mercoledì 25 marzo 2015

ANCORA SULLA PRESCRIZIONE

E' l'istituto più odiato dai giustizialisti, sto parlando della prescrizione del reato.
Vorrebbero tempi di prescrizione lunghissimi, praticamente infiniti. Non conta quando hai commesso un reato, dicono, conta se lo hai commesso, e se lo hai commesso devi essere punito, punto e basta. E non va loro giù che la prescrizione intervenga dopo che il processo ha avuto inizio. Citano addirittura gli Stati Uniti d'America, dove i termini di prescrizione si interrompono appena è stata emessa la sentenza di rinvio a giudizio. Si, è proprio così, negli Usa la prescrizione si interrompe dal momento in cui il sospettato è rinviato a giudizio, ma, quali sono i termini di prescrizione negli Stati uniti d'America?
Un delitto che comporta la pena dell'ergastolo è sempre perseguibile, altri delitti legati all'uso della violenza sono perseguibili entro
CINQUE ANNI. I delitti meno gravi infine sono perseguibili entro UNO O DUE ANNI. Esclusi i delitti gravissimi si tratta, come si vede, di termini assai ristretti.  Nel momento in cui inizia il processo però i termini di prescrizione si interrompono, e si evitano in questo modo eventuali manovre dilatorie. Questo non fa si che l'imputato debba passare lunghi periodi nella “zona di nessuno” in cui necessariamente vive chi è sottoposto a procedimento penale. Negli Usa infatti i processi sono piuttosto rapidi. Le udienze sono quotidiane, i giurati vivono praticamente da reclusi, impossibilitati addirittura a leggere i giornali o a guardare la TV, questo perché chi è chiamato a giudicare della vita di un essere umano deve formarsi la propria convinzione in base a ciò che emerge dal dibattimento, non dai talk show televisivi o dai predicozzi di giornalisti alla Travaglio. La differenza con quanto avviene in Italia è lampante. Un giudice popolare italiano ascolta oggi un teste, fra due mesi un altro, fra sei mesi la requisitoria del PM e fra otto l'arringa del difensore. Se tutto va bene fra un anno entrerà in camera di consiglio. E' difficile pensare che in questo modo il giudice popolare italiano possa maturare una convinzione ponderata sulla base di quanto emerge dal dibattimento. Si aggiunga che negli Usa il pubblico accusatore non è, come in Italia, un collega del giudice, che la difesa contribuisce alla selezione della corte giudicante, che, nei processi per reati gravi, i giurati devono decidere alla unanimità e ci si renderà conto che in quel paese il processo penale, anche se esclude i tre gradi di giudizio automatici, è molto più garantista che nel nostro.

Ma, a parte ogni tecnicismo, quale è la filosofia che sta dietro l'istituto della prescrizione, che i forcaioli di ogni tipo odiano? La risposta è semplicissima, la si può riassumere in una sola parola:
garantismo. Garantismo che vale a tre livelli.
In primo luogo,
una persona non può essere indagata a vita. Se sei indagato vivi in una situazione di estrema provvisorietà. Se cerchi lavoro tutto diventa più difficile se è in corso un procedimento giudiziario a tuo carico, se il lavoro lo hai già le prospettive di carriera si complicano terribilmente. Chi è indagato ha diritto che in tempi ragionevolmente brevi il suo caso si chiuda. Ha diritto a questo anche chi è stato offeso dall'eventuale azione criminosa dell'indagato. Insomma, una giustizia rapida è nell'interesse di tutti, meno che dei criminali e dei calunniatori di professione.
In secondo luogo, a meno che non si tratti di reati gravissimi,
nessuno può essere chiamato a rispondere di cose avvenute molto tempo prima, con tutte le difficoltà di ricordare eventi, nomi, situazioni.
Infine, ed è la cosa più importante di tutte,
i termini di perseguibilità tendono ad impedire che qualche solerte magistrato possa perseguitare un cittadino andando a spulciare nella sua vita passata in cerca di qualche reato. II magistrato deve indagare su specifiche ipotesi di reato, non andare alla ricerca di reati, Tizio può essere indagato solo se esiste il fondato sospetto che abbia commesso o sia implicato in uno specifico crimine. Così almeno avviene nei paesi civili. 

Il progetto di legge del governo Renzi che ha ricevuto ieri la prima approvazione alla camera prevede un allungamento dei termini di prescrizione per i soli reati di corruzione e di pedofilia. A parte ogni considerazione generale sull'istituto della prescrizione, ciò che appare incredibile è che si proponga un allungamento della stessa solo per alcuni reati. Forse che prendere una mazzetta è più grave che scippare una vecchia pensionata? Uno stupratore è meno criminale che un pedofilo? Se per i reati A e B la legge prevede la stessa pena, poniamo 10 anni, come è possibile che i termini di prescrizione di A siano diversi da quelli di B? In Italia la prescrizione è commisurata alla pena prevista per certi crimini, se A è più grave di B si aumenti la pena per A, e questo farà innalzare i termini di prescrizione. Elementare vero?
Si, è elementare ma non lo si fa, forse perché sarebbe difficile sostenere che un consigliere comunale disonesto sia socialmente più pericoloso che uno stupratore. E così si aumentano i termini di prescrizione solo per certi reati, quelli collegati a particolari campagne mediatiche.
E' così che funzionano le cose in Italia, purtroppo. Le leggi vengono fatte sull'onda del clamore suscitato da certe inchieste. La magistratura indaga sulle grandi opere e si fa una legge, l'ennesima, sugli appalti. Emergono casi di corruzione e si fa una ennesima legge anticorruzione; ormai ne sfornano una ogni sei mesi, più o meno, e i casi di corruzione aumentano comunque.  Un processo termina con la assoluzione per prescrizione e si allungano i termini della stessa per quel particolare reato.
In un paese civile il legislatore dovrebbe valutare, nel fare le leggi, le esigenze generali del paese, indipendentemente dall'emergere di fatti clamorosi. Così non è, in Italia. Da noi si fa una legge non perché si ritiene che questa sia utile al paese, ma perché una folla urlante la reclama, o la reclamano i conduttori di Talk show.
Tutto questo ha poco a che vedere con la democrazia e nulla con la democrazia liberale. Ma, questo interessa poco. Purtroppo.

martedì 17 marzo 2015

ANCHE GLI ISRAELIANI...

Israele: Netanyahu rimonta e a sorpresa vince. Verso riconferma


Per i suoi nemici Israele sarebbe un paese antidemocratico, razzista, sciovinista, colonialista. Il nuovo stato apartheid. 
Quando però in Israele ci sono le elezioni questi stessi signori parteggiano, di solito, per una delle forze in campo: quella che critica la politica del governo in carica e difende posizioni “di sinistra”, vere o presunte che siano.
“Vedete”, dicono più o meno i nemici di Israele, “anche gli israeliani sono stanchi della politica razzista, sciovinista eccetera del loro governo...”
E' un vero capolavoro quella parolina: ANCHE. Gli ebrei israeliani sono razzisti, sciovinisti eccetera, se ANCHE loro ne hanno abbastanza della politica razzista, sciovinista eccetera del loro governo è chiaro che questa è ormai insopportabile, impresentabile, indifendibile. Gad Lerner, tipico esemplare di ebreo che si vergogna di essere tale, ha detto: qualche giorno fa: “una cosa è certa, ANCHE la destra israeliana ormai è stufa di Netanyhau”. Se ANCHE la destra israeliana è stufa di Netanyahu come possono europei e americani difendere lo stato di Israele di cui Netanyahu è leader? Semplice no? Peccato che anche stavolta Gad lerner si sia sbagliato e, malgrado le sue previsioni, Netanyahu abbia vinto le elezioni. Ma c'è da scommettere che anche in questo caso sia lui che i suoi compari non si perderanno d'animo. Avevano concesso agli ebrei israeliani la possibilità di riscattarsi votando contro i loro governanti razzisti, sciovinisti eccetera. Non lo hanno fatto, i manigoldi, quindi si potrà dire senza troppe remore che gli ebrei israeliani, meglio, gli ebrei tout court, sono razzisti, sciovinisti eccetera. Per farsi accettare nella comunità progressista un ebreo deve preventivamente dichiararsi nemico almeno del governo israeliano, meglio ancora dello stato di Israele. Se non lo fa non può avere accesso ai salotti buoni, quelli frequentati dai pochi ebrei accettabili, come Gad Lerner o Moni Ovadia. Se ne faccia una ragione!

Naturalmente, i progressisti politicamente corretti esultano per la buona affermazione, alle elezioni israeliane, del partito arabo. Sono davvero razzisti sciovinisti eccetera questi israeliani. In Israele si presenta alle elezioni una lista araba filo palestinese, qualcuno sussurra anche filo Hammas, e prende 14 seggi in parlamento. Anche a Gaza si presentano alle elezioni partiti filo israeliani, vero? E in Pakistan sono legali partiti cristiani, e in Iran esiste ed è legale un partito sionista, vero?
NO? Non è così? A Gaza non sono legali partiti filo israeliani? A Gaza se un tale è amico, vero o presunto, degli israeliani viene linciato? Ma guarda un po'! E in tanti paesi islamici non solo non esistono partiti sionisti, o cristiani, o filo occidentali ma non esistono proprio partiti, tranne quello al potere? Incredibile! Che strano però: questi paesi non sono sempre sul banco degli imputati, di loro non si dice che sono razzisti, sciovinisti eccetera.
Stranezze del progressismo politicamente corretto.

lunedì 16 marzo 2015

LETTERA APERTA AI MILITANTI DELL'ISIS




Cari combattenti dell'Isis, ho letto che intendete arrivare a Roma e far sventolare la vostra bella bandiera nera sulla cupola di San Pietro. Vi capisco, Roma non è male come obiettivo e poi, una volta conquistata l'Italia, potreste dilagare in tutta Europa portando alla vera fede, con le buone o con le cattive, gli europei scettici e materialisti. Inoltre prendere Roma non dovrebbe essere una impresa proibitiva per voi, fieri ed indomiti combattenti. I governanti ed i politici italiani non sono certo dei mostri di coraggio e l'idea di combattervi armi alla mano non li attira troppo, potete scommetterci. Il papa poi... è pronto a dialogare,  vi considera fratelli, magari un po' scapestrati ma fratelli, e sicuramente non inciterà i tiepidi cristiani italiani al farvi la guerra. Lui i pugni li riserva ai giornalisti, anche a quelli ammazzati dai vostri valorosi commilitoni.
Però, lasciatemelo dire, forse fareste meglio a cambiare obbiettivo. Roma è lontana, fra voi e la città eterna c'è di mezzo il mare. E' vero, potete attraversarlo sui barconi dei migranti, il mare, ma come farete a portare su quei barconi fucili, cannoni e carri armati? Dovete convenire che non si tratta di una impresa facile. Le nostre motovedette aiutano i migranti, lo sappiamo, ma non sembrano ancora disposte a portare in Italia i vostri arsenali. Si, potete fondare delle cellule autonome sul nostro territorio, ma si tratta di un processo lungo, faticoso e dall'esito incerto, almeno per ora. Quindi mi permetto rispettosamente di darvi un amichevole consiglio. Perché, prima di dirigervi su Roma non conquistate Tel Aviv e Gerusalemme? Pensate che successo sarebbe per voi conquistare queste città! Gerusalemme è una città sacra all'Islam. Si, è vero, l'Islam di città sacre ne ha un sacco, ma Gerusalemme, da tanto tempo negli artigli dei mostri sionisti, ha un enorme valore simbolico,! E Tel Aviv? E' la nuova Sodoma, centro di corruzione e di complotti organizzati dai diabolici agenti del Mossad! Conquistare alla vera religione questo covo di vipere ebree sarebbe per l'Islam una splendida vittoria.

Ma c'è di più. Conquistare Gerusalemme e Tel Aviv vorrebbe dire distruggere l'entità sionista, quella che sionisti, razzisti e nuovi crociati chiamano stato di Israele. Pensate che splendida vittoria sarebbe per voi distruggere questa diabolica entità! Da sessantasette anni tutti ci hanno provato o ci provano: Egitto, Siria, Libano, Giordania, Iraq, Fatha, Ezbollah, Hammas, ma non ci riescono.
Distruggere l'entità sionista vi farebbe diventare praticamente invincibili, vi rafforzerebbe enormemente in occidente come nel mondo islamico.
In occidente voi non godete di troppe simpatie, devo dirvelo in tutta sincerità. A parte pochi sciocchi anche gli occidentali politicamente corretti parlano male di voi. Dicono, pensate, che non sareste dei “veri musulmani”. Affermano che le vostre azioni sarebbero indirizzate non contro l'occidente ma contro l'Islam.
Però, se attaccaste la entità sionista molti occidentali pacifisti sarebbero costretti a ricredersi. E si, perché questi occidentali la entità sionista la odiano forse più di voi, e se si dovesse scegliere fra i viscidi ebrei e voi, fieri combattenti della fede, sceglierebbero voi, statene certi. Se i malvagi sionisti uccidessero qualche vostro commilitone si leverebbero subito in occidente forti urla di protesta. “Poveri combattenti dell'Isis” strillerebbe Gianni Vattimo (non lo conoscete? Poco male, è un filosofo), poveri combattenti, direbbe questo filosofo, costretti ad affrontare i sionisti con armi giocattolo! E i vari Grillo, Dario Fo, Giulietto Chiesa, e le varie minoranze del PD e un buon numero di sacerdoti scenderebbero in piazza a manifestare e contro i nazisti israelo sionisti. Fidatevi: attaccate Tel Aviv e Gerusalemme e diventerete dall'oggi al domani molto più popolari nel corrotto occidente.

Non parliamo poi del mondo arabo e musulmano! Ma ci pensate? L'Isis sconfigge i mostri sionisti, smantella lo stato di Israele, pardon, l'entità sionista. Cinque milioni di ebrei messi di fronte ad una scelta secca: o vi convertite o vi massacriamo. Non è meraviglioso? Voi realizzereste il sogno che da sessantasette anni allieta i sonni di decine di milioni di autentici musulmani fondamentalisti e che finora si è rivelato, alla prova dei fatti, un incubo. Le vostre fila si ingrosserebbero a dismisura se la vostra bella bandiera sventolasse a Gerusalemme, e per i traditori al potere in alcuni paesi medio orientali sarebbe la fine. La fine dei generali egiziani, la fine di Husayn in Giordania, il crollo del governo fantoccio iracheno. Insomma, conquistate Gerusalemme e Tel Aviv e diventerete invincibili. Allora si che potreste partire all'assalto di Roma! Non su barconi di migranti, ma su vere navi, armate di tutto punto.

Si, lo so, c'è una piccola, insignificante difficoltà: gli israeliani. Questi dannati israeliani, pardon, nazisionisti, hanno la pessima abitudine di combattere, e sanno combattere piuttosto bene, infatti non hanno mai perso una guerra, da quando sono nati. Sono prepotenti ed arroganti, gli israeliani. Se gli tiri un pugno loro te ne tirano due, se tu gli spari con una pistola loro rispondono con un fucile, se tu gli tiri una cannonata loro ti lanciano un missile. Comportamento indecente, imperialista, degno dei nazisti! E sono insensibili agli appelli degli intellettuali, ai consigli dei governi amici, alle grida di dolore dei pacifisti, questi prepotenti israeliani! Figuratevi che una volta un loro governante ha detto, rivolto a chi li criticava: “preferiamo le vostre critiche alle vostre condoglianze”. Davvero intollerabile, non vi pare?
Però, voi non avete mica paura di loro, vero? Ma su, siete formidabili combattenti! Siete bravissimi a sgozzare inermi prigionieri legati come salami, e a bruciare vivi essere umani, anche bambini, chiusi in solide gabbie. E siete anche molto bravi a vendere le donne come schiave nei mercati, e a crocifiggere, impalare, fucilare, decapitare inermi civili. Chi è più coraggioso di voi? Nessuno vi può battere in combattimento, neppure i nazisti israeliani. Attaccateli e per loro sarà la fine.
O forse no, forse sarà la fine per voi? Chissà...

sabato 14 marzo 2015

I MORALISTI E KANT



E' deprimente constatare quanto poco abbiano inciso sul senso comune di molte persone oltre due secoli di pensiero laico e moderno.
Nelle moderne democrazie liberali il peccato è cosa ben diversa dal reato. Certo, a volte la legge punisce ciò che anche la morale comune condanna ma questo non avviene sempre, né necessariamente. Soprattutto, non avviene per gli stessi motivi.
Per la morale se io desidero uccidere Tizio e non lo faccio solo perché ho timore di finire in prigione sono colpevole quanto chi invece uccide effettivamente Tizio, per la legge invece non sono colpevole di nulla. Ed ancora, se sparo a Tizio e non lo colpisco sono imputabile solo di tentato omicidio, se invece lo colpisco e lo uccido sono colpevole di omicidio, reato ben più grave. Per la morale invece le due azioni sono sullo stesso piano.
A suo tempo lo mise bene in rilievo Kant. La morale si fonda sulla coscienza, sull'imperativo categorico, quella voce interiore che mi dice: “devi comportarti come se ogni tua azione potesse diventare una norma avente carattere universale”.
La legge invece si basa sulla costrizione esteriore. La legge non ci obbliga ad essere buoni ma a comportarci in maniera tale da non disgregare la società in cui siamo inseriti.  Al legislatore non interessa la purezza del nostro animo, ma solo la sostenibilità sociale dei nostri comportamenti.    
La morale riguarda l'io interiore, l'anima e la sua salvezza per i credenti. La legge il buon andamento della società. Confondere questi due piani è quanto di più sbagliato si possa concepire. Porta alla moralizzazione della politica che è tipica delle teocrazie.
Tradire il marito, mostrare le gambe suscitando libidinosi desideri eccetera eccetera sono peccati e in quanto tali vanno puniti dalla legge. Questo avviene nelle teocrazie islamiche. Da noi le cose vanno un po' diversamente. Tradire il marito (o la moglie), suscitare libidine sono (forse) peccati ma non comportamenti illeciti.

Ho scritto solo alcune banalità, me ne rendo conto. Però, certe reazioni alla assoluzione del cavaliere mi fanno pensare che forse non si tratta di banalità tanto condivise.
Che il cavaliere conducesse uno stile di vita assai discutibile mi sembra assodato, semmai sarei curioso di vedere cosa emergerebbe se certi suoi accusatori venissero spiati 24 ore al giorno. Il punto tuttavia non è questo. Il punto è che nei paesi civili la irreprensibilità dello stile di vita non è legalmente obbligatoria. Qualcuno potrebbe obbiettare che un politico ha il dovere di condurre uno stile di vita irreprensibile. Forse è vero, ma una cosa simile non riguarda i giudici, solo gli elettori. Chi pensa che lo stile di vita irreprensibile debba essere caratteristica del buon politico ha tutto il diritto di non votare per coloro il cui stile di vita non gli appaia irreprensibile. E' solo il caso di aggiungere che politici del calibro di Kennedy o Clinton avevano uno stile di vita forse ancora più discutibile di quello del cavaliere.
Il fatto è che l'Italia resta un paese profondamente cattocomunista, in cui il pensiero laico è ben lontano dall'aver conquistato una vera egemonia culturale. Purtroppo.

mercoledì 11 marzo 2015

RUBY

La assoluzione definitiva di Berlusconi per il caso “Ruby” dimostra solo che in Italia ci sono ancora dei giudici che fanno i giudici. Magistrati che valutano in base agli articoli del codice e non alle passioni politiche, o alle pulsioni moralistiche. Non dimostra però che in Italia esiste una funzione, o un potere, giudiziario che sia, almeno nella sua stragrande maggioranza, davvero non politicizzato e rigorosamente imparziale. Se così fosse il "caso Ruby" non avrebbe neppure dovuto aprirsi. Non avrebbe neppure dovuto aprirsi per il semplicissimo, banale, motivo che un uomo o una donna andrebbero giudicati in base alle prove, non alle simpatie o alle antipatie che suscitano, o al fatto che certi loro comportamenti possano apparire discutibili.

Tutto il caso Ruby è stato caratterizzato da una ambiguità di fondo. Il cavaliere avrebbe commesso un reato solo se avesse avuto dei rapporti sessuali a pagamento con una diciassettenne, ma di questi non è mai stato esibito lo straccio di una prova. Far sesso di gruppo in casa propria, pagare delle ragazze "disinibite", fare eventualmente sesso con loro sono cose che possono non piacere, ma non costituiscono reato, piaccia o non piaccia la cosa ai signori Santoro, Travaglio o Flores D'Arcais.
I forcaioli lo hanno detto e ripetuto: non si stanno processando i costumi sessuali di Berlusconi ma il suo favoreggiamento della prostituzione.
Però, visto che di questo favoreggiamento non esisteva prova alcuna, si tiravano fuori le intercettazioni piccanti, i racconti di ragazze che facevano lo strip, o baciavano il pene di una statuetta di legno eccetera eccetera.
Insomma, a chi chiedeva prove si rispondeva con le storielle per guardoni, a chi affermava che essere, eventualmente, protagonisti di storielle per guardoni non è un reato penale si rispondeva che non erano queste ad essere sotto inchiesta.
Ora, per fortuna, questa brutta storia è finita.
Non credo che la assoluzione di Silvio Berlusconi avrà conseguenze politiche importanti. Forse sbaglio ma sono convinto che la sua parabola politica sia terminata. Sarà la storia a dare un giudizio definitivo sul suo operato, e penso che non sarà un giudizio troppo negativo.
Resta la consolazione di sapere che in Italia è ancora possibile essere giudicati qualche volta, se si ha fortuna, da giudici degni di questo nome.

lunedì 9 marzo 2015

I NUOVI CENSORI




Ascoltavo giorni fa una solerte giornalista di uno dei tanti TG. Diceva, più o meno, questa signora: “abbiamo deciso di non mostravi più alcuna immagine dei crimini dell'Isis. Non vogliamo che il nostro notiziario diventi uno strumento di propaganda di questi assassini”.
Non ho intenzione di iniziare un discorso, inevitabilmente lungo e complesso, sulla censura e sulla libertà di informazione. Né spendo troppe parole per sottolineare il paternalismo leggermente viscido di tanti giornalisti: “Abbiamo deciso di non mostrarvi...” ecco, loro decidono ciò che noi possiamo o non possiamo vedere. Loro sono adulti, noi bambini, bambini da educare; e loro, i signori giornalisti, sono gli educatori, nostri e dei nostri figli. Ma, lasciamo perdere. E dedichiamo due parole alla questione centrale.


Davvero far vedere immagini delle violenze dell'Isis significa far propaganda a suo favore?
La cosa è molto strana, ammettiamolo. Di solito mostrare la violenza del nemico significa far propaganda contro il nemico. Qualcuno potrebbe dire che mostrare le foto dei mucchi di cadaveri trovati nei campi di sterminio, e dei forni, e delle camere a gas fosse propaganda filo nazista? Si portano le scolaresche a visitare Auschwitz per propagandare l'ideologia hitleriana? Non scherziamo per favore!
E' vero, l'Isis ha molti simpatizzanti che gioiscono vedendo quanto “bravi” siano i tagliagole, considerano “grandi vittorie” i loro crimini e sono tentati dall'idea di arruolarsi nelle loro fila. Ma gli ardori di questi signori non saranno certo fatti sbollire con un po' di censura, che l'Isis ha comunque gli strumenti per aggirare.
Se entrassimo nell'ottica di censurare la violenza dei tagliagole per non incoraggiare eventuali reclutamenti, dovremmo evitare non solo di diffondere immagini, ma anche di dare notizie. Sull'Isis e sulle sue attività dovrebbe calare una totale cappa di silenzio ed i primi a farne le spese saremmo noi. Noi occidentali, noi democratici, di destra o di sinistra, noi liberali, non loro, i tagliagole fanatici. E si, perché per batterli, i tagliagole, occorre avere la piena consapevolezza della loro pericolosità, occorre sapere chi sono, cosa fanno, quanto sono pericolosi.
L'Isis ha il suo target: mostra la sua violenza per reclutare in certi settori del mondo islamico comunque già assai sensibili alle sirene della sua propaganda. Chi rifiuta il fondamentalismo assassino ha un target ed un compito diametralmente opposti. Deve mostrare al mondo la violenza dell'Isis per far crescere ovunque la consapevolezza della sua pericolosità. Per un fanatico che si fa attrarre dall'immagine di uno sgozzamento ci sono centinaia, migliaia di esseri umani che ne restano sconvolti ed iniziano a rendersi conto che i tagliagole vanno combattuti, senza se e senza ma.
Ma forse è proprio questo il vero timore dei nuovi censori. Temono che mostrare la violenza dei fanatici faccia il gioco non tanto dell'Isis, quanto di chi lo vuole combattere sul serio. Le immagini della violenza fondamentalista di certo non giovano a chi con l'Isis vuole “dialogare”, a tutti coloro che ritengono si possa “elevare il terrorista al rango di interlocutore”.
I nuovi censori non hanno a cuore le sorti della nostra civiltà, solo quelle del buonismo zuccheroso che ci impedisce di difenderla.

venerdì 6 marzo 2015

I GENOCIDI VERI, E QUELLI PRESUNTI



Gli Israeliani stanno commettendo un genocidio a Gaza!
Lo hanno detto in tanti, e così tante volte, che non c'è da stupirsi se alla fine qualcuno ci ha creduto. Lo aveva teorizzato il dottor Joseph Goebbels: “ripeti continuamente una menzogna e questa diventa una verità”.
Però una menzogna resta una menzogna, anche se qualcuno ci crede, anche se la ripetono i media, anche se astuti demagoghi la propagandano e profondi intellettuali la nobilitano con il peso dei loro allori accademici.
L'enciclopedia Treccani definisce il genocidio come la “
Sistematica distruzione di una popolazione, una stirpe, una razza o una comunità religiosa”. SISTEMATICA DISTRUZIONE, questo è il genocidio. Non costituiscono un “genocidio” i morti in combattimento e neppure i civili che perdono la vita nel corso di una guerra. Esiste il “genocidio” quando si mira ad eliminare un certo gruppo etnico, o razziale o religioso. A suo tempo, in sede di dibattito ONU, si voleva includere fra i gruppi la cui eliminazione sistematica si configurava come “genocidio” anche quelli sociali. Lo sterminio dei membri di una certa classe sociale si sarebbe in questo modo configurato come genocidio. Non se ne fece niente per l'opposizione, non casuale, dell'URSS: se la sistematica eliminazione di ceti e classi sociali avesse costituito un genocidio nessun paese sarebbe stato più genocida dell'allora Unione Sovietica. Comunque, la definizione è abbastanza ampia per includere nella categoria del genocidio molti atti di Stalin che, come si sa, fu assai solerte nell'eliminare “popolazioni, stirpi e razze”, basti pensare ai cosacchi, ai russi tedeschi o agli ucraini.
In ogni caso, al di la delle sottigliezze e dei cavilli giuridici, un genocidio si caratterizza per le
dimensioni di massa: interi gruppi devono essere eliminati e questo implica una politica di sterminio indiscriminato.
Una delle conseguenze delle politiche di genocidio è la riduzione numerica delle popolazioni. L'Istituto Treccani della Enciclopedia Italiana, fonte leggermente più attendibile dei vari siti negazionisti o filo palestinesi, ricorda che:
“Secondo la relazione ufficiale del comitato d'inchiesta anglo-americano sull'ebraismo europeo e la Palestina (Losanna, 20 aprile 1946), le perdite degli Ebrei nei paesi occupati dalla Germania o dai suoi alleati durante la fase acuta della persecuzione possono calcolarsi in base al confronto tra la popolazione ebraica del 1939 e quella del 1946”. Sempre secondo il comitato, “in totale vi erano in Europa
nel 1939 9.946.200 Ebrei; nel 1946 essi si erano ridotti a 4.224.600.
Considerazioni simili si possono fare per altre popolazioni vittime di genocidi. In un documentatissimo articolo apparso sul suo blog (come ti smentisco le menzogne di Manlio di Stefano su Israele) Emanuele Gargiulo ricorda che in Anatolia la popolazione armena si ridusse di circa un milione e mezzo di unità dal 1914 al 1922, ed in Ruanda l'etnia Tutzi si ridusse in un anno, dal 1994 al 1995, di quasi un milione di unità.
Gaza invece conta oggi circa 1.800.000 abitanti, ne contava 1.130.000 circa nel 2.000 e 1.600.000 nel 2010. Malgrado il genocidio israeliano che a detta di molti dura da anni, la popolazione araba di Gaza ha continuato a crescere. Molto strano...

Ma, forse ancora più dei confronti demografici, sempre discutibili e soggetti a diverse variabili (nuove nascite, rapporto nascite - decessi, influenza di cause naturali di decesso eccetera) sono significative le cifre assolute. Le valutazioni sull'entità del genocidio Cambogiano variano da un minimo di un milione ad un massimo di tre milioni di persone, su un paese di dodici milioni circa di abitanti; insomma, da un dodicesimo ad un quarto della popolazione cambogiana è stata massacrata dai Kmer rossi di Pol Pot. Applicate alla popolazione di Gaza del 2010 simili percentuali darebbero un numero di palestinesi trucidati dagli israeliani variabile fra le
130.000 e le 400.000 unità, cifre che neppure il più acceso nemico di Israele si sogna di diffondere.
Quanto all'Unione sovietica, vediamo cosa dice lo storico Russo Roy Medvedev. Si tratta non di un “anticomunista viscerale” ma di un comunista riformatore, un gorbacioviano; soprattutto si tratta uno studioso della cui serietà possono dubitare solo i faziosi.
In “
Lo stalinismo” (Mondadori 1977) Medvedev afferma:
“Nel 1936 – 39, secondo i calcoli più prudenti, da quattro a cinque milioni di persone ebbero a subire la repressione per motivi politici. Almeno quattro o cinquecentomila di queste, soprattutto fra gli alti funzionari, vennero sommariamente fucilate; le altre ebbero lunghi anni di lager. Nel 1937 38 c'erano dei giorni in cui più di mille persone venivano fucilate nella sola Mosca”. L'ultima guerra di Gaza è costata ai palestinesi, secondo fonti di Hammas, circa 2.000 vittime in oltre due mesi di combattimenti. Più o meno l'equivalente di
due giorni di fucilazioni staliniane, nella sola Mosca, ai tempi delle grandi purghe. Eppure queste purghe non vengono considerate un genocidio. Si trattava di repressione “selettiva”, politica, della distruzione di rivali, potenziali o reali, veri o presunti, di Stalin. Altrove Medvedev fornisce una valutazione più complessiva della vittime dello stalinismo. Citando i calcoli del demografo sovietico Maksudov, Medvedev afferma in “Stalin sconosciuto” (Editori riuniti 1980):
In conseguenza delle repressioni e della fame (...) dal 1918 al 1953 nel nostro paese morirono circa 22 - 23 milioni di persone (…). Negli anni del governo di Stalin quasi la metà degli uomini e una donna su quattro perirono non di morte naturale o non vissero quanto avrebbero dovuto”. Cifre terrificanti, a cui non ha fatto seguito nessuna Norimberga.
E veniamo alla Cina. In “
Mao, la storia sconosciuta” (Longanesi 2006) la saggista e scrittrice cinese Jungh Chang, autrice del bellissimo romanzo “I cigni selvatici”, e Jon Hallyday valutano a circa 70 milioni le vittime complessive, dirette ed indirette, della tirannide maoista. Riferendosi in particolare al “gran balzo in avanti” ed alla disastrosa carestia che questo causò, gli autori ricordano che “la razione di carne nelle città diminuì dai 5,1 chilogrammi annui del 1957 ad appena 1,5 nel 1960. (…) La carestia iniziò nel 1958 e terminò nel 1961 (…) Secondo un famoso sostenitore del regime, Hang Suyng, nel 1960 le casalinghe delle città assumevano un massimo di 1200 calorie al giorno. Ad Auschwitz gli addetti ai lavori forzati ne assumevano una quantità quotidiana variabile fra le 1300 e le 1700. (…) Durante la carestia alcuni furono costretti al al cannibalismo. Uno studio condotto dopo la morte di Mao (e subito soppresso) sulla contea di Fengyang, nella provincia di Ahnui registrò sessantatre casi di cannibalismo solo nella primavera del 1960. (…) Nei quattro anni del gran balzo in avanti e della carestia morirono di fame e di lavoro circa 38 milioni di persone”.
E' solo il caso di aggiungere che il libro della Chang e di Hollyday è documentatissimo. Di ogni cifra, di ogni fatto, di ogni testimonianza si cita la fonte. Le note e la biografia delle fonti occupano 152 pagine. Si tratta di qualcosa di leggermente più attendibile dei vari siti degli amici di Hammas.

Molti, parlando dei massacri spaventosi avvenuti in URSS ed in Cina, hanno negato che si trattasse di genocidi. Stalin e Mao non avevano, si è sostenuto, il fine di eliminare interi popoli. Hanno posto in atto una politica ideologica che ha avuto costi umani elevatissimi, non una politica genocida. Le loro vittime inoltre erano gruppi sociali, non etnie.
Sulla differenza fra gruppi sociali ed etnie si è già detto. E' un difetto non casuale della definizione di genocidio quello di escludere i gruppi sociali. Comunque, i gruppi sociali eliminati da Stalin e Mao erano anche gruppi etnici e nazionali, quindi, anche a prescindere da ulteriori considerazioni, rientrano nella definizione giuridica di genocidio. Quanto al fatto che le politiche di Stalin e Mao fossero ideologiche, beh, lo erano anche quelle di Hitler. Hitler era convinto che gli ebrei fossero la sifilide del genere umano e che andassero eliminati, e li ha fatti eliminare. Stalin e Mao erano convinti che l'unico modo per sostenere lo sviluppo industriale nelle città fosse affamare le campagne, ed hanno affamato le campagne. Esistevano altri modi, ovviamente, per sostenere lo sviluppo, ad esempio favorire gli investimenti esteri ed incentivare la diffusione del capitalismo in agricoltura, ma questi non potevano che essere rifiutati in base a considerazioni ideologiche. Inoltre Stalin e Mao consideravano i contadini quali potenziali nemici dei loro regimi. Il contadino, si sosteneva, è favorevole alla proprietà privata della terra, mira ad arricchirsi, ad ingrandire e a far rendere al massimo il suo fondo, è un capitalista, attuale o potenziale. Già Lenin e Trotskij avevano considerato la piccola proprietà agricola come un focolaio di infezione capitalistica che avrebbe potuto mettere in crisi la “dittatura del proletariato”. Per eliminare questo focolaio l'agricoltura andava interamente collettivizzata, anche se questo avesse, come effettivamente ha, avuto conseguenze umane, sociali ed economiche terrificanti. Le carestie che hanno caratterizzato i regimi di Stalin e Mao sono state la conseguenza di una scelta politica cosciente, anche se interamente dettata dall'ideologia e sono state usate dal regime come un'arma per fiaccare la resistenza di una classe sociale che si riteneva, a torto o a ragione, nemica del partito al potere e del suo sistema. Esattamente come lo sterminio degli ebrei aveva il fine di eliminare una etnia che il nazional socialismo considerava sua nemica implacabile.

Abbiamo fatto un telegrafico excursus sui genocidi veri, sui grandi stermini di massa del nostro secolo. Ebrei, Armeni, Tutzi, cambogiani; contadini (e non solo) Ucraini, russi, cinesi. Centinaia di migliaia, milioni, decine di milioni di esseri umani distrutti, mandati al macello, sacrificati in nome dell'odio razziale o di ideologie deliranti. Basta una rapida occhiata alle cifre che mi sono permesso di riportare per rendersi conto che il presunto “genocidio” israeliano a Gaza è una bufala di proporzioni galattiche.
Già sento le obiezioni. “Non si fa contabilità sui cadaveri!” “Uccidere un solo bambino è un crimine!” Eccetera eccetera eccetera.
Verissimo, la contabilità sui cadaveri è antipatica, ed è un crimine orrendo uccidere anche un solo bambino, però... però sono proprio i filo palestinesi a fare macabre contabilità sui cadaveri quando paragonano i numerosi morti palestinesi a quelli israeliani, assai meno numerosi. I “razzi giocattolo” di Hammas hanno ucciso molti israeliani, bambini compresi. Questi però non contano, per i filo islamici, perché sono pochi rispetto ai caduti palestinesi. In effetti gli israeliani sono bene attrezzati a difendersi, cercano di ridurre al minimo le loro perdite, militari e soprattutto civili. A loro non interessa poter agitare di fronte al mondo le foto dei corpi straziati di bambini innocenti, preferiscono che questi bambini abbiano salva la vita. I prodi combattenti di Hammas la pensano diversamente. Non fanno nulla per evitare gli scontri e neppure per minimizzarne gli effetti sulla loro gente. Urlano, strillano, amplificandolo al massimo, il numero dei loro caduti, si fanno forti delle proprie perdite, cercano di vincere sul piano della propaganda quella guerra che non riescono a vincere né sul piano politico né su quello militare.
Ma, anche a prescindere da queste considerazioni, è proprio vero che non ha senso fare la “contabilità sui cadaveri”? No, non è vero.
Anche un solo morto ammazzato è uno di troppo, però, ai fini della valutazione di un certo regime non è la stessa cosa stabilire se sono stati uccisi dei nemici in combattimento o degli inermi civili. E non è la stessa cosa se i civili sono stati uccisi per costringere un paese in guerra alla resa o perché, dopo che un paese si è arreso, o che sue aree sono state conquistate, i vincitori hanno dato libero sfogo ai loro istinti più bestiali. Ed ancora, stragi solate di cui sono responsabili singoli ufficiali, o “schegge impazzite” di un esercito non sono sullo stesso piano del massacro programmato di intere popolazioni, o gruppi etnici, o classi sociali. Tutti i caduti meritano pari rispetto, è vero, ma non si possono definire “genocidio” i massacri di una soldataglia fuori controllo.
Più in generale, è del tutto sbagliato escludere come “irrilevante” ogni considerazione quantitativa dalla valutazione di un regime. Un regime che fa imprigionare gli oppositori politici è dittatoriale, uno che fa fucilare in massa ogni oppositore, reale o potenziale, vero o presunto che sia, è sanguinario. Uno che distrugge interi popoli, o etnie, o gruppi sociali, è genocida. Tutti sono esecrabili, ma non nello stesso modo e nella stessa misura.

Parlare di “genocidio” ogni volta che ci si trova di fronte ad una certa quantità di morti significa banalizzare il concetto di genocidio, privarlo di quanto questo ha di specifico.
Gli attentai dell'undici settembre 2001
non sono stati un genocidio, anche se hanno provocato più morti dell'ultima guerra di Gaza. E non sono stati un genocidio i bombardamenti delle grandi città tedesche nell'ultima fase del secondo conflitto mondiale, e neppure i bombardamenti atomici del Giappone. Si tratta di atti atroci, moralmente assai discutibili, che tuttavia non miravano alla distruzione di un popolo, o di una etnia, o di un gruppo religioso. Prova ne sia che nessuno, dopo la resa della Germania e del Giappone, ha proposto, e meno che mai messo in atto, un massacro indiscriminato di tedeschi o giapponesi.
Se queste considerazioni hanno un senso, parlare di “genocidio” riferendosi ai palestinesi di Gaza è semplicemente ridicolo. Gli israeliani non hanno alcuna intenzione di eliminare dalla faccia della terra i palestinesi, se volessero farlo a Gaza ci sarebbero stati non centinaia o, nella peggiore delle ipotesi, migliaia di morti; le vittime si conterebbero a decine, forse centinaia di migliaia. E se davvero i cattivissimi israeliani avessero intenzioni genocide non metterebbero in atto tecniche di attacco miranti ad evitare, per quanto è possibile, le vittime civili. Non avviserebbero preventivamente i civili palestinesi di ogni attacco, non li inviterebbero ad allontanarsi dalle proprie abitazioni prima dei raid. Né, soprattutto, aspetterebbero, prima di decidersi ad attaccare, di essere a loro volta bombardati per settimane, o mesi, dagli angioletti di Hammas.
Il genocidio israeliano a Gaza è insomma uno dei più strani della storia. Dura da anni, ma ha prodotto al massimo alcune migliaia di vittime e non ha impedito il forte incremento della popolazione palestinese. Viene sempre messo in atto dopo che le vittime hanno iniziato a bombardare i carnefici. Viene condotto con modalità che mirano, con tutta evidenza, a ridurre il numero delle vittime civili. Gli ebrei e gli Armeni, i Cambogiani, i contadini russi e cinesi sarebbero stati ben felici di aver subito un simile trattamento. E lo sarebbero anche, oggi, i cristiani e i Curdi vittime dell'Isis.
E' davvero un segno dei tempi. Le vittime che l'Isis produce in quantità industriali non costituiscono un genocidio, non sono genocidio i circa duecentomila morti della guerra civile in Siria. Lo sono invece i 2000 morti palestinesi dell'ultima guerra di Gaza. Per quanto tempo ancora durerà l'incapacità di pensare di tanti occidentali vittime del politicamente corretto?

domenica 1 marzo 2015

LA FIERA DELLE BANALITA'

Siamo letteralmente sommersi da una valanga di luoghi comuni. Pretenziose banalità, sciocchezze, astruserie insensate che si spacciano per profondissimi pensieri, nobili intenzioni, valori assoluti. Vediamone alcune,  divise per argomento, accompagnate da qualche parola di commento. Così, per ridere, o per non piangere...


DIVERSITA' E RELATIVISMO

La diversità è un valore.
E chi lo dice? Un nazista è diverso da un liberale, uno stupratore è diverso da chi rispetta le donne, forse questo trasforma in “valori” il nazismo e lo stupro? E' meglio che ci siano molti stupratori perché una società in cui gli stupratori non ci fossero sarebbe meno “diversificata” rispetto a quella in cui gli stupratori ci sono? Ognuno ha il diritto di essere se stesso, quindi diverso dagli altri, ma questo non trasforma in valore ogni diversità.

Tutte le culture sono eticamente sullo stesso piano. 
Quindi una cultura in cui esiste la tratta degli schiavi è eticamente sullo stesso piano di una in cui questa è vietata. Un paese in cui esistono lager e campi di sterminio è solo eticamente diverso, non inferiore, rispetto ad uno in cui questi mancano. Però, se tutte le culture sono eticamente sullo stesso piano, una cultura intollerante, aggressiva, che si consideri autorizzata a dominare le altre, è sullo stesso piano di una in cui invece valga il principio di tolleranza. La affermazione secondo cui tutte le culture sono sullo stesso piano è autocontraddittoria, anche se i politicamente corretti proprio non se ne accorgono.

MIGRANTI

Dobbiamo accogliere tutti i migranti, ce lo impone il dovere della solidarietà.
Abbiamo davvero il dovere di essere solidali con tutti, e di esserlo a tempo indefinito, sempre, qualsiasi cosa siano, vogliano o facciano le persone con cui “dobbiamo” solidarizzare? La solidarietà è cosa buona, ma una solidarietà generalizzata, priva di condizioni, indefinita diventa giustificazione del parassitismo. Inoltre, chi ha stabilito che essere solidali significhi accogliere a casa propria? Posso essere solidale con Tizio aiutandolo a trovare un lavoro che gli permetta di essere autonomo, non ospitandolo vita natural durante a casa mia.
E' dubbio che esista un vero diritto alla solidarietà: nessuno può obbligarmi ad amare il mio prossimo, però di certo esiste per tutti il dovere di cercare di badare a se stessi. Staccata dall'impegno ad adempiere a questo dovere la solidarietà diventa una truffa.  

I migranti fanno i lavori che gli italiani non vogliono più fare.

Questo è vero in alcuni casi, del tutto falso in moltissimi altri. Chi sostiene una simile tesi sembra convinto che fino a ieri in Italia ci fosse un gran bisogno, ad esempio, di venditori ambulanti e parcheggiatori abusivi e che nessun italiano volesse fare questi lavori. Poi, per fortuna, sono arrivati i “migranti”... In realtà
ci sono questi lavori perché esiste la immigrazione clandestina. Se i flussi migratori fossero seriamente controllati non ci sarebbero posteggiatori ed ambulanti abusivi, e nessuno ne sentirebbe la mancanza.

TERRORISMO


Il terrorismo nasce da miseria e sottosviluppo
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Un tempo tutti eravamo poveri e sottosviluppati, ma
non tutti siamo diventati terroristi. E anche oggi ci sono nel mondo milioni, centinaia di milioni, di poveri che non diventano terroristi. Si può reagire in vari modi alla povertà: lavorando per creare ricchezza, rassegnandosi, facendo una rivoluzione sociale, promuovendo riforme. Solo alcuni reagiscono alla povertà facendosi esplodere in aerei o pizzerie. E poi, davvero le bombe umane reagiscono alla povertà? Moltissimi giovani che diventano bombe umane stanno assai meglio di moltissimi altri loro coetanei. Bin Laden era povero? E qualcuno può pensare che l'Isis abbia come suo fine l'incremento della produzione industriale? L'ideologia, il fanatismo, i retaggi culturali costituiscono formidabili motivazioni all'agire umano. Sola la ristrettezza mentale spinge molti occidentali a credere che il denaro sia tutto.

Il terrorismo nasce dalle ingiustizie che certi popoli hanno dovuto subire
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Quale
popolo non ha dovuto subire ingiustizie? Gli ebrei sono stati perseguitati per millenni ed hanno dovuto subire la ingiustizia forse più mostruosa della storia, ma nessuno di loro si è mai fatto esplodere, mi pare, in una pizzeria di Berlino. Ed i sopravvissuti alle Foibe non hanno mai ucciso jugoslavi a casaccio, né i discendenti dei contadini ucraini, massacrati da Stalin, hanno messo bombe nel metrò di Mosca. Inoltre, coloro che oggi si fanno esplodere per "protestare contro le ingiustizie che hanno dovuto subire" sono davvero senza peccato? L'Islam ha conquistato, di certo NON in maniera indolore, mezza Europa, tutto il medio oriente ed il nord Africa e l'oriente fin quasi all'India. Ma, che io sappia, non ci sono bombe umane europee o asiatiche che si fanno esplodere in ristoranti arabi.

Il terrorismo non ci sarebbe se i palestinesi avessero una loro patria
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Il terrorismo islamico colpisce in America come in Europa, in Africa come in Asia. Colpisce anche paesi che hanno riconosciuto il presunto stato palestinese. Basta che in rete circoli un filmato di pochi minuti che i fondamentalisti reputino “offensivo” e in tutto il mondo si scatena l'inferno. Anche un discorso di papa Benedetto a suo tempo ha scatenato le ira dei fanatici. Nel programma di Hammas sta scritto a chiare lettere che il fine di quella organizzazione consiste nel fare tornare all'Islam
tutte le terre che un giorno sono state islamiche, quindi, in prospettiva, anche la Spagna e la Sicilia.
E qualche occidentale imbecille crede, o finge di credere, che la colpa di tutto sia di circa cinque milioni di ebrei che occupano un territorio grande più o meno come la Lombardia, privo di risorse naturali, desertico. Un tempo gli antisemiti incolpavano di tutto la “congiura ebraica”, oggi questa è stata sostituita dallo stato di Israele.

ECONOMIA

L'economia deve mettere al centro l'uomo, non il denaro
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Tutti o quasi prendiamo un caffè la mattina. Beh, proviamo a coltivare il caffè nel giardino di casa (chi non ha il giardino può coltivarlo in balcone o in salotto). E proviamo a produrre fra le mura domestiche lo zucchero e a costruirci la tazzina ed il cucchiaino. Toccheremo con mano quanto siano idiote le teorie dei sostenitori dell'auto produzione e dell'auto consumo. Siamo limitati, ognuno di noi può produrre solo una parte infinitesima dei beni che gli occorrono. Per soddisfare i nostri bisogni dobbiamo ricorrere allo scambio ed il denaro è un potente strumento che agevola e facilita gli scambi.
Il denaro è uno strumento umano e serve a soddisfare bisogni umani. Contrapporlo all'uomo è una idiozia demagogica.
Ovviamente, è bene operare affinché un numero sempre crescente di esseri umani possano disporre di denaro sufficiente per soddisfare almeno i propri bisogni più urgenti. Questo è però, ovviamente, un discorso del tutto diverso.

 

Dobbiamo smetterla col consumismo. Gran parte dei beni che compriamo sono inutili o superflui.
Cosa è necessario e cosa è superfluo? Un tempo non esistevano auto ed aerei, case riscaldate ed antibiotici, occhiali e biancheria intima, eppure gli esseri umani vivevano, anche se per un numero di anni piuttosto ridotto. Il sesso è superfluo, quando non è immediatamente finalizzato alla riproduzione, ed anche l'amore lo è, in fondo: si può benissimo vivere senza. E sono superflui lo sport, il gioco, la cultura, la scienza, la filosofia, l'arte. L'uomo è tale precisamente perché mira ad avere il superfluo oltre che il necessario, anzi,
fa diventare necessarie cose che un tempo erano superflue. Nessun lavoratore rinuncerebbe oggi a qualche giorno almeno di ferie pagate, ma queste erano, fino a non troppo tempo fa, un lusso “superfluo”.
E chi stabilisce se una certa cosa è per me utile o inutile? Personalmente considero inutile, anzi, dannoso, un libro di Gianni Vattimo, ma non pretendo che tutti lo considerino tale. Sono Tizio, Caio e Sempronio a stabilire cosa per loro è utile o non lo è. Questo però è troppo liberale per i totalitari di ogni risma.

Si potrebbe continuare a lungo. Le idiozie che si sentono in giro si moltiplicano tutti i giorni. Ma per ora può bastare.