domenica 29 ottobre 2017

LOGICA IMPAZZITA

“Lo ius soli non è una legge sull'immigrazione” ha detto il ministro Minniti, “è una legge sulla integrazione”.
Certo, come no? Lo ius soli è una legge sulla integrazione perché concedendo cittadinanze facili si integrano i nuovi venuti, è tanto semplice... solo degli xenofobi razzisti possono non capirlo.
Però... però con lo stesso modo di ragionare (si fa per dire) potremmo stabilire che una legge sul “18 politico” incrementa il numero delle lauree, quindi la cultura.
Ed eliminando il reato di clandestinità, o definendo “richiedenti asilo” i clandestini, si eliminano i clandestini.
E non tacendo sulla nazionalità di tante persone che commettono reati gravissimi si elimina il degrado derivante dalla immigrazione fuori controllo.
Se non puoi cambiare le cose cambia le parole. Stabilisci che un immigrato è “italiano” e avrai risolto i problemi della immigrazione. Decidi che se ha frequentato un corso scolastico è “integrato” e avrai una diffusione enorme della integrazione. Se poi quell'integrato sgozza qualcuno gridando “Allah akbar” i commentatori dei vari TG diranno: “questo crimine non ha nulla a che vedere con l'immigrazione e l'Islam. Infatti (INFATTI) è stato commesso da una persona perfettamente integrata nel nostro sistema di valori”. Tizio è "integrato" perché ha frequentato un corso scolastico. Il corso scolastico integra perché Tizio è integrato. Ragionano così, loro...
Fra un po' qualcuno stabilirà che il terrorismo non esiste, dopo di che sarà facilissimo fare apparire tutti i crimini di terrorismo come derivanti da “depressione”, o da “cupidigia borghese”.
Quando il mondo si rovescia la logica impazzisce.

venerdì 27 ottobre 2017

NOVE PUNTI, SCONTATI, SU ISRAELE

Le menzogne su Israele sono numerosissime e costantemente ripetute ed amplificate dai media. Vengono addirittura raccontate ai ragazzini delle scuole medie i cui testi di storia e geografia sono spesso autentici libelli propagandistici.
Ad Israele si muovono molte accuse, ma
TUTTE sono riconducibili ad una: la sua esistenza. Israele sarebbe nato dal furto di terra perpetrato dagli ebrei ai danni dei palestinesi. E' quindi la sua ESISTENZA ad essere in discussione. Tutte il resto: i “territori”, il “muro”, le presunte “atrocità” deriva da questa colpa originaria: Israele esiste, ma non dovrebbe esistere. Quindi qualsiasi cosa faccia è, per definizione, sbagliata. E qualsiasi cosa facciano ii suoi nemici è, sempre per definizione, giusta o quanto meno giustificabile.
Val la pena quindi di puntualizzare alcune cosette, rapidamente e per punti.


1) Quando i primi coloni ebrei si unirono in Palestina agli ebrei da tempo già residenti in quella terra,
NON esisteva alcun stato palestinese. Non a caso, visto che uno stato palestinese non è MAI esistito.
2)
NON è mai esistito, prima della creazione di Israele, neppure un MOVIMENTO NAZIONALE palestinese. L'organizzazione per la liberazione della Palestina nasce nel 1964, sedici anni dopo la nascita dello stato di Israele. Prima non esisteva alcun movimento che mirasse alla fondazione di uno stato palestinese.
3) Gli ebrei
NON hanno rubato la terra ai palestinesi ma la hanno da loro COMPRATA.
4) La risoluzione ONU che diede vita ad Israele dava vita anche ad uno stato arabo in Palestina. Furono gli stati arabi,
non i palestinesi, a rifiutare quella risoluzione che dava attuazione allo slogan, oggi molto ripetuto, “due popoli due stati”.
5) I famosi “territori” furono occupati dagli israeliani al termine della guerra dei sei giorni, nel 1967. Quella guerra fu combattuta da Israele contro una coalizione di numerosi stati arabi. Il suo antefatto fu il blocco dello stretto di Tiran messo in atto dall'Egitto. Scopo dichiarato degli stati arabi coalizzati era di cancellare lo stato ebraico dalla faccia della terra.
6) Definire territori “occupati” Gaza o la Cisgiordania è quindi un po' come definire “territorio occupato” la penisola d'Istria, o, perché no, il Nuovo Messico. Ciò nonostante Israele restituì al suo più potente nemico di allora, l'Egitto, la penisola del Sinai, in cambio del semplice
riconoscimento diplomatico. Da allora è stata pace fra Israele ed Egitto.
7) Israele è da tempo disponibile a concedere ai Palestinesi il controllo della Cisgiordania e di Gaza, anzi, ha già di fatto ceduto loro questi territori. Perché questi possano diventare uno stato palestinese a tutti gli effetti occorre che i palestinesi riconoscano de iure e de facto Israele per quello che è: lo stato degli ebrei. Ma è proprio questo che i palestinesi non intendono fare, al di la di generiche e fumose frasi propagandistiche.
8) I palestinesi pretendono che rientrino in Israele i famosi profughi, cioè coloro che hanno preferito fuggire dallo stato ebraico in seguito alle varie guerre. Questi profughi sono cresciuti a dismisura nel tempo. I palestinesi sono infatti gli unici a potersi passare lo status di profugo da padre a figlio. In ogni caso, se i profughi dovessero rientrare in Israele gli ebrei si troverebbero in minoranza nel loro stato. E' logico che rifiutino una simile prospettiva.
9) Israele è lo stato che ha dato rifugio e protezione al popolo più perseguitato della storia. Coloro che sono contro la sua esistenza e rifiutano nel contempo di definirsi “antisemiti” hanno mai pensato a cosa succederebbe agli ebrei israeliani se il loro stato cessasse di esistere?

Si potrebbe continuare, ma può bastare, penso. Purtroppo queste cose, note a chiunque abbia un minimo di conoscenza della storia, sono ignote al grande pubblico. Cui i media presentano solo lacrimevoli e faziosi servizi sulle “atrocità” israeliane.

martedì 17 ottobre 2017

DUE CONCEZIONI

Quelli che seguono sono brevi brani della celeberrima “lettera sulla tolleranza” di Jhon Locke.

Lo stato è, a mio modo di vedere, una società umana costituita unicamente al fine della conservazione e della promozione dei beni civili. Chiamo beni civili la vita, la libertà, l'integrità fisica e l'assenza di dolore, e la proprietà di oggetti esterni, come terre, denaro, mobili ecc.

È compito del magistrato civile conservare sana e salva una giusta proprietà di questi beni, che riguardano questa vita, per tutto il popolo in generale e per ogni singolo suddito in particolare,  mediante leggi valide ugualmente per tutti (...) la cura delle anime non può riguardare il magistrato civile, poiché la sua autorità consiste interamente nella costrizione. Ma, consistendo la religione vera e salutare nella fede interiore, senza la quale nulla ha valore presso Dio, la natura dell'umano intelletto è tale, che esso non può essere costretto da alcuna forza estrinseca. (…) Vediamo ora che cos'è la chiesa. A mio modo di vedere, la chiesa è una libera società di uomini che si uniscono volontariamente per adorare pubblicamente Dio nel modo che credono gradito alla divinità al fine della salvezza delle anime. Dico che è una società libera e volontaria. (...)

Qui di seguito invece i primi due articoli della
COSTITUZIONE della repubblica islamica dell'Iran.

1)
Lo Stato dell’Iran è una Repubblica Islamica che la nazione dell’Iran, sulla base della fede tradizionale nel governo della verità e della giustizia [rivelato] nel Corano, in seguito alla vittoria della Rivoluzione Islamica guidata dall’Ayatollah Al-Ozma lmam Khomeini (…)
2) La Repubblica Islamica è un sistema basato sulla fede nei seguenti principi:

1. lI Monoteismo (espresso nell’affermazione “non vi è altro dio che Dio”), la sovranità e la legge come appartenenti esclusivamente a Dio, e la necessità di osservare i Suoi comandamenti.

2. La Rivelazione Divina2 e il suo ruolo fondamentale nel determinare le leggi.

3. La Resurrezione e il suo ruolo costruttivo nei corso dell’evoluzione che guida l’umanità verso Dio.

4. La Giustizia divina nella Creazione e nella legge. (...)


Quelle che qui si confrontano sono due concezioni diametralmente opposte dello stato e della chiesa. Da una parte la concezione laica: lo stato ha il compito di occuparsi delle cose terrene, del benessere e della sicurezza degli esseri umani in questa vita, la chiesa invece deve interessarsi della salvezza delle anime. E deve essere una associazione volontaria, perché nessuno può essere costretto a guadagnarsi il paradiso.
Dall'altra una concezione teocratica dello stato e della chiesa. Le due istituzioni di fatto vengono a coincidere: la Chiesa regola fin nei minimi dettagli la vita terrena degli esseri umani e lo stato obbliga i cittadini alla stretta osservanza dei doveri religiosi. La legge colpisce con pari rigore i crimini contro la sicurezza dei cittadini come quelli contro la divinità. Anzi, i crimini contro la divinità sono puniti con un rigore ancora maggiore.
Tutti coloro che parlano di “armonica integrazione” fra diverse civiltà devono, se hanno un minimo di onestà intellettuale, porsi la seguente domanda: queste due concezioni sono in qualche modo compatibili? Possono convivere? Chi è convinto che lo stato non debba interessarsi alla sua salvezza eterna può formare un qualsiasi tipo di comunità con chi è invece convinto del contrario? Ecco, i teorici del “multiculturalismo” devono solo rispondere a questa domanda. Rispondere seriamente, senza frasette retoriche o vuoti giri di parole. Non credo lo possano fare.
Ed infatti non lo fanno. E il tanto celebrato "multiculturalismo" non assomiglia infatti, in nessun modo, alla tanta conclamata "integrazione". Le diverse culture non si integrano affatto, ma convivono, l'una accanto all'altra, come corpi estranei, se non nemici.
Col risultato che le attuali società occidentali assomigliano sempre più ad un aggregato di tribù. In attesa che una tribù prevalga sulle altre. E che noi tutti ne diventiamo membri.

domenica 8 ottobre 2017

SCIOPERO DEL PENSIERO


Nei vari paesi vigono leggi diverse sulla cittadinanza. In Europa prevale lo ius sangunis variamente temperato. In Francia vige lo ius sanguinis, ma il figlio di stranieri diventa francese se almeno uno dei genitori è a sua volta NATO IN FRANCIA. Lo stesso accade in Spagna. In Svizzera esiste uno ius sanguinis puro. Negli Stati uniti vige lo ius soli.
Secondo “The Citizenship Laws Dataset”, ricerca condotta da due ricercatrici nel maggio 2009 sulle leggi in materia condotta sulla legislazione di 162 paesi, nel 1948 lo ius sanguinis era adottato da 67 stati, la legislazione mista da 19 e lo ius soli da 76. Nel 1975, lo ius sanguinis coinvolgeva 101 stati, la legislazione mista 11, lo ius soli 50. Nel 2001, invece, lo ius sanguinis riguardava 88 stati, la legislazione mista 35 e lo ius soli 39. Ricapitoliamo: lo ius soli che è così à la page, così di moda, è stato abbandonato in 53 anni da 37 nazioni. Nello stesso periodo, invece, 21 paesi sono passati alla legislazione sulla cittadinanza per discendenza. A tutt’oggi, lo ius soli puro è applicato solo in Paesi che sono ex colonie, quello “temperato” in una manciata di altri Paesi che hanno comunque storie del tutto peculiari.
Detto questo, si possono portare argomentazioni ragionevoli a difesa di ognuna delle varie legislazioni. Ad esempio, è naturale che paesi storicamente nati dalla immigrazione  abbiano adottato lo ius soli, mettendo, nel contempo, limiti e controlli seri alla immigrazione stessa.
Quello che invece NON è ammissibile è trasformare lo “ius soli” in un fatto di civiltà. La lotta per lo ius soli in una battaglia della luce contro le tenebre, della libertà contro il bieco razzismo.
La Svizzera è forse un paese “razzista”? E' forse dominata da un bieco nazionalismo? Sarebbe molto strano, visto che si tratta di uno stato multinazionale.
Sono “razzisti” paesi come la Francia o la Spagna? Sono “sciovinisti i paesi che hanno abbandonato lo ius soli per forme più o meno attenuate di ius sanguinis?
Più che lo sciopero della fame “a staffetta” certi personaggi stanno facendo, mi pare, un grande sciopero del pensiero. NON a “staffetta”

mercoledì 4 ottobre 2017

SCIOPERO DELLA FAME

Lo sciopero della fame è stato, ed ancora è in certe parti del mondo, una estrema forma di lotta e di testimonianza contro forme mostruose di prevaricazione. Lo hanno messo in atto, tra gli altri, alcuni ospiti delle galere hitleriane e staliniane, che potevano solo digiunare per cercare di opporsi alla macchina che li stava stritolando. Senza successo, purtroppo. In “Arcipelago Gulag” Solzenicyn parla dello sciopero della fame. Se alle autorità non importava nulla che il prigioniero vivesse o meno questi poteva allegramente morire di fame, senza che nessuno ne sapesse niente. Se erano invece interessate a tenerlo in vita ancora per un po' gli ficcavano un tubo in gola e lo nutrivano forzatamente. Tutto regolare.
Poi questa tragica forma d lotta si è gradualmente trasformata. E' diventata uno strumento di propaganda fra i tanti.
Non mi va che ci sia la tal legge? Io chiedo che sia abrogata e faccio un bello sciopero della fame a sostegno della mia richiesta. Voglio che la tal altra legge sia invece approvata? Inizio a digiunare per indurre il parlamento ad approvarla.
Da estrema arma contro le prevaricazioni lo sciopero della fame è diventato a sua volta uno strumento di prevaricazione. Non c'è nulla di non violento nel dire: “o approvate la tal legge, abrogate la tal altra, o io mi uccido”. Chi si comporta in questo modo non è una vittima che si difende, è un prepotente che cerca di imporre agli altri la sua volontà.
Ed è di solito una persona poco seria. Che digiuna in maniera assai strana, con molte eccezioni. Salta il pranzo ma non la cena, la colazione ma non la merendina.
L'ultima trovata è lo sciopero della fame “a staffetta” messo in atto da alcuni parlamentari del PD a sostegno della legge sullo ius soli.
Cosa vuol dire sciopero della fame “a staffetta”? Oggi digiuna Tizio, domani Caio, dopodomani Sempronio?
Oppure, Tizio non mangia gli spaghetti, Caio la carne, Sempronio l'insalata?
Oppure, Tizio salta la colazione, Caio il pranzo, Sempronio la cena?
Ci spieghino per favore.
O forse non c' nulla da spiegare. E' fin troppo chiaro quanto questi “scioperanti” siano persone poco serie.

domenica 1 ottobre 2017

LEGALITA', GIUSTIZIA, DIRITTO ALLA RIBELLIONE. IN DIECI PICCOLI PUNTI


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Le leggo e le sento talmente grosse sul problema della legalità che forse val la pena di fissare alcuni punti, SENZA entrare nel merito della secessione catalana.

1) Uno stato non nasce quasi mai in maniera legale. Affinché uno stato nascesse in maniera legale ci dovrebbe essere una legge precedente alla formazione dello stato stesso, il che è impossibile perché la legge nasce appunto con lo stato, non prima. Uno dei pochissimi esempi di uno stato nato in maniera legale è ISRAELE, nato da una delibera ONU.

2) Anche se la nascita di uno stato è quasi sempre non legale qualsiasi stato provvede da subito a darsi delle leggi perché solo in questo modo è possibile garantire la civile convivenza dei cittadini. Contrapporre l'origine non legale di uno stato alla necessità di osservarne le leggi è privo di senso.

3) Non tutte le leggi sono giuste. La legalità non coincide sempre con la giustizia. Quindi è possibile che in situazioni gravissime si sia costretti a mettersi fuori dalla legge per avere giustizia. Uno dei padri del liberalismo, John Locke, ha teorizzato il diritto alla ribellione.

4) Ovviamente non sempre chi rifiuta la legalità in nome della giustizia ha ragione. Molto spesso ha torto marcio, specie se la legalità che viene rifiutata garantisce a tutti i fondamentali diritti civili e politici. Locke, nel momento stesso in cui teorizza il diritto alla ribellione lo limita a pochi e gravissimi casi.

5) Il diritto alla ribellione non è un diritto positivo, non è qualcosa che la legge possa concedere. E' uno di quelli che i liberali classici chiamavano “diritti naturali”. Appellarsi al diritto alla ribellione significa mettersi fuori dalla legalità.

6) Chi si mette fuori dalla legalità compie un atto eversivo, o, se si preferisce, rivoluzionario. Questo è il punto decisivo. Se ci si mette fuori dalla legge si entra in un terreno nel quale ad essere decisivi sono i rapporti di forza. Chi si balocca col diritto a porsi fuori dalla legalità questo deve averlo sempre ben presente: entra in una spirale che può concludersi con una guerra civile.

7) Se ci si mette sul piano dei rapporti di forza non ci si può lamentare se anche l'altra parte usa la forza. Se le controversie non vengono risolte nell'ambito della legge si risolvono in piazza. Con i pugni prima, poi con le pietre... poi con altri mezzi ancora. E questo vale per tutte le parti in causa. Fare appello alla forza e poi lamentarsi perché la usano anche gli altri è poco serio.

9) Per questi motivi qualsiasi politico responsabile ci deve pensare mille o centomila, o un milione di volte prima di entrare in una spirale che può portare ad una guerra civile

10) Mantenersi nella legalità, evitare le scelte che possono far precipitare la situazione, usare i numerosi strumenti che la democrazia occidentale mette a disposizione di chi dissente non è quindi un atto di viltà. E' un atto di massima responsabilità democratica.

Speriamo che in Spagna, in Catalogna ed in Castiglia, se ne ricordino TUTTI.