oggi abbiamo sufficienti elementi per dare un giudizio su Fidel Castro. Obama non vuole esprimerlo questo giudizio? Liberissimo, ma non si richiami, per favore, alla storia. Tra l'altro, richiamarsi al “giudizio della storia” è tipico di chi aspira alla dittatura totalitaria. Molti hanno ricordato, ieri, la famosa frase di Castro “condannatemi, la storia mi assolverà”. Nessuno però ha rammentato che un certo Adolf Hitler pronunciò una frase simile al processo che lo vedeva imputato dopo il famoso putsch di Monaco del 1923. Gli individui cosmico storici non rispondono alle leggi ed alla comune morale. Loro giudice inappellabile è sempre “la storia”. Deportazioni di massa, massacri, eliminazione dei rivali politici, distruzione di ogni libertà, miseria generalizzata...
giudicherà la STORIA!!! 


LA SALUTE, LA ALFABETIZZAZIONE, LO SPORT
Certo, Fidel era un dittatore ma... a Cuba ci sono dei gran begli ospedali, e l'analfabetismo è scomparso, e... quante medaglie hanno vinto gli atleti cubani! Anche questo ci tocca sentire!
La nazionale italiana di calcio vinse due mondiali consecutivi al tempo del fascismo. La squadra olimpica della Germania nazista si qualificò prima nel medagliere alle olimpiadi del 1936. Sempre ai vari giochi olimpici l'URSS e la RDT hanno fatto per decenni incetta di medaglie. E allora? Lo sport è da sempre una delle vetrine privilegiate dei regimi totalitari.
Come la spesa sanitaria. Uno stato che ha in mano tutto può benissimo permettersi di spendere grandi somme in opere destinate a raccogliere applausi ovunque nel mondo. Detto per inciso, sono di Mussolini le "paludi redente" ed Hitler ridusse drasticamente la disoccupazione. Simili exploit però non sembrano migliorare molto la qualità della vita delle popolazioni. Per tornare alle spese sanitarie, anche dando per buoni i dati diffusi da una dittatura opprimente, nella classifica dei vari stati per speranza di vita Cuba occupa il
trentanovesimo posto, con una speranza di vita di 78,22 anni superata non solo da paesi come l'Italia della “malasanità”, terza con 84,84 anni, ma anche da Cile, Bharein, Panama, Qatar, Porto Rico e Costa Rica. Insomma, la sanità cubana è una meraviglia ma a Cuba si muore prima che altrove.
Quanto alla alfabetizzazione, ferme restando le riserve sulla attendibilità dei dati statistici diffusi dalle dittature, tutti gli stati che abbiano anche solo cercato di imboccare la strada della crescita economica hanno fatto passi da gigante in questo settore. Il tasso di analfabetismo nei paesi in via di sviluppo, Africa compresa, è sceso dal 75% al 15% dal 1915 al 1980. Non c'è davvero bisogno di una dittatura totalitaria per insegnare alla gente a leggere e a scrivere. Con una doverosa precisazione: l'analfabetismo è ormai solo un ricordo in occidente, ma in paesi come la Gran Bretagna o l'Italia si possono leggere
anche gli scritti di Guevara e Castro, a Cuba solo questi, o quasi. Non è una differenza di poco conto.
 

L'EMBARGO
Che cattivi gli americani! Hanno messo l'embargo a Cuba! Ecco perché l'isola era tanto povera. Anche questo si sente e si legge.
Fidel ha nazionalizzato senza indennizzo alcuno tutte le imprese americane a Cuba, poi è diventato alleato di ferro della Russia sovietica in un periodo in cui la terza guerra mondiale sembrava non solo possibile ma addirittura probabile. Poi ha installato missili a testata nucleare puntati verso gli Stati Uniti. Questi hanno commesso molti grossolani errori con Cuba, specie, per inciso, durante l'amministrazione Kennedy, il leader maximo dei “liberal”. Ma che il gigante americano non amasse Fidel è piuttosto logico, direi. Del resto, l'embargo è sempre stato un colabrodo e non può assolutamente essere considerato responsabile della povertà estrema dell'isola. La miseria generalizzata è stata la caratteristica di tutte le esperienze di pianificazione burocratica o demagogico - populista, da Cuba al Venezuela, dalla Cina alla Corea del nord. Fidel ha aggiunto ai guai dell'iper centralismo programmatorio la scelta sciagurata della monocultura della canna da zucchero, che ha reso Cuba completamente dipendente dagli aiuti sovietici. Crollata l'URSS l'economia cubana non poteva che collassare, embargo o non embargo.

 

I PROFUGHI
Da quando Castro ha preso il potere un sacco di gente è fuggita da Cuba, si parla di una cifra di quasi un milione e duecentomila di persone. E si tratta di profughi
veri.
Non partivano tranquilli, aspettando il loro turno d'imbarco, sotto lo sguardo benevolo delle autorità. Rischiavano la pelle per lasciare l'isola del socialismo caraibico. Chi veniva preso finiva in carcere, a volte addirittura
fucilato; una situazione ben diversa da quella dei clandestini che sbarcano sulle nostre coste.
Gli esuli cubani arrivavano in un paese immenso, con enormi spazi liberi e la più forte economia del mondo, eppure dovevano faticare per dimostrare il loro status di profughi. Non entravano negli Stati Uniti gridando “Viva Fidel! Hasta la victoria siempre!”. Non chiedevano agli americani di rinunciare ai loro valori, abbandonare le loro tradizioni, cambiare il loro stile di vita. Nella loro grande maggioranza chiedevano solo di diventare buoni cittadini degli Stari Uniti d'America. Di nuovo, una situazione del tutto diversa da quella dei clandestini di casa nostra.
Eppure questi profughi veri non sono mai stati simpatici a tanti progressisti. Pronti a giustificare chi esalta lapidazioni di adultere e decapitazioni di apostati tanti personaggi della “sinistra” italiana ed europea hanno bollato come “biechi reazionari” i cubani che sfidavano i denti degli squali ed i plotoni di esecuzione pur di lasciare l'isola di Fidel. Così va il mondo.

 

CUBA POSTRIBOLO AMERICANO
E' vero, la Cuba precastrista era il paradiso di molti milionari americani in cerca di divertimenti esotici e sessuali, ma che fosse il postribolo degli USA è una delle tante leggende sorte dopo la vittoria di Fidel. In realtà nella Cuba precastrista il livello della prostituzione era grosso modo uguale a quello di altri paesi con caratteristiche socio economiche simili. Lo stesso dicasi per le case da gioco. Cuba è diventata una delle capitali mondiali del turismo sessuale e pedofilo
in seguito al castrismo ed alla sua sciagurata politica economica.
 

PER CONCLUDERE
L'esperienza cubana è in tutto simile a quelle degli altri paesi del “socialismo reale”. Eliminazione della democrazia e delle fondamentali libertà civili. Pianificazione burocratica dell'economia, militarizzazione del lavoro, distruzione della autonomia della società civile. Ed ancora: continua mobilitazione propagandistica delle masse, intrusione soffocante dello stato nella vita privata dei cittadini, irregimentazione della cultura. Insomma, la Cuba di Castro non era, e non è, una semplice dittatura. Era, ed è, una
dittatura totalitaria, un regime soffocante che pretende di regolare in tutto la vita di tutti.
Eppure, tanti che hanno usato parole di fuoco contro il regime di Stalin si commuovono di fronte a Castro e Guevara. L'URSS era brutta, Cuba invece...
Chi è stato a lungo innamorato dell'assoluto sociale vuole conservare qualche speranza, qualche piccolo assoluto in cui credere, malgrado tutto e tutti. E Cuba, la bellissima isola caraibica sembra fatta apposta per alimentare simili speranze romantiche.
Però, sarebbe ora di guardare la realtà in faccia, smettendola con le illusioni e le menzogne.
Raul Castro, succeduto al fratello quale leader maximo, ha annunciato che la morte di Fidel sarà seguita da
NOVE GIORNI di lutto. Nove giorni di un lutto imposto a tutta la popolazione dell'isola! Nove giorni in cui le ceneri di Fidel gireranno Cuba da un capo all'altro ed in cui sarà sospesa o seriamente condizionata ogni normale attività. I cubani che intendevano sposarsi in questi nove giorni faranno bene a rinviare e nozze, chi, sempre in questi nove giorni, compirà gli anni farà bene a non festeggiare. Iniziarono i bolscevichi, imbalsamando la salma di Lenin prima, quella di Stalin dopo. Da allora i funerali dei dittatori totalitari sono sempre stati occasione per adunate oceaniche destinate a puntellare regimi sempre più in crisi. Cuba non fa eccezione. Bastano quei nove giorni di lutto obbligatorio per far capire a chi non voglia tapparsi occhi ed orecchie la natura vera del socialismo castrista.
Purtroppo però il mondo è pieno di persone che amano tapparsi gli occhi e le orecchie.

sabato 26 novembre 2016

FIDEL E ORLANDO ZAPATA


Immagine correlata


E' morto Fidel Castro, l'ultimo rivoluzionario.
Invece il 23 febbraio 2010 moriva Orlando Zapata Tamayo.
Chi era Orlando Zapata Tamayo?
Era un operaio cubano dissidente. Membro del gruppo di opposizione Movimiento Alternativa Republicana, fu arrestato il 6 dicembre 2002 e imprigionato per oltre tre mesi. Scarcerato, dopo soli 13 giorni di libertà fu arrestato una seconda volta il 20 marzo 2003. Il suo crimine? Stava partecipando a uno sciopero della fame organizzato dall'”Assemblea per la promozione di una società civile” che mirava alla liberazione dei prigionieri politici. Fu accusato di
VILIPENDIO della figura di FIDEL CASTRO, disordine civile e DISOBBEDIENZA e condannato a 36 ANNI di carcere.
In carcere Zapata iniziò, il 2 dicembre 2009, un nuovo sciopero della fame per protestare contro la norma che gli impediva di indossare l'abito bianco dei dissidenti invece che l'uniforme carceraria.
Morì dopo 85 giorni, nel silenzio della opinione pubblica “progressista” di mezzo mondo.

La storia di Cuba non è diversa da quella degli altri paesi del comunismo reale. Deportazioni, repressioni di massa, condanne a morte. Eliminazione di membri del partito al potere considerati pericolosi concorrenti del leader. Una economia che ha retto solo grazie agli aiuti sovietici e che è letteralmente collassata dopo il crollo dell'URSS. Tramontate le speranze del socialismo tropicale Cuba è diventata una delle capitali mondiali del turismo sessuale e rappresenta nel mondo, insieme alla Corea del Nord, l'ultimo fortilizio del comunismo duro e puro.
In Corea del nord Kim Jong-un è succeduto al padre alla guida del paese, a Cuba Raul Castro è succeduto al fratello quando questi ha dovuto cedere all'età ed alla declinante salute. Nella fase del suo declino storico il comunismo è diventato dinastico! Karl Marx si rivolta nella tomba.
Mentre si organizzano imponenti funerali per Fidel, a Cuba molte migliaia di prigionieri politici sperano, forse, che qualcosa cambi. Ma saranno in pochi a pensare a loro nel momento della ipocrisia post mortem, c'è da scommetterci.

mercoledì 23 novembre 2016

MISURE CONCRETE

E' l'argomento principe di chi difende la politica delle porte aperte ai clandestini, soprattutto vi fa ricorso il nostro amatissimo ministro dell'interno, dottor Angelino Alfano.
“Che proposte concrete fate voi per far fronte alla emergenza profughi?” chiede con aria inquisitoria il geniale ministro. E a chi gli fa sommessamente presente che intanto si potrebbero cominciare ad espellere i moltissimi
non profughi, quelli che di certo non hanno alcun diritto di stare qui da noi, risponde, con aria visibilmente seccata: “ma gli stati da cui provengono non li rivogliono indietro...”.
Si risponde proprio così il
ministro degli interni della repubblica italiana!

Vediamo un po'.
Tutti i media parlano di profughi, gente in fuga dalle guerre, rifugiati che scappano di fronte a chi li minaccia di morte. Ma di solito persone di questo tipo fuggono di nascosto, cercano di passare i confini di notte per sfuggire a polizia di frontiera, controlli, blocchi stradali.
Con i profughi che arrivano qui da noi le cose sembrano andare un po' diversamente. Partono da paesi lontani a volte migliaia di chilometri dal nostro, attraversano numerosi stati, varcano molti confini senza che nessuno li fermi, chieda loro un documento, controlli un passaporto. Infine arrivano nei paesi del nord Africa e li si imbarcano, alla luce del sole. Nessuno disturba le operazioni di imbarco, partono come se nulla fosse, dopo aver diligentemente aspettato il loro turno. E i paesi che li hanno fatti passare, che hanno permesso loro di partire indisturbati
non li rivogliono indietro!
Qualcuno riesce ad immaginare decine di migliaia di clandestini australiani che si imbarcano per la Nuova Zelanda senza che in Australia nessuno dica loro nulla? Ed un governo australiano che rifiuta i clandestini che quello neozelandese rimanda al mittente? Avrebbe un minimo di normalità una situazione di questo genere? Basta porsi la domanda per avere la risposta. Eppure
è questo ciò che accade con l'Italia. E di fronte ad una simile, assoluta violazione di ogni legalità i nostri ministri allargano le braccia e borbottano: “gli stati di origine non li vogliono”...

Parliamoci chiaro, una volta tanto. Se le cose stanno così quella con cui stiamo facendo i conti è una autentica
invasione. La situazione non ha nulla di normale, non è in nessun modo conforme a nessuna legge, nessun diritto. Chi chiede con aria inquisitoria: “quali sono e vostre proposte concrete?” dovrebbe, tanto per cominciare, iniziare a capire che le “misure concrete” che si debbono adottare in una situazione di illegalità generalizzata non possono essere le stesse possibili in una situazione normale.
Se si vuole davvero contrastare un fenomeno le “misure concrete” si trovano. Si possono bombardare i barconi,
VUOTI ovviamente, nei porti di partenza. Si possono rispedire al mittente i clandestini debitamente scortati da militari. Si possono creare campi di raccolta per migranti, debitamente protetti dalle forze armate, in territorio nord africano. Si possono velocizzare al massimo le pratiche volte a stabilire chi è e chi non è “profugo”, eliminando la possibilità dei ricorsi. Si possono compiere operazioni mirate contro la malavita che organizza i viaggi. Non è vero che misure concrete ed efficaci non siano possibili.
Sento già gli strilli di protesta. “NO! Si tratta di misure eccessive, pericolose! La via migliore è negoziare con i governi dei vari paesi africani!”
Beh... a parte il fatto che certi pesi africani sono privi di governo, a parte questo piccolo dettaglio, sono dispostissimo a concordare con chi invita alla trattativa con i governi. Però...
Però mi viene in mente una storiella. Tizio compra casa da Caio. Il prezzo che Caio richiede gli sembra troppo alto ed inizia a trattare per farselo ridurre. Però prima di iniziare a trattare consegna a Caio un assegno in bianco. Ecco, i nostri intelligentissimi ministri si comportano più o meno nello stesso modo. Intendono trattare coi governi ed intanto traghettano tutti i giorni migliaia di clandestini sulle nostre coste. Perché mai i governi africani dovrebbero collaborare per frenare l'emigrazione illegale quando l'Italia ha messo in atto un autentico servizio taxi per i clandestini? I governi africani non hanno molta voglia di tenersi casa i “migranti”, perché dovrebbero farlo se intanto noi ce li prendiamo tutti? Agire come agisce il nostro governo significa, molto semplicemente, rendere impossibile o inutile ogni trattativa, firmare ai governi del nord Africa un assegno in bianco. Si aggiunga che il signor Renzi è riuscito ad inimicarsi l'Egitto, uno dei pochissimi stati africani a lottare sul serio contro il terrorismo e deciso a contrastare le migrazioni illegali, e la misura, direi, è colma.

Del resto, quando il ministro Alfano chiede, con occhi fiammeggianti, al suo povero interlocutore “quali misure concrete proponete?” gli si può tranquillamente girare la domanda. “e
VOI quale misure concrete proponete?”. In fondo è lui il ministro, LUI ha il compito di proporre misure concrete.
Le uniche misure concrete che il governo mette in atto sono queste: si fanno entrate
TUTTI, ma proprio tutti, dopo di che si implorano i paesi europei di prendersi un po' di coloro che noi andiamo a traghettare sulle nostre coste. I governi europei rispondono picche ed il ministro Alfano gira l'Italia cercando di piazzare un po' qui un po' la quelle preziose “risorse” che sarebbero i clandestini. E, cosa più grave di tutte, non si mette alcun limite a tutto questo. Ne abbiamo accolto duecentomila? Ne accoglieremo cinquecentomila, e poi un milione e poi dieci milioni. Nessuno dice: “fin qui si può arrivare, oltre no”. Tutta l'attenzione del governo è volta alla distribuzione di clandestini, non al blocco degli sbarchi. Se ne arrivassero cento milioni il ministro Alfano chiederebbe ai comuni ad accogliere ognuno cento o duecentomila “profughi”, Senza limiti. La via della accoglienza è infinita.
Si parla in questi giorni di requisizioni di alloggi, addirittura delle seconde case. Non so se si tratti di notizie vere. Ma, in ogni caso, se la attuale tendenza non viene interrotta, e presto, le requisizioni diventeranno l'unica “misura concreta” possibile. Se si continua a fare entrare gente al ritmo di mille, duemila e più persone al giorno da qualche parte bisogna pur metterla questa gente. Hanno saturato le strutture pubbliche, hanno iniziato a requisire alberghi od ostelli di proprietà privata. Passeranno, alle seconde case e poi alle prime. Per ora si limitano ad incentivare, pagandole con soldi di tutti, le famiglie che intendono “adottare un migrante” fra un po' potrebbero
OBBLIGARE la gente a simili “adozioni”. Se non sifermano gli sbarchi misure simili sono INEVITABILI. Ed altrettanto inevitabili saranno le reazioni di gente che ormai non ne può più di subire le conseguenze della follia buonista.
Ma il ministro Alfano a queste cosette non pensa. Ogni volta che compare in TV si aggiusta il cravattino buono, rotea gli occhi fiammeggianti e chiede “voi che misure concrete proponete?”. Poi elargisce al popolo bue un sorriso grondante intelligenza.
Amen.

lunedì 21 novembre 2016

COME VOTERO' IL 4 DICEMBRE

Rispetto quelli che voteranno SI, comprendo le loro motivazioni ed i loro dubbi che sono stati, ed in parte sono ancora, anche i miei. Però, più si avvicina il momento del voto più mi convinco che sia meglio optare per il NO il 4 dicembre.
Sono d'accordo con chi sostiene che il bicameralismo perfetto debba essere abolito ed il senato attuale sostituito da un altro, rappresentante delle realtà locali. Però, non si vede perché questo risultato positivo debba tradursi in pratica con l'invenzione di un senato formato da sindaci e consiglieri regionali. Si potevano attribuire alle varie regioni un certo numero di senatori da eleggere a suffragio universale, un sistema simile a quello americano dei grandi elettori. Non occorreva un genio politico per escogitare qualcosa di simile. Renzi e la signora Boschi hanno invece scelto il senato dei consiglieri regionali, forse perché la gran parte di questi è molto vicina al PD.
Inoltre nella riforma Renzi - Boschi abbondano i richiami alla UE e questo, sinceramente, non può che preoccuparmi. E' vero che i richiami alla cosiddetta “Europa” sono già presenti in costituzione, ma nel testo di riforma diventano più stretti e precisi. L'articolo 117 della costituzione riformata recita infatti:
“La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’
ordinamento dell’Unione europea e dagli obblighi internazionali”.
Il testo attuale parla invece più genericamente di “
ordinamento comunitario”. Nella sostanza è lo stesso, ma rendere più esplicito il richiamo all'”Europa” può essere molto pericoloso e far pesare sulla testa di chi volesse rimettere in discussione la UE l'accusa di incostituzionalità. In occasione della brexit abbiamo visto fino a che punto le forze “europeiste” disprezzino la volontà popolare e cosa siano disposte a fare pur di impedire che questa possa manifestarsi. E' bene non concedere nulla, ma proprio nulla a questi signori.

Questi sono argomenti che riguardano il merito della riforma in discussione. Sono importanti, ma tutto sommato non decisivi. Più importanti sono le considerazioni sulle
conseguenze politiche del voto del 4 dicembre.
Proprio su questo punto nascevano le mie maggiori perplessità. Una vittoria del NO rischia di dare il via libera al movimento di Grillo, di favorire squallidi figuri della sinistra italica come D'Alema o Bersani, questo pensavo ed ancora, in parte, penso. Chi teme di cadere dalla padella alla brace non è affatto sciocco ed i suoi dubbi sono degni del massimo rispetto. In un paese
normale, retto da un governo normale, in una situazione normale simili dubbi potrebbero essere sufficienti a spingere le persone di buon senso a votare SI, malgrado tutte le debolezze ed i pericoli della riforma Renzi - Boschi.
Ma c'è un piccolo particolare di cui occorre tenere conto. L'Italia
NON è un paese normale, non è retta da un governo normale e non vive in una situazione normale.
Dal lontano 2011 subiamo governi privi di qualsiasi legittimazione popolare. So bene che in Italia il popolo bue non elegge i governi. Gli elettori votano per i vari partiti e poi questi fanno più o meno ciò che a loro piace; questo, detto per inciso, è uno dei numerosi motivi che renderebbero necessaria non una riforma ma una totale
riscrittura della costituzione. Però in passato i governi erano sostenuti da forze politiche votate dalla maggioranza dei cittadini, e presieduti da persone che erano passate al vaglio di una consultazione elettorale.
Oggi le cose stanno ben diversamente. Nessuno ha, per fare solo un esempio, mai dato un voto al professor Monti, eppure ce lo siamo trovato senatore a vita prima e capo del governo poi. Considerazioni analoghe si possono fare per Renzi, che è stato votato solo sindaco di Firenze, mai parlamentare delle repubblica.
Il PD sostiene oggi il governo Renzi, ma i parlamentari del PD sono stati eletti quando quel partito, a guida Bersani, era completamente diverso da quello odierno. Il governo Renzi si regge inoltre sui voti di gente votata a suo tempo in
forza Italia, si, proprio quella, il partito del nemico del popolo, qualcuno la ricorda?
A tutto questo si aggiunga che il l'attuale parlamento è stato votato in base ad una legge dichiarata incostituzionale e la misura, direi, è colma.

Il paese
non è normale quindi, e non è normale il governo che lo regge.
Ed è ancora meno normale la situazione che stiamo vivendo.
Ogni giorno sbarcano sulle nostre coste mille, duemila o più clandestini. Un tempo col finire dell'estate i barconi smettevano di mettersi in viaggio. Oggi neppure il maltempo li blocca. Gli scafisti sanno bene che a pochi chilometri dalle coste libiche ci sono le navi della marina militare italiana pronte a raccoglierli e partono comunque. Tutto questo tra l'altro provoca incidenti mortali, ma per i fanatici dell'accoglienza indiscriminata questo è un dettaglio secondario.
Il flusso ininterrotto di clandestini crea problemi enormi sia sul versante della sicurezza che su quello più propriamente economico. Non si capisce bene se ci sia da ridere o da piangere quando si sentono i politici parlare, in questa situazione, di sviluppo, contenimento della spesa pubblica, riduzione della pressione fiscale. Quale contenimento della spesa, quale riduzione della pressione fiscale, quale sviluppo sono ipotizzabili mentre ai margini del processo produttivo cresce ogni giorno di più una massa enorme di emarginati?
E quale civile convivenza, quale sicurezza sono possibili mentre interi quartieri delle nostre città si stanno trasformando in terre di nessuno dove comandano la mala vita, e le bande di quartiere?
Ma, al di la dei problemi economici e di sicurezza il flusso ininterrotto di clandestini è destinato a distruggere le basi stesse della nostra democrazia. Modifica in profondità la base sociale delle nostre istituzioni. Una democrazia liberale, fondata sul laicismo, il riconoscimento dei valori della persona, la pari dignità dei sessi non può reggere l'impatto di masse enormi di esseri umani che non accettano, nella loro gran maggioranza, simili valori.
Ad essere in gioco non è uno zero virgola di PIL, sono le fondamenta stesse della nostra cultura, della nostra civiltà.

Renzi ha fatto la sua scelta: entrino tutti e l'Europa se ne prenda una parte. E mentre il fiorentino cerca di convincere i paesi europei a “collaborare” il suo amicone Angelino Alfano gira l'Italia cercando di piazzare qua e la quelle preziosissime risorse che sono i clandestini. Ci ho pensato a lungo, e, in tutta sincerità, sono giunto alla conclusione che
nulla oggi sia peggio del perpetuarsi di una simile situazione.
Il voto per il NO è un salto nel buio, potenzialmente molto pericoloso, lo so, ma il voto per il SI è una
certezza: la certezza che continueremo con questo andazzo per chissà quanto altro tempo. E questo sarebbe, sicuramente, una catastrofe.
Per questo, penso, il 4 dicembre voterò NO. Turandomi il naso, sentendo un certo senso di nausea al pensiero di votare come Travaglio ed Ingroia, Bersani e D'alema, Grillo e Di Battista.
Ma ci sono momenti in cui occorre saper resistere anche alla nausea. Lo dico agli amici che voteranno SI e di cui rispetto la scelta. I loro dubbi e le loro perplessità, lo ripeto, sono state ed in parte sono anche le mie, ma a volte si è obbligati a scegliere il meno peggio. E per me oggi il SI rappresenta, tutto considerato. il peggio.

lunedì 14 novembre 2016

I TG, LE ESPULSIONI, I MURI

Ieri il neo presidente degli Stati Uniti ha rilasciato la sua prima intervista televisiva. Due i punti su cui si concentra l'attenzione degli osservatori, quanto meno, di quelli non americani. L'espulsione dei clandestini ed il famoso muro.
Sui clandestini Trump ha dichiarato che ci sono negli Stati Uniti oltre due milioni di clandestini che hanno commesso reati. Ha parlato esplicitamente di trafficanti e spacciatori di droga. Questi vanno espulsi o messi in prigione, ha detto. Il giornalista della
SETTE, per inciso, uno dei TG meno faziosi, ha tradotto tutto questo col termine: deportazioni.
Rimandare a casa loro persone che non hanno diritto di stare negli USA e che si sono macchiate di reati legati al narcotraffico equivarrebbe a mettere in atto delle “deportazioni”! Ogni commento è superfluo. La cosa grave non sono le espulsioni, la cosa davvero grave è che ci siano oggi tanti clandestini, per di più legati al narcotraffico, negli Stati Uniti. Come mai si è potuto raggiungere un numero così elevato? Perché queste persone non sono state espulse o messe in prigione prima della vittoria di Trump?
Questo varrebbe la pena di chiedersi, prima di cercare di paragonare Donald trump a Giuseppe Stalin.

Sul famoso muro Trump ha ribadito che intende costruirlo, anche se è stato vago sulle sue caratteristiche: “muro, recinzioni, staremo a vedere”, ha detto, più o meno.
Sono mesi che si parla del famoso “muro” di Trump qui in Italia, ovviamente per presentarlo come massimo esempio di intolleranza, xenofobia, razzismo.
Ricordo che tempo fa ha messo la testa nel teleschermo un famoso scrittore, un sottilissimo intellettuale di cui ora non ricordo il nome. Me ne scuso, sono vecchio e la memoria mi fa brutti scherzi.
Questo finissimo intellettuale, dicevo, ha messo la testa nel teleschermo e ha parlato al popolo bue degli abominevoli “muri”. “I muri vanno bene quando sostengono i tetti”, ha detto più o meno, “non quando dividono i popoli”.
Che pensiero profondo, quale eccelsa speculazione! Però... però, a pensarci bene,
cosa sono i “tetti” se non dei muri orizzontali situati a qualche metro dal suolo? Il tetto delimita la mia casa dall'alto, esattamente come i muri la delimitano a nord e a sud, ad est ed a ovest. Contrapporre i muri ai tetti ha poco senso, perché i muri, come i tetti, delimitano uno spazio, e tengono lontane da me persone con cui non ho intenzione di convivere. Ma questi sono pensieri di un povero vecchio ignorante, lo so, e me ne scuso.

Lasciamo perdere i sottilissimi intellettuali ed esaminiamo qualche fatterello. Per mesi i vari TG ci hanno presentato, e continuano a presentarci, il famoso muro di Trump come una assoluta, abominevole novità. Ma, stanno davvero così le cose?
NO, proprio NO. Un muro fra gli USA ed il Messico già esiste. Per comodità riporto integralmente quanto scritto su Wikipedia:

La
barriera di separazione tra Stati Uniti d'America e Messico, detta anche muro messicano o muro di Tijuana, è una barriera di sicurezza costruita dagli Stati Uniti lungo la frontiera al confine tra USA e Messico. (…) Il suo obiettivo è quello di impedire agli immigranti illegali, in particolar modo messicani e centroamericani, cioè Guatemaltechi, Honduregni, Salvadoregni e Nicaraguensi di oltrepassare il confine statunitense. (…) La barriera è fatta di lamiera metallica sagomata, alta dai due ai quattro metri, e si snoda per chilometri lungo la frontiera tra Tijuana e San Diego. Il muro è dotato di illuminazione ad altissima intensità, di una rete di sensori elettronici e di strumentazione per la visione notturna, connessi via radio alla polizia di frontiera statunitense, oltre ad un sistema di vigilanza permanente, effettuato con veicoli ed elicotteri armati. Altri tratti di barriera si trovano in Arizona, Nuovo Messico e Texas.
Interessante vero? E chi ha fatto costruire questo muro, o recinzione, o barriera? Lascio di nuovo la parola a Wikipedia:

La sua costruzione ha avuto inizio nel 1994, secondo l'ottica di un triplice progetto antimmigrazione posto in essere dall'allora Presidente Bill Clinton: il progetto
Gatekeeper in California, il progetto Hold-the-Line in Texas ed il progetto Safeguard in Arizona.

Lo sponsor del muro era
BILL CLINTON, si , proprio lui,il campione di chi vuole “ponti, non muri”, il marito di quella Hillary che in campagna elettorale si è presentata come l'ultimo ostacolo in grado di fermare la barbarie xenofoba di Trump!
Domandina: i media hanno informato, almeno una volta, il popolino ignorante dell'esistenza di
questo muro? Hanno fatto sapere alla gente normale che il famoso muro di Trump può essere considerato come un ampliamento di qualcosa che già esiste? Non mi pare.

Abbandoniamo le facili polemiche. Dietro a tutti i discorsi sui muri e sulle espulsioni sta una domandina semplice semplice.
I vari stati hanno o non hanno il diritto di controllare le proprie frontiere? E giusto o non lo è che uno stato decida se fare entrare qualcuno nel suo territorio e, in caso di risposta positiva, chi e quanti fare entrare, con che modalità e che tempi? Se si decide che si, gli stati hanno questo diritto allora il muro diventa solo uno strumento tecnico. Si possono controllare i flussi costruendo muri, o rafforzando la polizia di frontiera, o collaborando con i paesi da cui partono i clandestini. Tutto qui.
Considerazioni analoghe valgono per le espulsioni. Si possono espellere i clandestini, se ne può regolarizzare una parte, quelli che si sono inseriti bene e che non hanno commesso reati ad esempio, si possono adottare soluzioni intermedie. In quanto tali né i muri né le espulsioni sono indice di “razzismo” o “xenofobia”.
Se invece si decide che
no, i vari stati non hanno diritto di controllare i flussi migratori, allora si cerchi di essere conseguenti, per favore. Se questo diritto non esiste tutti possono spostarsi dove a loro piace. Non esistono più Francia o Italia, Stati Uniti o Russia, esiste solo il mondo e tutti, come cittadini del mondo, abbiamo diritto di vivere dove ci pare. A essere conseguenti in questo caso non dovrebbero più esistere i vari governi dei vari stati nazionali. Che senso ha un governo italiano se l'Italia è terra di nessuno in cui chiunque può entrare ed uscire come gli pare? I vari Trump, Putin, Renzi, Hollande, Merkel eccetera vadano a casa e lascino il posto ad un bel governo mondiale, magari presieduto da papa Francesco!
Per qualcuno una simile prospettiva è un sogno, io la considero un incubo, ma è secondario. Si abbia però il coraggio di essere chiari!
E la si smetta, una volta per tutte, con la propaganda da quattro soldi!

domenica 13 novembre 2016

IN PIAZZA CONTRO GLI ELETTORI

Un tempo dopo le elezioni chi vinceva festeggiava, chi perdeva si leccava le ferite, cercava di capire le cause della sconfitta e si preparava a fare l'opposizione. Oggi le cose vanno diversamente: chi perde scende in piazza e manifesta. Manifesta contro chi, di grazia? E per che cosa? La risposta è piuttosto semplice, manifesta contro chi ha avuto l'ardire di votare diversamente da lui, e spera di riuscire ad invalidare il risultato elettorale. Se si accetta anche solo per un attimo una simile, aberrante logica tanto varrebbe non farle, le elezioni. Si assegni subito la vittoria a chi è pronto a scendere in piazza per contestare il responso delle urne e non si perda del tempo in inutili liturgie elettorali.
In queste ore gli Stati Uniti sono scossi da manifestazioni contro la vittoria di Trump. Qualcuno fra i “giornalisti” che con voce tremante ce ne danno notizia ricorda al popolo bue quali terribili pericoli corra con Trump la democrazia americana. I risultati elettorali vanno accettati, non però se mettono a rischio la democrazia, questo è il messaggio subliminale dei padroni dei media.
Ma l'America non è la Corea del Nord, o Cuba, o l'Iran, certi stati semmai piacciono a molti dei manifestanti anti Trump. Negli USA vige la divisione dei poteri, il presidente non può fare quello che vuole. Se davvero alcuni suoi provvedimenti mettessero a rischio la democrazia questi si porrebbero fuori dalla costituzione e sarebbero bloccati. Comunque, chi teme provvedimenti liberticidi dovrebbe per lo meno aspettare che il neopresidente cerchi di vararne qualcuno, prima di bloccare autostrade e ferrovie. Invece no. Trump non si è neppure insediato e il centro di molte città americane è bloccato da migliaia di giovanotti, per lo più studenti bianchi della classe media. Non è difesa della democrazia, è rifiuto del suo meccanismo fondamentale. Si può votare, ma dobbiamo vincere noi. Questo il messaggio che i nobili ragazzotti che sfilano nelle città americane lanciano all'America, e al mondo.

Ad essere sinceri in tutto questo Trump c'entra solo in parte. Il vezzo di non accettare il risultato elettorale non è iniziato negli Stati Uniti il nove novembre. Già in occasione della vittoria della brexit si è assistito ad uno spettacolo simile. Manifestazioni e cortei, raccolta di firme per annullare il referendum, richiesta di indirne uno nuovo, e poi magari un altro, ed un altro ancora sino a quando la brexit non fosse stata sconfitta. Fino all'ultima, incredibile giravolta: l'alta corte stabilisce che a decidere sulla brexit deve essere il parlamento! Prima si era deciso di dare la parola agli elettori. Se qualcuno riteneva non costituzionale una simile prassi poteva, allora, prima delle operazioni di voto, chiedere che il referendum non si facesse. Ma lorsignori erano convinti che il popolo bue avrebbe votato per la cosiddetta “Europa”, ed il referendum si è fatto. Però, sorpresa! Vincono i barbari contrari alla UE, ed allora l'alta corte decide che no, sulla brexit il popolo non può avere voce in capitolo, deve decidere il parlamento. La logica è sempre la stessa: si vota ma il risultato vale solo se vinco io. Se invece vinci tu si tratta di una vittoria di biechi e pericolosi “populisti” ed il risultato elettorale può tranquillamente essere buttato nel cesso!

Esiste nel decadente occidente di oggi quello che possiamo definire il paradigma politicamente corretto. Un insieme di idee, valori, interessi che delimita una certa area sociale e culturale. E' l'area di chi dice che “l'Islam è una religione di pace”, o che “i migranti sono una risorsa” o che ”il solare può darci tutta l'energia che ci serve” o che “per uscire dalla crisi serve più Europa” eccetera eccetera. Dentro questa area vale una certa dialettica democratica. Le varie forze interne a questa area possono alternarsi al governo senza che questo dia luogo a frizioni violente. Ma è assolutamente inaccettabile che chi si colloca fuori da questa area possa permettersi di vincere una consultazione elettorale. Fuori dal paradigma politicamente corretto ci sono gli impresentabili, i populisti vecchi ed ignoranti, razzisti, omofobi e sessisti. Chi non crede che oggi occorra più Europa, o che l'Islam sia una religione di pace, chi non vede nei migranti una “preziosa risorsa” o non è convinto che si possano far volare gli aerei, viaggiare i treni ed illuminare le città col solare e l'eolico, tutti questi immondi populisti non hanno diritto di vincere delle elezioni democratiche, qualcuno vorrebbe addirittura impedire loro di parteciparvi. La signora Kienge, ex ministro della repubblica, ha detto tempo fa che alla lega dovrebbe essere proibita la partecipazione al voto. Ha avuto per lo meno il pregio di essere chiara.

Lo ho già scritto e lo ripeto. Se si rifiuta il gioco democratico, se non si accetta il principio secondo cui si vota ed il vincitore ha diritto di governare, fermo restando il rispetto per i diritti della minoranza e la dignità delle persone, se non si accetta tutto questo ci si pone nell'ottica della guerra civile. Si affidano le sorti di un paese, forse di una civiltà, alla violenza. E si imbocca una strada che può avere esiti disastrosi. Perché solo dei pazzi possono pensare che chi si vede privato di una vittoria elettorale possa accettare tutto senza reagire. Per tornare agli Stati Uniti, cosa sperano i giovanotti che marciano a New York? Che l'esito delle elezioni possa davvero essere invalidato? A parte il fatto che è una cosa impossibile, pensano forse che decine di milioni di americani accetterebbero senza batter ciglio una decisione del genere? Si chiedono come reagirebbe un paese in cui, tra l'altro, un sacco di gente va in giro con una o due pistole, o peggio?
Sarebbe bene che chi gioca col fuoco la smettesse di giocare. E questo vale per i giovanotti che manifestano, ma vale cento, mille volte di più per gli pseudo intellettuali che sul fuoco ci soffiano. Potrebbero bruciarsi, e con loro tutti noi.

venerdì 11 novembre 2016

I RESPONSI DELLE URNE

Succede ormai in tutte le consultazioni elettorali che si concludono con risultati contrastanti il pensiero unico dominante. Si tratti della Brexit , del voto in Austria o delle elezioni americane, i vari inviati non hanno ancora finito di comunicare i risultati che si alzano cori di protesta. “Hanno vinto le forze xenofobe” strilla il primo annunciatore. “Una ondata di populismo razzista attraversa l'occidente” gli fa eco una cortese annunciatrice.
Il giorno dopo, o la sera stessa, arrivano gli immancabili “dibattiti” e se ne sentono di tutti i colori. Volano nuove accuse di “xenofobia islamofoba” rivolte agli elettori che si sono permessi di votare come a lorsignori non piace. Qualcuno strilla, i volti sono mesti.
E c'è sempre, ovviamente, il “moderato” che intende “approfondire” il discorso, “cercare di capire”. “Trump, la brexit, tutte cose oscene”, esordisce”, “ma dobbiamo capire le esigenze che stanno dietro a queste aberrazioni”. Insomma gli elettori sono dei perfetti imbecilli che votano contro le proprie “esigenze”. Quali esigenze? Quelle che spiega loro un compassato esperto appollaiato sulla poltrona di uno studio televisivo.
Poi, il gran finale. Arrivano gli analisti. Ci mostrano grafici, snocciolano cifre e comunicano trionfanti: “hanno votato Trump, o Brexit, o Le Pen, le persone anziane, per lo più maschi adulti, in maggioranza non laureati che vivono in piccoli centri”.
“La parte più arretrata del popolo?” chiede ansiosamente il conduttore. “Si” risponde l'analista, “la parte culturalmente più arretrata, retriva, con scarse prospettive”. Interviene l'ospite d'onore, un pensoso intellettuale, e assesta il colpo finale, da KO: “una simile fetta dell'elettorato non ha futuro” sentenzia. Tutti tirano un gran sospiro di sollievo. Se a votare brexit o Trump sono dei vecchietti, siamo a posto! Fra un po' moriranno e tutto si sistemerà.
Ma un tipo del pubblico, invitato a parlare in nome della democrazia televisiva, rovina un po' la festa. “chi vi assicura che i giovani di oggi domani non cambino idea?” chiede sommessamente. L'esperto sbuffa, il conduttore fa segno di no con la testa, l'analista gela il poveretto con un sorrisino insieme ironico e severo. Sigla finale. Applausi, ricchi premi e cottillon. Domani si ricomincia.

Per farla breve, il responso delle urne non viene accettato. Non viene accettato, attenzione, non perché si accusi qualcuno di brogli, si sospetti che il risultato elettorale sia stato manipolato. E neppure si accusa chi ha vinto le elezioni di voler ledere i diritti di chi le elezioni le ha perse. No, i vincitori non attentano ai diritti degli sconfitti, e i voti sono validi, tutti. Alcuni voti però sono infetti. Esprimono le idee, gli interessi, i valori, della parte malata del corpo elettorale. Dietro alla Brexit, o a Trump, o a Marine Le Pen, o a Salvini ci sono l'ignoranza, il razzismo, il sessismo, l'omofobia e queste cose non possono avere rappresentanza in una democrazia politicamente corretta. Il pensiero unico colloca nel campo dell'impresentabile ciò che contrasta coi suoi paradigmi e l'impresentabile non può avere rappresentanza. Per l'impresentabile non si può, non si deve votare. E se, per qualche strano motivo, l'impresentabile si afferma, si permette addirittura di vincere, il risultato non può essere accettato.
Le piazzate in America contro la vittoria di Trump, i tentativi di vanificare in Gran Bretagna l'esito della brexit, la stessa vicenda di Silvio Berlusconi, battuto in Italia non dai voti ma da venti anni di inchieste giudiziarie, sono lo specchio di una simile mentalità. Esiste una parte “sana” del paese, composta da gente aperta, colta, giovane, cosmopolita, solidale, ed una parte “malata”, un'orda di “poveretti”, così ebbe a definirli la Clinton, egoisti, ignoranti, xenofobi e razzisti. Un branco di bottegai provinciali ed evasori fiscali. La parte sana non può accettare che la parte malata freni il suo nobile slancio equo e solidale. Punto.

Non ho intenzione di riaprire qui il discorso sui limiti al potere della maggioranza e sulla democrazia liberale. Mi permetto di rimandare chi fosse interessato allo scritto: “La dittatura dei sapienti” presente sul mio “blog di Giovanni”. Mi interessa ora spendere due parole su un problemino non da poco, cui, se avessero un minimo di cervello, gli “intellettuali progressisti” dovrebbero riflettere. Cosa deve fare chi non accetta il responso delle urne?
Non si tratta di una domanda irrilevante. Ammettiamo pure, solo per comodità di ragionamento, che i “progressisti” abbiano ragione. Chi è fuori dai loro paradigmi è un provinciale ignorante, egoista, xenofobo e sessista. Le sue idee, i suoi interessi, i suoi valori non possono avere una adeguata rappresentanza istituzionale, meno che mai possono aspirare alla guida di un paese “avanzato”. Tutto OK, tutto giusto, facciamo finta che sia vero. Ma, cosa discende da una simile impostazione? Semplice, discende che la democrazia fondata sul suffragio universale deve essere abolita. In una democrazia fondata sul suffragio universale tutti possono votare e chi vince ha diritto a governare, per un certo periodo di tempo e rispettando i diritti dei perdenti. Chi non accetta queste regole potrà avere tutte le ragioni del mondo ma è fuori dal gioco democratico. Però, come può chi non accetta il gioco democratico togliere ad un sacco di gente il diritto di voto? Come abolire il suffragio universale e, di conseguenza, la democrazia? E' un bel problema.
Si può mettere ai voti la abolizione della democrazia? E' possibile sottoporre a referendum la eliminazione del suffragio universale? E' difficile che un simile gioco riesca. Ed anche se riuscisse, anche se la maggioranza votasse per l'abolizione del principio di maggioranza, questo si collocherebbe fuori dalla struttura istituzionale di tutti i paesi occidentali. E difficilmente gli sconfitti accetterebbero di vedersi privati dei diritti politici fondamentali. La violenza ha avuto sempre una parte fondamentale nella eliminazione della democrazia. Questa non è mai avvenuta in maniera soft, seguendo onestamente le regole democratiche. Qualcuno fa a volte l'esempio di Hitler e dei nazisti. Ma, i nazisti non hanno mai raggiunto la maggioranza assoluta dei suffragi in elezioni multipartitiche, ed è impossibile spiegare l'ascesa di Hitler prescindendo da Rohm e dalle camicie brune, da anni di continue violenze e scontri di piazza, dall'incendio del Reichstag e dalle sue conseguenze.

Siamo al punto fondamentale. I dissidi politici possono venire risolti col voto. Ci si confronta verbalmente, si mettono ai voti le varie proposte e le forze politiche che le sostengono. Chi vince ha il diritto di realizzare il suo programma, nel rispetto dei diritti della minoranza e della dignità di tutti i cittadini. Se non si accetta questo metodo non resta che una strada: i dissidi si risolvono sparandosi addosso a vicenda. Se si ritiene che una certa parte della popolazione sia “sporca, brutta e cattiva”, non meriti di avere rappresentanza e meno che mai di poter governare il paese, se si pensa seriamente una cosa simile, si imbocca una strada che porta, se coerentemente seguita, alla guerra civile.
Certo, non tutti sono coerenti nel seguire una simile strada. Ci sono i guerrieri della tastiera che si limitano ad insultare chi non la pensa come loro. Ci sono i teppisti dei centri sociali che vogliono impedire a questo o a quello di parlare, salvo poi strillare se qualcuno da loro un calcio nei denti. Ci sono gli adoratori della magistratura politicizzata che sperano di eliminare per via giudiziaria i nemici politici. Tutti questi atteggiamenti si collocano però in una logica di guerra civile. Il gioco democratico viene rifiutato e si cerca di distruggere il nemico usando mezzi che con la democrazia non hanno nulla a che vedere: dalle intimidazioni verbali a quelle fisiche, dall'uso insopportabilmente fazioso dei media all'invocazione di inchieste e processi.
Si tratta di una logica molto, molto pericolosa. Perché, se ci si colloca in un'ottica di guerra civile si sa da dove si comincia ma non dove si finisce. E chi teme di essere escluso dal gioco democratico può a sua volta mettersi fuori da tale gioco. Si comincia con gli insulti, si prosegue coi pugni, si può finire con le fucilate. Chi evoca la violenza può trovarsi immerso nella violenza, e subirla a sua volta. E se la subisce dopo averla evocata non ha molto diritto di strillare contro la “brutale repressione” cui è sottoposto.
Gli intellettuali da salotto, i guerrieri della tastiera, i teppistelli pronti a prendere a pugni  nemici veri o presunti, ma a strillare alla “repressione” se qualcuno li prende a calci in culo farebbero bene a pensarci. Molto seriamente.

giovedì 10 novembre 2016

QUALCHE "PERLA" DEL DOPO TRUMP

Dunque, vediamo.
Per la sinistra anti renziana Trump ha vinto perché la Clinton non era una alternativa abbastanza di sinistra. Se al suo posto avesse corso Sanders le cose sarebbero state diverse, ha detto quel genio della politica che di chiama Pier Luigi Bersani, notoriamente specializzato in vittorie.
Ma Sanders non è stato capace neppure di conquistare la nomination, è stato ampiamente battuto proprio dalla Clinton! Pensare che un candidato che si definisce apertamente "socialista" possa avere qualche seria possibilità di conquistare la casa bianca vuol dire non capire assolutamente NULLA dell'America!

Bisognava opporre a Trump un programma di maggiore pressione fiscale che favorisse i poveri, aggiungono molti uomini di “sinistra”. I soldi per le riforme non sono un problema, ha affermato il governatore della toscana, ci sono i ricchi a cui prenderli, Trump è uno di quelli.
Ma era stato Obama ad innalzare la pressione fiscale, ed uno dei cavalli di battaglia di Trump è stata proprio la lotta contro le tasse eccessive! Certa sinistra è davvero convinta che i lavoratori amino le tasse e che sia possibile avere occupazione spogliando gli imprenditori. In America, ed anche in Europa, sempre meno gente invece crede ad una cosa simile. Se ne facciano una ragione i vari Bersani, Fassina, Civati eccetera.

Per l'impareggiabile ministro dell'interno Angelino Alfano non si deve scordare che l'America è un paese di emigranti.
Per molto tempo l'America ha lasciato aperte le frontiere perché aveva bisogno di immigrati. Quando ne ha avuto meno bisogno ha, come tutti, posto regole e vincoli alla immigrazione e le ha fatte rispettare. Noi invece andiamo a prendere a casa loro migranti di cui NON abbiamo alcun bisogno, infatti cerchiamo di smistarli al primo che passa.

Dicono: "Trump terrorizza la gente dicendo che gli immigrati rubano il lavoro ai locali".
Storicamente tutti i paesi hanno favorito l'immigrazione nelle fasi in cui la loro economia aveva bisogna di un maggior numero di lavoratori, la hanno contrastata in fasi diverse. Favorire l'immigrazione nelle fasi di stagnazione vuol dire davvero creare le condizioni di una guerra fra i poveri, esattamente quello che stanno facendo i governanti della UE, ed in particolare dell'Italia.

I dazi sono una cosa orribile, contraria al commercio, hanno strillato in tanti.
Storicamente tutti i paesi, compresi quelli più liberisti, hanno alternato politiche restrittive del commercio estero ad altre maggiormente espansive. Germania, Stati uniti, Italia, la stessa Gran Bretagna hanno usato i dazi a protezione delle proprie imprese quando ne hanno avuto bisogno, li hanno ridotti quando erano più forti sui mercati. I dazi sono uno strumento di politica economica, come tanti.

Si potrebbe continuare ma... servirebbe a qualcosa?

mercoledì 9 novembre 2016

TRUMP


Risultati immagini per trump foto


Ha dell'incredibile quello che è successo. Donald Trump lottava contro tutti. Contro il partito democratico, ovviamente, ma anche contro gran parte di quello repubblicano. Aveva contro i mercati, la grande finanza, le stelle di Hollywood, le star del rock, i campioni del basket. Aveva contro le grandi istituzioni e la diplomazia internazionale, l'ONU, la UE. Soprattutto aveva contro la totalità dei media e dei sondaggisti specializzati in tarocchi, americani e non americani. NON aveva contro l'elettorato, e questo è bastato per farlo vincere. La cosa non piace a molti, ma il voto di Madonna, Bruce Springsteen o Robert De Niro vale quanto quello di un operaio che ha perso il posto di lavoro. Molti lo chiamano “populismo”, si tratta invece di democrazia.
Dopo la Brexit, la ascesa in Francia del “front” di Marine Le Pen, il referendum in Ungheria è arrivato il colpo più forte, devastante: la vittoria di Trump megli Stati Uniti d'America. Ormai non è più possibile liquidare tutto con la solita paroletta magica: “populismo”. La cosa può piacere o non piacere ma siamo di fronte ad un movimento di enorme portata che sta travolgendo tutti gli equilibri politici, il modo stesso di concepire a politica.
Ci sono, o possono esserci, alcune cose che lasciano perplessi, per usare un eufemismo, in questo movimento. Superficialità, demagogia a buon mercato, forse tentazioni razziste, addirittura qualche prurito antisemita. La cosa non deve stupire. Si tratta di un movimento composito, molto differenziato al suo interno. Qualcosa di difficilmente inquadrabile, che sfugge alle tradizionali etichette, che è difficile definire di “destra” o di “sinistra”. Per certi aspetti, forse, è un po' tutte e due le cose insieme.
Ma ci sono almeno tre fattori, tre rifiuti, in questo movimento che mi sembrano largamente, incondizionatamente positivi.
Il rifiuto del mondialismo e della dittatura burocratica dei grandi organismi internazionali. Ne sappiamo qualcosa noi, qui in Italia, costretti a chiedere alla UE il permesso per ogni respiro che ci permettiamo di fare.
Il rifiuto di sottostare a flussi migratori fuori controllo. Riguardano l'America questi flussi e riguardano cento, mille volte di più la nostra Europa.
Il rifiuto di quel cancro culturale che è l'ideologia politicamente corretta.

La gente, un sacco di gente, non ne può più dei discorsi sull'Islam "religione di pace" che giornalisti ipocriti ci propinano dopo ogni attentato. Non ne può più di sentir parlare di “emergenza migranti” a fronte di un fenomeno che dura da decenni, non ne può più dei “genitori uno e due”, delle accuse di “sessismo“ lanciate contro chiunque non condivida l'ideologia della signora Boldrini. L'incredibile vittoria di Trump dimostra che questa insofferenza non riguarda solo noi, ma coinvolge in pieno il paese più importante del mondo.
Le persone capaci di ragionare, siano o non siano politicamente vicine a Trump, dovrebbero cercare di spiegarselo, un simile fenomeno. Non sembra ce ne siano molte in grado di farlo.
Ieri sera ho seguito per un po' la diretta organizzata da Mentana (uno dei pochissimi, va detto, che ha tenuto un atteggiamento equilibrato). Poi, visto che i dati non arrivavano e si facevano solo grandi chiacchiere, me ne sono andato tranquillamente a dormire. Fra quelle chiacchiere però mi hanno colpito le parole di una giornalista che commentava l'andamento del voto in Florida. “Abbiamo intervistato molte donne ispaniche”, ha detto la cortese signora, “e moltissime fra loro hanno dichiarato di votare per Trump”. La cosa è incredibile”.
La cosa è incredibile! Per la solerte giornalista una donna deve per forza votare per un'altra donna, come se le donne la testa non la avessero e votassero con la vagina. E una donna non può votare uno accusato di “sessismo”. Guai al mondo! Se dimostri di gradire il lato B di una bella signora e ti accusano di “sessismo” sei rovinato! Le “donne”, tutte le donne, devono disprezzarti in eterno! Questo è il guaio dei politicamente corretti: sono convinti che tutti usino le loro categorie, non riescono neppure a concepire che moltissimi esseri umani, maschi o femmine, bianchi o neri che siano, abbiano criteri di giudizio completamente diversi dai loro.

E un'altra cosa va detta, a coloro che ancora sventolano bandiere rosse e parlano di “classe operaia”.
La classe operaia del più importante paese capitalistico di sempre si è schierata massicciamente per Trump. La Clinton ha avuto voti neri ed ispanici, molti meno del previsto in verità, ha spopolato fra gli strati “colti”, ma ha lasciato molto, molto fredde le classi più colpite dalla crisi. La classe operaia in primo luogo, i ceti medi preoccupati per il futuro, una gran massa di piccoli e medi imprenditori messi in difficoltà dal mondialismo. Un tempo la sinistra faceva analisi sociali per ogni stormir di foglia. Sarà in grado di esaminare con un minimo di serietà quanto avviene nel paese del capitalismo galoppante? Quanto avviene fra gli operai e le classi subalterne di quel paese? Ne dubito.

E ora? Posso capire le preoccupazioni di molti di fronte ad un personaggio come Trump. E' troppo impulsivo, imprevedibile per non destare qualche perplessità, anche se, va detto, nel suo discorso della vittoria è stato incredibilmente moderato.
Però, sinceramente, non credo che farà cose particolarmente "pericolose". Penso che cercherà di raffreddare le tensioni con la Russia, quelle stesse che Obama e la Clinton hanno portato a livelli intollerabili. Allenterà, senza romperli, i legami degli USA con regimi immondi come quello dell'Arabia Saudita, riavvicinerà gli USA ad Israele da cui l'amministrazione Obama si era colpevolmente allontanata. Comunque, staremo a vedere. Ogni presidente va giudicato in base a ciò che fa, non a ciò che ha detto in campagna elettorale. Di certo è difficile che Trump possa fare gli stessi, devastanti, errori del duo Obama Clinton.

Per concludere, una cosa è certa: da oggi il mondo è diverso. Sarebbe bene che i mistici del politicamente corretto cercassero di usare il cervello per capirlo. Se resta loro ancora un po' di cervello.

sabato 5 novembre 2016

LA DITTATURA DEI "SAPIENTI"

TIRANNIA DELLA MAGGIORANZA
Capita più o meno ogni volta che si deve votare su qualcosa di importante. C'è chi comincia a dire che “su certe cose non si può votare” perché il popolo “non ha sufficienti conoscenze del problema in questione” e cose di questo genere.
Di solito chi fa simili considerazioni è profondamente convinto di far parte del gruppo dei “colti” e mette fra gli “ignoranti” tutti i suoi avversari. Non solo, questa “coltissima” persona è ingenuamente convinta che i sapientoni che secondo lui dovrebbero governarci senza esser sottoposti a quella fastidiosa incombenza che si chiama “
VOTO POPOLARE” faranno proprio quella politica che lui ritiene incarni la saggezza del mondo.
Eppure la storia parla chiaro. I grandi uomini hanno spesso e volentieri messo in atto politiche completamente diverse da quelle grazie alle quali avevano ottenuto un ampio consenso popolare. Lenin è da questo punto di vista un caso da manuale. Prima dell'ottobre rosso predicava, ad esempio, il diritto di autodecisione delle nazioni fino alla secessione e rivendicava la terra per i piccoli contadini. Sappiamo come sono andate le cose. Il diritto all'autodecisione è stato sostituito dal più ferreo centralismo, la terra ai contadini dal comunismo di guerra e dalle requisizioni forzate. Chi pensa di potersi affidare a cuor leggero a dei dittatori sapienti potrebbe poi trovarsi di fronte alla sgradita sorpresa di vedere questi “sapienti” mettere in atto politiche completamente diverse da quelle che a lui piacevano tanto.
Chi scrive non pensa che il popolo sia depositario di chissà quali virtù, o che la democrazia sia un sistema perfetto. I liberali sanno che una maggioranza può essere altrettanto, se non più oppressiva di una minoranza. Tutti i grandi liberali, da Tocqueville a Berlin, hanno messo in guardia contro il pericolo della
tirannia della maggioranza insito in ogni democrazia. Chi vince alle elezioni può usare il potere per opprimere le minoranze e distruggere i diritti delle persone.

Chi mette in rilievo quanto la democrazia possa essere usata contro se stessa fa molto spesso l'esempio di Hitler che giunse al potere per via, si dice, democratica. Furono delle notevoli vittorie elettorali a portare Hitler al potere, questo è vero, ma è anche vero che alle sue vittorie contribuirono non poco le violenze delle camicie brune. Il partito nazional socialista comunque non ottenne
mai la maggioranza assoluta dei voti. Nel luglio del del 1932 i nazisti raggiunsero il loro picco elettorale prima del cancellierato: il 37,8%, un ottimo risultato ma lontano dalla maggioranza assoluta. Nel novembre dello stesso anno il loro consenso scese al 33,1%. Nel marzo del 1933, dopo che Hitler era diventato cancelliere, si tennero in Germania, in un clima di terrore, le ultime elezioni multipartitiche. Neppure in queste la NSDAP ottenne la maggioranza assolta. Malgrado le continue intimidazioni cui furono sottoposti i partiti non nazisti, Hitler dovette accontentarsi del 43,9%.Ormai però era abbastanza forte per mettere fuori legge, una ad una, tutte le formazioni politiche nemiche o rivali ed assumere il potere assoluto. Hitler giunse al potere per via anche elettorale, ma certamente non per via democratica, se per democrazia si intende qualcosa di più e di diverso dal semplice principio di maggioranza.

LA DEMOCRAZIA LIBERALE
Questo infatti è il punto decisivo. La democrazia può essere usata contro se stessa e contro la libertà, la tirannide della maggioranza è sempre possibile, ma come si fa fronte ad un simile pericolo? Abolendo la democrazia? Distruggendo il principio di maggioranza? Dando il potere ad un gruppo di burocrati sapienti, col rischio di scoprire, dopo un po', che sono molto burocrati e molto poco sapienti?
La soluzione, difficile, mai definitiva, mai perfetta è un'altra e si chiama
democrazia liberale.
Democrazia liberale è quella in cui la maggioranza, anche piccola, risicata, ha il diritto di governare e di attuare il suo programma, ma deve farlo rispettando rigorosamente alcuni limiti.
La maggioranza ha il diritto di governare ma
non ha il diritto di opprimere le minoranze né di attentare ai diritti fondamentali dei cittadini. Le leggi che la maggioranza approva non possono privare le minoranze del diritto di controllare e criticare l'operato del governo, né possono distruggere o ridurre la libertà delle persone, offendere la loro dignità, espropriare le loro proprietà. In breve, le maggioranze come le minoranze, lo stato come tutti i cittadini sono sottoposti alla legge, e fine prioritario della legge è la tutela della libertà e della dignità delle persone. Democrazia liberale vuol dire principio di maggioranza ed insieme divisione dei poteri, controlli reciproci, limiti, garanzie. Questo non risolve tutto, ovviamente, ma mostra quanto meno la via da percorrere.
Se i critici della democrazia sostenessero la necessità di controlli, limiti e garanzie non si potrebbe che essere d'accordo, ovviamente. Accade invece un fenomeno assai strano: a paventare i rischi di una tirannide della maggioranza sono gli stessi che teorizzano l'illimitato potere dello stato di tassare tutto e tutti, di legiferare su tutto, di programmare sin nei minimi dettagli la vita dei cittadini. La UE, per non restare nel vago, pretende di decidere del diametro delle pizze, la lunghezza dei gambi di carciofo e la portata degli sciacquoni nei cessi. Per passare a cose più serie, impone a tutti i paesi rigidissimi vincoli di bilancio; un branco di burocrati non eletti da nessuno, e non responsabili di fronte a nessuno controllano al microscopio ogni azione dei vari governi nazionali, votati da popoli ancora formalmente autonomi. Di fronte ad una simile situazione ci vuole davvero una fortissima capacità di mistificazione per spacciare l'opposizione popolare alla UE come una pericolosa forma di tirannia della maggioranza. In realtà quella a cui ci troviamo di fronte è la pesante
tirannia di una minoranza, di una piccola, insignificante minoranza di burocrati che cercano di imporre la propria volontà ad interi popoli e strillano contro il “populismo” quando qualcuno cerca di opporsi.

MIGRAZIONI E DEMOCRAZIA
In una democrazia liberale il governo, val la pena di ribadirlo, non può fare ciò che vuole, soprattutto non deve mai, con la sua azione, mettere a rischio i fondamenti stessi della convivenza fra persone libere, ciò su cui si fonda il patto sociale. Invece è proprio questo che avviene, ogni giorno, tutti i giorni con la politica della cosiddetta “accoglienza”.
Cerchiamo di spiegarci. La convivenza democratica ha dei fondamenti che non si identificano a loro volta, ovviamente, con le regole della democrazia. Il principio secondo cui chi ottiene la maggioranza ha diritto di governare vale se esiste una comunità di persone che lo accettano, non può esso stesso essere deciso con una votazione. Un certo numero di persone regolano in maniera democratica i loro rapporti perché sono già unite da qualcosa: una tradizione, una storia, una lingua, l'attaccamento ad una certa terra. Se questi legami fra le persone non esistono è del tutto illusorio pensare che queste possano regolare in maniera democratica, o anche solo pacifica, i loro rapporti. A volte, in assenza di legami simili, è difficile persino che gli esseri umani instaurino rapporti fra loro. Si può costruire una comunità democratica con persone alla cui cultura è estraneo od ostile il concetto stesso di democrazia? Si possono avere rapporti fondati sul reciproco rispetto con persone che ritengono che non possa esserci uguaglianza di diritti fra fedeli ed infedeli, maschi e femmine? La risposta è ovvia.
La democrazia liberale, può vivere solo se ha a suo fondamento una certa
base sociale. Non una base sociale monolitica, ovviamente, qualcosa che sia privo di differenziazioni e di fratture interne. Una base sociale differenziata anche profondamente, ma unita su alcune cose, concorde nel riconoscersi, al di là di tutte le differenze, in alcuni, pochi, valori fondamentali. Se questa base sociale manca la democrazia liberale collassa, inevitabilmente. Ora, la politica della “accoglienza” indiscriminata ha precisamente questo effetto: modifica in profondità la base sociale stessa della democrazia liberale, o della democrazia tout court. Il continuo flusso di migranti immette nel nostro tessuto sociale enormi masse di esseri umani che non condividono, anzi, molto spesso avversano, i fondamenti stessi su cui si regge la nostra convivenza civile. Pensare che una democrazia liberale possa basarsi su un tessuto sociale in cui moltissimi pensano che un apostata meriti la morte ed una adultera la lapidazione è pura follia. Le leggi, a partire da quelle super leggi che sono le costituzioni, vivono se esiste nei loro confronti un consenso capillare, diffuso, muoiono in caso contrario. I “buoni” che vogliono accogliere tutti stanno, consapevolmente o meno, distruggendo le condizioni stesse su cui si reggono le nostre costituzioni e la nostra libertà. Con la loro azione di oggi preparano la tirannia della maggioranza di domani. Si, la tirannia di una maggioranza di fanatici sugli esseri umani che ancora avranno la ventura di credere nella dignità delle persone.
In una democrazia liberale seria la politica della accoglienza indiscriminata dovrebbe essere dichiarata
incostituzionale.

LE MASSE IGNORANTI
Eppure proprio coloro che stanno mettendo in atto questa politica che, a rigore, dovrebbe essere dichiarata
incostituzionale, protestano ogni qual volta che il popolo cerca di dire la sua su questi temi. Il popolo è “ignorante”, non può decidere di questioni complesse, strillano i burocrati della UE, gli stessi che, dall'alto della loro enciclopedica “cultura” stanno trasformando il vecchio continente in Eurabia.
E' vero, il popolo è molto spesso ignorante, ma, a parte il fatto che, come diceva un tal Socrate di Atene,
tutti siamo ignoranti, a parte questa inezia, capita a volte che il giudizio semi istintivo delle persone comuni sia più sensato di tanti oscuri ragionamenti di eruditissimi intellettuali “impegnati”, impegnati soprattutto ad inventare sofismi che servono solo a nascondere la tragica realtà dei fatti.
Ma, sono dispostissimo ad ammetterlo, è vero, il popolo è ignorante. Non è vero che un contadino conosca la natura quanto un nobel per la fisica, idiozia che è stata a lungo sostenuta
non da qualche contadino ma da numerosi intellettuali di sinistra, e non solo. Il popolo è ignorante, ma da questo non discende che il suffragio universale sia da abolire e la democrazia debba essere sostituita dalla tirannia dei burocrati “sapienti”.

Bisogna dirlo con la massima chiarezza:
In democrazia le elezioni non decidono del vero o del falso, del giusto o dell'ingiusto, del brutto o del bello di qualcosa. Le teorie scientifiche, i sistemi filosofici, le correnti artistiche non sono oggetto di votazione. Nessuna campagna elettorale può essere volta a stabilire se la fisica dei quanti o la teoria della relatività siano vere o false, o se una centrale nucleare sia sicura, o un farmaco efficace. Solo secondariamente in una competizione elettorale la posta in gioco è la verità o la falsità di un certo discorso, ed in ogni caso non è assolutamente detto che chi vince le elezioni abbia per questo ragione. Dal fatto che Tizio vinca le elezioni non deriva che Tizio abbia ragione, o che i suoi discorsi siano corretti, o le sue proposte migliori. Però, se Tizio vince le elezioni ha diritto di governare, per un certo periodo di tempo e sottoposto a certi vincoli e controlli, tutto qui.
Se si tiene conto di questo:
le elezioni servono a scegliere chi deve governare, non chi ha ragione, tutti i discorsi contro la democrazia basati sulla ignoranza del popolo vengono automaticamente a cadere. Dietro a questi discorsi si cela in realtà una concezione assolutista della politica e della democrazia. Chi governa può decidere e fare tutto, quindi, per evitare che faccia cose sbagliate deve essere “sapiente”. Ma nessuno è tanto sapiente da non poter mai sbagliare, quindi si tratta non di eleggere o nominare dei “sapienti” alla guida delle stato, ma di costringere la loro azione entro limiti rigorosi. La democrazia è importante, ebbe a dire Popper, non perché grazie al suffragio universale il popolo governa, a governare sono sempre minoranze, ma perché il sistema democratico permette al popolo di liberarsi di coloro che lo governano troppo male senza far ricorso alla violenza. Parole molto sagge sulle quali farebbero bene a riflettere coloro che sognano una “dittatura dei sapienti”