martedì 29 novembre 2016

L'ACCERCHIAMENTO IMPERIALISTA

E' uno degli argomenti più usati da chi difende Castro. Cuba era ed è assediata, dicono. “Come potete pretendere che una piccola isola posta a due passi dal gigante imperialista, possa vivere una normale vita democratica?”.
L'eliminazione della dissidenza, le violazioni di elementari diritti umani, le stesse misure “eccessive” di repressione sarebbero una conseguenza dell'”assedio” cui Cuba era, ed è, sottoposta. Ancora una volta la colpa di tutto è dell'imperialismo occidentale, quello americano, per essere precisi.
Non si tratta di un argomento nuovo. E' stato usato per difendere le dittature di Lenin e Stalin prima, quelle di Mao, Pol Pot e dei vari dittatori comunisti poi. Alla base di tutto c'è sempre l'”assedio” la guerra civile, reale o potenziale, che il capitalismo imperialista ha imposto ai paesi che avevano osato sfidarlo.
Il discorso però non sta in piedi, a nessun livello.

Nel 1940, dopo il crollo della Francia, la Gran Bretagna si trovò a dover combattere da sola contro la formidabile macchina da guerra nazista. Tutta l'Europa continentale, dall'Atlantico ai confini con l'URSS, era nelle mani di Hitler. La Russia sovietica, la stessa che Castro ha tanto amato, collaborava amichevolmente col dittatore nazista fornendo alla Germania numerose materie prime necessarie al suo sforzo bellico. La situazione era difficilissima, quasi disperata. Ma mai, anche in una simile situazione, la Gran Bretagna smise di essere una democrazia. Certo, furono posti limiti alla normale vita democratica, ma si trattò di limiti mille volte meno gravi di quelli che per svariati decenni sono stati imposti al popolo cubano, e a quelli sovietico, e cinese, e coreano, e polacco, e ungherese, e rumeno, e albanese, e tedesco orientale, e cambogiano...
Anche nell'ora del pericolo supremo la Gran Bretagna ha continuato ad essere una democrazia liberale.

Da quando è nato, nel 1948, lo stato di Israele è in guerra. Un paese non più grande della Lombardia, con sei – otto milioni di abitanti è circondato da centinaia di milioni di fanatici che sognano solo di cancellarlo dalla faccia della terra. Anche nei periodi formalmente di “pace” Israele è tormentato da continui attacchi terroristici che mietono di continuo vittime fra i civili. Ogni tanto gli eroici militanti di Hammas si divertono a bersagliarlo con missili che uno pseudo filosofo di casa nostra ha definito “armi giocattolo”. Eppure Israele continua ad essere una democrazia. Nel suo parlamento siedono rappresentanti della minoranza araba che spesso e volentieri simpatizza con i terroristi di Hammas. Malgrado sia nel mirino del fondamentalismo islamico in Israele sorgono oltre 200 moschee e la libertà religiosa è rigorosamente garantita. E, sia detto per inciso, gli stessi che giustificano Castro con l'argomento dell'”assedio imperialista” lanciano al cielo strilli di indignazione quando Israele, per difendersi dal terrorismo, mette in atto comprensibilissime misure difensive, come il famoso “muro”. Un embargo colabrodo giustifica oltre mezzo secolo di dittatura feroce, continui attacchi terroristici non giustificano qualche chilometro di filo spinato. Molto significativo.

Ma l'argomento dell'assedio e della guerra civile non sta in piedi, oltre che a livello storico, neppure a livello dell'analisi teorica della dottrina marxista – leninista. E questo per il banale, semplicissimo motivo che è proprio quella dottrina a prevedere, ed a perseguire, la guerra civile.
Lenin riconduce tutta la dialettica sociale alla lotta fra oppressi ed oppressori. Le varie classi sociali non proletarie sono composte da sfruttatori o loro complici, più o meno consapevoli. L'imprenditore è il nemico principale, lo sfruttatore che si nutre di plusvalore operaio. Commercianti ed artigiani, contadini autonomi, professionisti sono, anche loro, sfruttatori, parassiti improduttivi o, nella migliore delle ipotesi, rappresentanti di modi di produzione obsoleti destinati ad essere spazzati via dalla “ruota della storia”. Non si salva neppure la gran massa dei lavoratori dipendenti, degli stessi operai. La classe operaia è rivoluzionaria solo se e quando assimila la “scienza proletaria” di cui il partito è detentore. Se condividono le “illusioni riformiste e piccolo borghesi” gli stessi operai diventano “oggettivamente” complici del “nemico di classe”.
Per Lenin la formazione di classi e ceti diversi non è un fenomeno sociale fisiologico, qualcosa che il movimento molecolare della società tende di continuo a creare e che occorre governare ed inquadrare in regole valide per tutti. No, per il rivoluzionario russo, e per tutti i teorici della rivoluzione comunista, la differenziazione in ceti è classi fa parte della patologia della società. Una patologia storicamente necessaria, certo: buon hegeliano come Marx, Lenin crede nella astuzia della ragione che condurrà la storia al suo fine prestabilito. Ma una patologia che è ormai giunto il momento di estirpare. Lo scontro politico non ha il fine di ottenere il diritto a governare nel rispetto di determinate regole, ha quello ben diverso di distruggere il nemico di classe e rivoltare come un guanto, insieme, la società e la natura umana.
Tutto questo, dovrebbe essere chiaro, non ha assolutamente nulla a che vedere con il gioco democratico, il rispetto per i fondamentali diritti delle persone, il pluralismo sociale e politico. E Lenin, come prima di lui Marx, lo ammette con grande onestà intellettuale. Irride chi parla di democrazia, pluralismo, diritti delle persone. Li considera piccoli borghesi oggettivamente alleati del nemico di classe. Per il rivoluzionario russo, e per tutti i comunisti autentici, la dinamica sociale è da equiparare alla guerra di classe e la guerra di classe si conduce senza troppi scrupoli umanitari. La guerra civile non è quindi, come affermano oggi certi improvvisati difensori di Castro e Guevara, qualcosa che venga imposto ai comunisti da un nemico non democratico e particolarmente aggressivo, è da sempre il fine prestabilito della loro azione.

Nell'Ottobre del 1917 Lenin e Trotskij attuano il colpo di forza, approfittando della situazione di caos totale in cui versa la Russia post zarista. Il colpo riesce, e da subito i bolscevichi dimostrano quali sono le loro intenzioni. Scioglimento della Assemblea costituente, voluta dai bolscevichi, ma “rea” di vantare una grossa maggioranza (il 58% circa) di socialisti rivoluzionari; messa fuori legge di tutti i partiti non bolscevichi; restrizioni alla attività dei sindacati e poi loro riduzione al ruolo di cinghia di trasmissione del partito; progressiva riduzione della stessa libertà interna al partito unico al potere sono le misure che, da subito, i comunisti russi misero in atto. A queste si accompagnarono le confische delle proprietà, prima le più grandi poi anche le più modeste, le restrizioni prima e la abolizione subito dopo della libertà di stampa, la irregimentazione della cultura, le persecuzioni contro la Chiesa. Soprattutto, fu messa in atto una politica di guerra contro i contadini, coloro che, con gli operai, avrebbero dovuto essere i beneficiari privilegiati del bolscevismo. Le selvagge requisizioni della produzione agricola causarono autentiche carestie in cui morirono milioni di esseri umani. Nella patria dei lavoratori risorse il cannibalismo.
L'esperienza delle altre rivoluzioni comuniste, compresa quella cubana, è del tutto simile. Castro si presentò all'inizio come un democratico radicale, ma si guardò bene dall'indire le elezioni che aveva promesso. Si disfece rapidamente dei sui compagni di lotta non comunisti, mise in atto una ondata di nazionalizzazioni e ridusse la piccola proprietà agricola a dimensioni ridicole. Poi avrebbe imposto a tutta l'isola la follia della monocultura. In compenso ampliò rapidamente le dimensioni delle carceri e dei campi di lavoro. Nulla di nuovo sotto il sole, la stessa, tragica trafila dei precedenti esperimenti comunisti. E lo stesso tragico fallimento.

Non mi interessa discutere sulla storia dell'URSS o di Cuba. Quello che voglio sottolineare è che la politica messa in atto dai vari partiti comunisti che, in un modo o nell'altro, si sono impadroniti del potere è sempre stata una politica di guerra. Mettere fuori legge i partiti rivali, abolire la libertà di stampa, eliminare le libertà personali, confiscare senza indennizzo le proprietà grandi e piccole, requisire il raccolto ai contadini, obbligarli ad entrare in fattorie collettive o “comuni popolari” sono atti di guerra. Li si può giudicare come si vuole, ma non si può negare il loro carattere aggressivo e del tutto estraneo allo spirito ed alla lettera della democrazia pluralista. E, se si dichiara guerra a qualcuno è normale che questi combatta, e metta in atto a sua volta misure di guerra. Chi addebita alla guerra civile gli “eccessi” del comunismo dimentica, molto semplicemente che sono stati questi “eccessi” a scatenare la guerra civile. Per tornare alla prima e più importante esperienza di comunismo reale, se Lenin non avesse sciolto la assemblea costituente e non avesse messo fuori legge Cadetti, socialisti rivoluzionari e menscevichi la guerra civile non ci sarebbe stata. E non ci sarebbero stati i ventidue milioni circa di morti che baffone Stalin ha lasciato in eredità al genere umano.
Coloro che parlano delle “pressioni dell'imperialismo” come della causa di quanto anche a loro appare poco difendibile nella esperienza cubana non dicono assolutamente nulla di nuovo. Dal 1917 in poi “l'accerchiamento imperialista” è stata la scusa per mandare al plotone d'esecuzione, o in campi di lavoro non dissimili dai lager nazisti, esserei umani in quantità industriali.
La novità, parziale, è che oggi sono presunti democratici liberali a ripetere questa noiosa favoletta.
L'occidentale progressista, appena smette di dire che l'Islam è una religione di pace, si guarda intorno, gli viene in mente Cuba e cinguetta che, senza quei cattivoni di americani Castro avrebbe creato una stupenda democrazia sociale caraibica. Poi volge lo sguardo alla storia ed assolve, con argomenti simili, quei simpatici dittatori illuminati che sono stati Stalin, Mo e Pol Pot. Il poverino non vive nel mondo reale, ma in una realtà virtuale tutta sua, una specie di video gioco. Non disturbiamolo, l'impatto col mondo vero potrebbe essergli fatale.

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